Le nuove religioni del Novecento — prima lezione

Lezione tenuta dal dott. Andrea Menegotto l’11 maggio 2001

Andrea Menegotto

Contributi per la comprensione del Novecento:
Le nuove religioni del Novecento — prima lezione

 

IL “RITORNO DEL SACRO”

Tra secolarizzazione e post-modernità un’occasione nella confusione

 

Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6)

 

Se già il tema della “fine della modernità” emergeva dalle Encicliche di Papa Paolo VI Octogesimo adveniens (1971) ed Evangeli nuntiandi (1975), oggi certamente ci troviamo a vivere in un periodo in cui, dopo avere assistito al crollo delle espressioni più significative di quella parte della storia moderna che, iniziata con la Rivoluzione francese nel 1789, si è conclusa – almeno idealmente – esattamente 200 anni dopo, con la caduta dei muri delle ideologie (simbolizzati dalla caduta del “Muro di Berlino”) nel 1989. Fra il 1989 e il 1991, con l’implosione del sistema sovietico, assistiamo alla fine dell’”assalto al cielo” tentato dall’ideologia comunista,che si è rivelata essere il più completo e duraturo fra i sistemi ideologici del secolo diciannovesimo e ventesimo. Questo nostro tempo, definito “era post-moderna”, è un’epoca in cui si sta assistendo ad un “ritorno del sacro” (1). Le previsioni dei sociologi degli anni 1960 parlavano di “morte delle Chiese” e nel 1970 l’antropologo Anthony Wallace affermava che il futuro evolutivo della religione doveva essere l’estinzione. Auguste Comte (1798-1857), il padre del positivismo, disse che l’umanità passa attraverso tre stadi: lo stadio magico, lo stadio religioso e poi quello scientifico. Egli riteneva che man mano che emerge la scienza, le religioni muoiono.

Gli studiosi, però, sono stati costretti in questi ultimi anni a mettere in discussione le loro tesi proprio alla luce della situazione religiosa profondamente mutata. Possiamo citare come esempio il caso del teologo battista dell’Università di Harvard, Harvey Gallagher Cox, il quale nel 1965 diveniva famoso con l’opera intitolata La città secolare (2), in cui presentava come evidente la progressiva diminuzione di interesse per la religione da parte dell’uomo contemporaneo. Nel 1995, con il volume dal titolo Fire from Heaven (“Fuoco dal cielo”)(3), lo stesso Cox diventa sostenitore dell’idea che ritiene superate le tesi enunciate nel testo del 1965. Dunque, le affermazioni degli studiosi che trenta, venti, ma forse anche dieci anni fa pronosticavano l’“epoca post-religiosa” si sono rivelate inesatte. Il volume di Cox in particolare fa riferimento alla corrente pentecostale-carismatica(4), ma offre anche l’occasione per sviluppare delle riflessioni più generali.

Uno dei più noti specialisti di indagini statistiche sulla religione, Laurence R. Iannaccone, nel settembre del 1998, scrive che è stata dimostrata falsa la tesi per cui la religione declina quando la scienza e la tecnologia avanzano, infatti in base ai dati statistici e storici si può notare una continua vitalità della religione(5).

 

1. Il dibattito sulla secolarizzazione

Mentre il numero delle persone che si dichiarano atee e agnostiche declina quasi ovunque, in quasi tutti i paesi del mondo – con la sola eccezione di alcuni paesi europei a lungo sottoposti al comunismo – il numero di coloro che dichiarano di credere in una qualche forma di potere superiore alla persona umana, a una vita dopo la morte o affermano di dedicare qualche tempo durante la settimana a forme di preghiera e meditazione si attesta intorno all’80%, con punte in paesi non secondari – Stati Uniti compresi – intorno al 90%.

Le statistiche dunque affermano che l’ateismo (6) è decisamente in declino, l’interesse per la religione è in aumento, ad essere entrato in crisi è invece il concetto di “secolarizzazione”. Di essa in sociologia si danno due definizioni, delle quali, alla luce della odierna situazione religiosa, una sola appare come valida.

Se per “secolarizzazione” – secondo una definizione di carattere quantitativo – si intende quel processo per cui c’è sempre meno religione, si può dire chiaramente che la secolarizzazione non c’è, oppure che ne esiste molto meno di quello che veniva pronosticato. Se invece per “secolarizzazione” si intende – secondo una definizione di tipo “qualitativo” sostenuta e introdotta inizialmente dal sociologo inglese Bryan Wilson – il fatto che non c’è meno religione, ma, seppure ce ne può essere anche di più, essa conta sempre meno, allora con questo termine si inquadra correttamente la situazione attuale, in cui la religione è passata ad essere da fatto con forte rilevanza pubblica, un fatto privato; si è assistito dunque ad una privatizzazione del sacro.

Il filosofo italiano Augusto del Noce (1910-1989) aveva giustamente osservato che la secolarizzazione non è solo “espansione dell’ateismo” (7), ma anche emergere di “nuove forme di mitologismo” (8) che si presentano come mitologie aventi carattere privato, in quanto non si fondano su un diffuso consenso – almeno presunto – verso una verità. Nel periodo che viviamo la religione può essere paragonata ad una attività come lo sport o la moda, cioè ad un ambito in cui si cambia facilmente e proprio per questo essa non riesce – se non con rare eccezioni – ad incidere sulle grandi scelte dell’uomo. La secolarizzazione è perciò definibile come un processo qualitativo in cui la religione si marginalizza e quindi determina in maniera sempre minore le grandi scelte culturali, morali e politiche. A questo processo di marginalizzazione, che in alcuni Paesi diventa un processo di vera e propria “scristianizzazione”, si accompagna il successo di forme religiose che non pretendono di orientare la cultura oppure non sono attrezzate per fare questo. La religione si esprime perciò in “religiosità” (e spesso in “nuova religiosità”, che presenta dottrine diverse dal cristianesimo), cioè in un “credere senza appartenere” (“believing whithout belonging”, secondo l’espressione della sociologa anglosassone Grace Davie (9)) o in forme religiose non strutturate o istituzionalizzate.

 

2. Fides et ratio

Il Santo Padre Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Fides et ratio, al n. 91, rileva come: “La nostra epoca è stata qualificata da certi pensatori come l’epoca della “post-modernità”. Questo termine, utilizzato non di rado in contesti fra loro molto distanti, designa l’emergere di un insieme di fattori nuovi, che quanto a estensione ed efficacia si sono rivelati capaci di determinare cambiamenti significativi e durevoli”. In particolare, nel quadro di tali “cambiamenti”, si sono manifestate “reazioni che hanno portato a una radicale rimessa in questione” della “pretesa razionalista” tipica della modernità; così, “sono nate correnti irrazionaliste” (10). L’Enciclica, dopo avere sottolineato la necessità che l’uomo utilizzi sia la fede che la ragione per rispondere alle domande cruciali sulla sua origine e sul suo destino, descrive una lunga stagione (iniziata con la crisi del Medioevo), in cui la ragione ha dapprima cercato di inglobare la fede, quindi ha preteso di farne a meno, infine l’ha combattuta in modo esplicito. Scrive Massimo Introvigne: “Nell’epoca post-moderna si ripresenta – peraltro non per la prima volta – la possibilità di un rovesciamento di questo scenario. L’epoca della crisi della ragione è il tempo in cui si ripresenta una fede – non necessariamente la fede cristiana – separata dalla ragione. Come Giovanni Paolo II ha sottolineato in tutto il suo magistero, una fede privata della mediazione razionale è una fede incapace di diventare cultura e quindi di animare la società” (11). Nel migliore dei casi, una fede separata dalla ragione si riduce – secondo la Fides et ratio – a “sentimento ed esperienza”; nel peggiore, “cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione” (12).

Annota ancora in maniera puntualissima Introvigne: “[…] si nota il crescente interesse per forme di rapporto con il sacro dove il percorso prevale sul discorso, il mythos sul logos, fino a quel rischio di costruire fedi senza ragione – o peggio di cadere nella superstizione – denunciato dalla Fides et ratio. Diversi sociologi invitano del resto, quando si tratta del sacro postmoderno, a partire da un dato di carattere negativo: dalla fine degli anni 1980, il consenso di massa nei confronti della scienza – particolarmente della medicina, la scienza “pratica” con cui le persone comuni vengono più normalmente a contatto – non è più unanime. A partire dagli ultimi anni del decennio 1980, in diversi paesi, il consenso popolare nei confronti della scienza e della medicina scende a quelli che sono probabilmente i livelli più bassi del secolo (13). Per converso, qualunque forma di cura medica che si presenti come “alternativa” rispetto alla medicina “ufficiale”, o da questa disapprovata, incontra immediatamente un vasto consenso popolare. Sembra che il termometro scientifico scenda e che salga il termometro del sacro: qualche volta – però – piuttosto in direzione dell’irrazionalismo, della ricerca acritica del miracoloso, o – in altri contesti – della magia”(14).

Sembra davvero che il termometro scientifico scenda e che salga il termometro del sacro, in direzione però, sempre più spesso, di forme di sacro aperte al meraviglioso e al “reincanto del mondo”.

 

3. Le tappe della secolarizzazione

Nella storia dell’Occidente, il fenomeno della secolarizzazione ha assunto diverse forme che rappresentano le vicenda della non-presenza o della crescente assenza – nelle grandi scelte – della religione nel mondo moderno e, oggi, post-moderno. La scuola di pensiero cattolico contro-rivoluzionario, le cui concezioni sono state spesso riprese dal Magistero Pontificio (ma non mancano neppure significative convergenze con autori non cattolici), rappresentata in particolare dal pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), ha sintetizzato la storia moderna dell’Occidente come la vicenda di un progressivo allontanamento della società dai valori cristiani (e in maniera specifica, cattolici) prima condivisi. La storia moderna occidentale può essere così suddivisa in quattro diverse tappe o “Rivoluzioni” (15).

 

A. La “Prima Rivoluzione”

La “Prima Rivoluzione” è rappresentata dall’Umanesimo rinascimentale (XIV sec.), il quale chiede l’emancipazione dell’uomo dalla Chiesa. Con esso non si arriva ancora decisamente a negare le verità della fede cristiana, ma si richiede l’autonomia dalla fede nell’organizzazione della vita dell’uomo. Se da un lato la Riforma protestante del XVI secolo rappresenta una reazione contro l’Umanesimo e la sua penetrazione nella Chiesa di Roma, dall’altro la stessa produce secolarizzazione. Infatti, seppure non era intenzione dei riformatori far diminuire il peso della religione nel mondo occidentale, di fatto, attraverso scismi e divisioni che hanno origine proprio nella Riforma, si accentua il processo di rottura dell’unità occidentale incominciato proprio con l’Umanesimo. Di fatto, lo stesso padre della “Riforma storica” o “classica” (16), Martin Lutero (1483-1546), ha favorito il proliferare di un grandissimo numero di denominazioni e, grazie alla sua forte critica al principio di autorità nella Chiesa, ha aperto ad una pluralità di interpretazioni soggettive dell’unico messaggio cristiano. Non a caso, già nell’anno 1700, negli Stati Uniti e in Inghilterra erano presenti circa mille denominazioni cristiane. Di fronte a questa disomogeneità, ci furono due tipi diversi di risposte: quella della Riforma cattolica, che tentò di riconquistare l’omogeneità perduta e quella massonica che mirò alla instaurazione di una norma di comportamento che vietava di trattare in loggia questioni di religione e politica e perciò scansava i problemi su cui si poteva divergere, proponendo una diversa riconquista dell’omogeneità, ottenuta per via iniziatica. Quando nasce nel XVII secolo – costituendosi ufficialmente in quello successivo –, la massoneria raggruppa tanti protestanti che la pensano diversamente, essa così dal suo sorgere si presenta come un potente motore di secolarizzazione e relativismo (17).

 

B. La “Seconda Rivoluzione”

La “Seconda Rivoluzione” coincide con l’Illuminismo settecentesco ed ha la sua manifestazione più evidente nella Rivoluzione francese (18). In questa tappa non ci si accontenta più semplicemente di organizzare le scelte sociali dell’umanità prescindendo dalla Chiesa, ma si va in maniera esplicita contro la Chiesa. Ammettendo comunque che l’uomo è naturalmente religioso, si ricercheranno forme religiose alternative al cristianesimo tradizionale (proprio nell’epoca illuminista si sviluppa infatti il movimento orientalista), attribuendo a Gesù Cristo il ruolo di “grande maestro”, ma non certo quello di Dio fatto uomo per salvarci. Parlando dell’Illuminismo è utile – come fa anche Giovanni Paolo II (19) – introdurre la distinzione fra “secolarismo” e “secolarizzazione”. I due termini non vanno confusi, in quanto se la secolarizzazione – di cui si è già detto – è un fatto, il secolarismo è un’ideologia; si potrebbe dire che esso è la costruzione, realizzata da uomini ostili alla religione, di “strumenti” per produrre secolarizzazione (intendendo quest’ultima sia in senso quantitativo che qualitativo). L’Illuminismo – soprattutto con la grande e violenta epifania della Rivoluzione francese – è stato, appunto, uno di questi “strumenti”, affermando la decisa separazione fra Stato e Chiesa e, per un certo periodo, addirittura fra Stato e Dio dei cristiani. Pur tenendo conto del coraggio manifestato dai martiri, della eroica resistenza vandeana e del Concordato del 1801 – che rappresenta perlomeno un ridimensionamento delle intenzioni drastiche dei rivoluzionari che volevano eliminare dalla Francia il Dio cristiano – si deve affermare che la Chiesa non è uscita del tutto vincitrice dalle drammatiche vicende francesi di fine Settecento, in quanto la pratica cattolica negli anni 1820-1825 appare calata in maniera consistente e si nota l’affermazione di una pluralità di proposte alternative comprendente i culti razionalisti, le correnti di carattere profetico-avventista, lo spiritismo – che si afferma in questo periodo in particolare con Franz Anton Mesmer (1734-1815), il fondatore della teoria del “magnetismo animale” –, il movimento orientalista, l’occultismo e la magia. Il mondo rivoluzionario, giacobino e anti-cattolico è quindi il luogo dove sorge una parte importante del fenomeno dei nuovi movimenti religiosi; non bisogna poi dimenticare il fatto che la massoneria esercitò una influenza sulla stessa Rivoluzione, soprattutto ponendo l’accento sul deismo, cioè sulla credenza tipica di una religione razionale che nega la validità della Rivelazione storica, ma che ammette l’esistenza di Dio come garante dell’ordine naturale. Concludendo il discorso sulla “Seconda Rivoluzione”, si deve dunque affermare che l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, affermando la separazione fra Chiesa e Stato, la marginalizzazione della religione, favorendo il pluralismo e dunque un relativismo dottrinale, sono stati forti “strumenti” di una secolarizzazione le cui conseguenze sono ancora oggi con noi.

 

C. La “Terza Rivoluzione”

La “Terza Rivoluzione” è invece rappresentata dall’epoca delle grandi ideologie (secc. XIX-XX). Esse negano addirittura che l’uomo sia naturalmente religioso e non si sforzano solo di organizzare la vita sociale contro le Chiese, ma contro la religione, che viene rimpiazzata da un’ideologia che si fa essa stessa religione. Al centro dell’esperienza umana non c’è più Dio, ma la razza, il partito e la classe sociale, il proprio io o la propria psicologia come affermano, rispettivamente, Adolf Hitler (1889-1945), Karl Marx (1818-1883) e Vladimir Ilic Lenin 1870-1924), Sigmund Freud (1856-1939). Fra queste ideologie – che, evidentemente, a causa delle loro sostanziali differenze non vanno confuse – è possibile rintracciare un minimo comune denominatore: esse intendono estirpare la religione dal cuore dell’uomo per sostituirla con altre forme di devozione, ricorrendo anche alla persecuzione psicologica e fisica, come nel caso della Germania nazista o dei Paesi a regime comunista.

 

D. La “Quarta Rivoluzione”

Infine, oggi noi viviamo la “Quarta Rivoluzione”, quella che segue il crollo delle costruzioni troppo perfette delle ideologie. Queste si rompono e, rompendosi, producono frammentazione; non si torna dunque a forme precedenti di unità intorno a valori etici o religiosi condivisi, ma si afferma in maniera molto consistente e dilagante il relativismo. Mano a mano che le varie ideologie hanno perso la loro credibilità, si è assistito al “ritorno del religioso” e con esso al sorgere della secolarizzazione intesa in senso qualitativo. Se la religione oggi è malata, non lo è certamente per inedia, ma piuttosto per un’eccessiva presenza di proposte spirituali. Gli studi sui nuovi movimenti religiosi prendono normalmente in considerazione quattro diversi tipi di gruppi:

  1. l’esplosione del nuovo protestantesimo evangelico e pentecostale, caratterizzato da un letteralismo biblico, un proselitismo spesso aggressivo, una attenzione ai temi apocalittici e miracolosi, un atteggiamento riservato nei confronti dell’ecumenismo (con punte di notevole aggressività anti-cattolica);
  2. i gruppi nati in ambito cristiano, cioè le “sette” (20) nel senso proprio del termine: gruppi che rivendicano un’origine cristiana, ma si discostano in maniera radicale dalla dottrina della Chiesa cattolica e delle altre Chiese cristiane;
  3. i gruppi di origine orientale, che cioè gettano le loro radici nella tradizione filosofico-religiosa dell’Oriente;
  4. i gruppi che possono anche non nascere direttamente da un retroterra religioso, ma che giungono a sviluppare tematiche religiose a partire da tecniche di auto-perfezionamento, di meditazione o di terapia. A questa categoria appartengono i gruppi detti “del potenziale umano” (fra cui spicca per importanza la Scientologia) e possono esservi ricondotti fenomeni come il New Age e i nuovi movimenti magici (cioè quei gruppi che praticano in forma organizzata la magia, lo spiritismo o il satanismo).

Ma le nuove religioni, fatta eccezione per il New Age che – come diremo – è una realtà del tutto particolare tanto da non poter neppure essere definita come “movimento”, rappresentano ancora un fenomeno contenuto dal punto di vista dell’appartenenza. Impressiona invece notevolmente, ed esprime in maniera significativa il clima di frammentazione tipico della “Quarta Rivoluzione”, la grande diffusione delle “nuove credenze”, che costituiscono l’ambito della “nuova religiosità” propriamente detta. Essa comprende credenze come la reincarnazione, l’efficacia delle pratiche occulte, dei maghi a pagamento, il relativismo, lo spiritismo e una grande serie di altri atteggiamenti, spesso tratti dalle tradizioni filosofiche e religiose orientali, che si riscontrano in persone che non hanno la minima intenzione di aderire ai nuovi movimenti religiosi o magici. Queste spesso sono cattolici anche praticanti, i quali abbracciano idee estranee, contrarie o incompatibili con la fede della Chiesa cattolica, le quali spesso – come cavalli di Troia che sotto un’apparenza pacifica celano pericoli nascosti – si insinuano negli ambienti ecclesiali grazie anche all’influenza di alcuni nuovi movimenti e particolarmente del New Age. Le nuove credenze quantitativamente rappresentano un fenomeno decisamente significativo, in quanto coinvolgono da un quinto a un quarto della popolazione italiana. In particolare, il relativismo – che dal punto di vista religioso è l’idea secondo cui non esistono verità religiose e in fondo tutte le religioni sono uguali – secondo alcune indagini, appare addirittura come una prospettiva maggioritaria in un’Italia dove i cattolici praticanti non sono più di un terzo della popolazione. Aiutano a mettere in luce il reale pericolo che le nuove credenze rappresentano per la fede cattolica alcune parole di Giovanni Paolo II, in cui il Papa sottolinea il fatto che il tratto e la caratteristica essenziale della fede deve essere l’integrità ed esorta quindi a custodire questo patrimonio che, tramite la Chiesa, giunge ad ogni cristiano direttamente da Gesù. La Madre di Dio, Maria Vergine, appare allora come l’esempio e il modello di Colei che ha saputo custodire una fede “verginalmente integra”: “Il Concilio [Vaticano II] esorta i fedeli a guardare Maria, perché ne imitino la fede “verginalmente integra”, la speranza e la carità. Custodire l’integrità della fede rappresenta un compito impegnativo per la Chiesa, chiamata ad una vigilanza costante, anche a costo di sacrifici e di lotte. Infatti, la fede della Chiesa è minacciata, non solo da coloro che respingono il messaggio del Vangelo, ma soprattutto da quanti, accogliendo soltanto una parte della verità rivelata, rifiutano di condividere in modo pieno l’intero patrimonio di fede della Sposa di Cristo. Tale tentazione, che troviamo sin dalle origini della Chiesa, continua purtroppo ad essere presente nella sua vita, spingendola ad accettare solo in parte la Rivelazione o a dare alla Parola di Dio un’interpretazione ristretta e personale, conforme alla mentalità dominante e ai desideri individuali. Avendo pienamente aderito alla Parola del Signore, Maria costituisce per la Chiesa un insuperabile modello di fede “verginalmente integra”, che accoglie con docilità e perseveranza tutta intera la Verità rivelata. E con la sua costante intercessione, ottiene alla Chiesa la luce della speranza e la fiamma della carità, virtù delle quali, nella sua vita terrena, è stata per tutti esempio ineguagliabile” (21).

Solo coloro che ragionano in base a idee ricavate da una mentalità secolare possono essere stupiti da questo “ritorno del religioso”, in quanto la storia mostra che è proprio nel momento in cui crollano le certezze abituali che gli uomini, con una buona dose di timore ed insicurezza, incominciano a porsi interrogativi fondamentali di carattere esistenziale (senso della vita, futuro) e – quindi – religioso. Paradossalmente, si può dire, che il risultato ultimo del lungo processo di secolarizzazione – e di frammentazione – è la religione.

 

4. La fine della modernità

L’esito delle quattro “Rivoluzioni” è quindi un mondo frammentato dal punto di vista religioso e culturale. In esso dominano un assoluto pluralismo e relativismo. L’epoca post-moderna è dunque caratterizzata dalla crisi dei miti che avevano caratterizzato il periodo precedente della modernità: la ragione illuminista, la scienza, il progresso. Secondo i suoi teorici, la post-modernità è il momento storico in cui non si crede più che per ogni domanda esista una sola risposta “vera”, “razionale” o “scientifica”. Oggigiorno – per i nostri contemporanei – la scienza non è più sicura della magia e la medicina della fede in guarigioni miracolose (dimostra questo anche l’enorme diffusione delle pratiche terapeutiche alternative). La realtà, dunque, per l’uomo post-moderno non è altro che “un fascio di infinite, possibili interpretazioni” (22). Questo odierno relativismo è spesso presentato come una novità assoluta, ma in realtà esso rappresenta una versione aggiornata e più estrema di quello già di fatto introdotto dalla modernità.

Limitandosi comunque ad una descrizione fenomenologica dei fatti, si deve rilevare che nell’epoca post-moderna, in base al dilagante relativismo, scienza, religione, magia, fede, ragione, intuizione…. sono semplicemente tutte messe sullo stesso piano.

Un’icona tipica della post-modernità è allora quella che rappresenta in un’ipotetica stanza lo scienziato, il teologo ed il mago tutti sullo stesso piano. Qualche anno fa – in base alle concezioni della modernità o di quello che di esse rimaneva – lo scienziato sarebbe stato collocato su un piedistallo, il teologo più in basso e il mago non sarebbe neppure potuto entrare dalla porta.

 

5. Un “mondo in frantumi”

Un autore russo contemporaneo, Aleksàndr Isaevic’ Solz’enicyn, ha descritto il momento attuale con una espressione felice: “mondo in frantumi” (23). Questa espressione è davvero ricca di significato, in quanto non fa semplicemente riferimento al risultato del processo storico che abbiamo periodizzato grazie allo schema delle quattro “Rivoluzioni”, ma allude ad una originaria omogeneità e unità che storicamente è individuabile nella Societas christiana medioevale che ha la sua epifania nel Sacro Romano Impero, sorto dalle ceneri dell’Impero romano, dalla convergenza dell’elemento barbarico e dall’opera di coesione e di cristianizzazione attuata dalla Chiesa (24) (grazie soprattutto all’apporto del monachesimo). L’”unità perduta” è dunque rappresentata dall’Occidente cristiano medioevale, dove la Chiesa romana era la guida della vita sociale, culturale, politica e –ovviamente – religiosa.

Secondo lo storico tedesco R. Stadelmann la “cerniera” fra l’età medioevale e quella moderna è rappresentata dalla figura di Lutero, il quale aveva soprattutto l’intenzione di reagire contro l’Umanesimo di Erasmo da Rotterdam (1466 o 1469-1536). Il Medioevo, dunque, si concluderebbe con la Riforma protestante all’inizio del XVI secolo (25). Se dal punto di vista storiografico la tesi di Stadelmann – rispetto ad altre teorie di storici che hanno considerato il periodo medioevale da prospettive differenti – pare retrodatare la fine del Medioevo, e pur considerando il fatto che l’ideale di un impero sacro e romano cade già negli anni 1300 – periodo in cui nasce l’idea e l’organizzazione degli Stati moderni –, è interessante – almeno simbolicamente – la coincidenza fra la fine del Medioevo pensata dallo storico tedesco e l’inizio del processo di secolarizzazione che prende il via dalla “Prima Rivoluzione” umanista e riformista, che di fatto conduce alla perdita dell’unità e nell’omogeneità realizzatesi nella Societas christiana medioevale (26), fino a condurre all’attuale “mondo in frantumi”.

Questa espressione di Solz’enicyn è stata ripresa da Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia. Il Papa, affermando che “la visione di un mondo “frantumato” traspare dall’opera di non pochi scrittori contemporanei, cristiani e non cristiani, testimoni della condizione della nostra tormentata epoca” (27), conclude che “questo mondo frantumato fin dalle sue fondamenta” presenta “lacerazioni … impressionanti” e che “soltanto osservando in profondità si riesce a individuare la loro radice: questa si trova in una ferita nell’intimo dell’uomo. Alla luce della fede noi la chiamiamo il peccato: cominciando dal peccato originale, che ciascuno porta dalla nascita come un’eredità ricevuta dai propri genitori, fino al peccato che ciascuno commette, abusando della propria libertà” (28).

 

6. Le reazioni di fronte alla “società complessa”

Ciò che l’autore russo ed il Papa definiscono “mondo in frantumi” (e che A. J. Toynbee chiama “time of troubles”, cioè “tempo di noie”, di problemi) non è altro che l’odierna “società complessa”, che propone messaggi fra loro contraddittori non su punti secondari, ma su valori fondamentali, seppur singolarmente caratterizzati da pretese di autorevolezza. Una tale società, disomogenea nella sua complessità, crea indubbiamente situazioni di forte disagio all’uomo contemporaneo, bersagliato da una enorme pluralità di messaggi discordi (29).

Questo disagio si esprime talvolta nel rifiuto dello Stato e della politica, nel disimpegno sociale, nella fuga verso la droga e la protesta disperata – ma non raramente manipolata – del terrorismo. Spesso, però, il linguaggio del disagio è di tipo religioso o sacrale; in questo senso si notano due diversi modi di espressione.

  1. Una prima espressione del disagio di fronte alla società complessa è rappresentata dalla reazione di fuga verso ambiti che si presentano come “isole” protette che rifiutano la complessità. Gli aderenti a queste realtà talvolta cambiano il nome e il modo di vestire proprio per sottolineare il loro distacco dal mondo. Questo è il caso – per ciò che riguarda il contesto dei nuovi movimenti religiosi – degli Hare Krishna (30) che si ritirano in monasteri più o meno isolati, dove generalmente non si leggno giornali e non si vede la televisione e quindi si è sottratti alla pluralità dei messaggi esterni al gruppo, ma un esempio di fuga dalla società complessa è anche Damanhur, una comunità sorta nel 1975 a Baldissero Canavese tra i monti della Valchiusella (in Piemonte) su idea di Oberto Airaudi. Su un’estensione di circa 120 ettari furono costruiti case, negozi, laboratori, coltivazioni agricole, scuole; vi è anche una università, la Libera Università di Damanhur, con sede a Torino, dove si tengono corsi di pranoterapia, cromoterapia (la pratica terapeutica alternativa che intenderebbe curare le malattie con i colori), ipnosi e magia acquariana. La comunità di Damanhur ha costruito anche un maestoso tempio – il Tempio dell’uomo – scavato dentro la montagna, si è dotata di una casa editrice (edizioni Horus), di una propria moneta e si è proclamata repubblica indipendente. Nata dall’ambiente del New Age, seppure continua a fare riferimento ad esso, la comunità di Damanhur si è sviluppata in maniera autonoma come nuovo movimento magico, basandosi su una complessa ideologia magica. Sempre per sottolineare la fuga dalla società esterna, gli aderenti cambiano il loro nome, assumendone uno doppio di un animale e di una pianta (31). Se gli Hare Krishna e Damanhur rappresentano esempi di distacco dal mondo inteso in senso fisico, il caso dei testimoni di Geova dimostra che la “separatezza” può essere acquisita anche come atteggiamento psicologico attraverso un’opera di educazione. Essi rimangono all’interno della società, ma si considerano individui “separati”, il loro tempo libero è interamente dedicato al gruppo ed alla attività di proselitismo che mira a “separare” altri individui dalla società, per condurli alla salvezza (32).
  2. L’altro atteggiamento di fronte al disagio della società complessa – oltre alla reazione di fuga – è quello di chi, anziché rifiutare, accetta acriticamente e in blocco tale società e le sue proposte varie e contraddittorie, incarnando una forte tendenza di carattere sincretista e relativista. Si sviluppano in tal modo alcuni gruppi unificazionisti, come la Chiesa dell’Unificazione fondata dal coreano reverendo Sun Myung Moon (33) o realtà e movimenti che, risvegliando il sincretismo come categoria culturale e spirituale, lo applicano a tutti gli ambiti del reale: rapporto con il sacro, spiritualità, religioni, cultura e scienza. Le realtà che accettano e promuovono il sincretismo e il relativismo affermano che la contraddizione insita nei messaggi che caratterizzano la società complessa è solo apparente e dovuta ad equivoci, che possono e devono essere superati. Dal momento che il piano logico non permette di superare tali contraddizioni – ad esempio, l’idea di reincarnazione e quella cristiana di risurrezione, non possono in ogni caso essere conciliate (34) –, si ricorre ad un piano diverso. Non si persegue lo sforzo di realizzare “unità” nella contraddizione attorno ad un dottrina, ma piuttosto ad un insieme di simboli oppure ad un maestro o guru, ritenuto in grado di fare unità non tanto con il suo discorso, ma con la sua persona che riassume e supera in sé le contraddizioni. Significativa in tal senso è la figura del guru indiano Sai Baba (35). Dalle forme di semplice sincretismo si distingue la tesi che afferma l’esistenza di due livelli della realtà: le contraddizioni tipiche della società complessa appaiono reali solo al primo livello esterno e superficiale, mentre chi riesce ad approdare al secondo livello scopre un mondo non più contraddittorio. Questa tesi rappresenta una volgarizzazione dello stile di pensiero esoterico classico (36) e propone – ovviamente, secondo innumerevoli varianti – l’idea per cui l’”iniziato” è capace di passare da un livello “esterno” (essoterico) in cui vivono tutti gli uomini ad un livello più profondo (esoterico), a cui giunge solo chi detiene un sapere occulto riservato a pochi. Le singole tradizioni religiose – secondo questa tesi – vengono presentate solamente nel loro aspetto essoterico, ma l’”iniziato” potrà coglierne il “nucleo esoterico” e segreto che sarebbe presente in tutte le religioni e che garantirebbe un’omogeneità che superi le contraddizioni evidenti. A questa tesi riguardante le religioni – peraltro presente in tutta la storia dell’esoterismo – si aggiunge anche l’idea di una “unità segreta” fra religioni e scienze: talvolta circola l’idea che in alcune università o laboratori scientifici ci sia una stanza segreta dove gli scienziati mettono in comune il loro sapere occulto (che non rivelano al grande pubblico) che sarebbe omogeneo rispetto allo stesso “nucleo esoterico” delle religioni di cui si è detto. Queste affermazioni – così come quelle di tutti gli ambienti che sostengono il sincretismo – presuppongono la necessità di superare contraddizioni di fatto insuperabili sul piano logico, che in ogni caso si vuole superare. Si entra così in un ambito diverso rispetto a quello dell’intelligenza: l’ambito in cui “la volontà si fa potere” (37), cioè il mondo della magia, dove la volontà dell’uomo non si inchina umilmente e con riverenza davanti al sacro, ma pretende di manipolarlo secondo i suoi fini (38).

 

7. Tra buone e cattive notizie

Si potrebbe dire, alla luce di quanto si è fino ad ora argomentato, che l’esito del processo di secolarizzazione è stato duplice: da una parte esso ha condotto alla frammentazione, alla disomogeneità, al pluralismo e alle contraddizioni del “mondo in frantumi” e della società complessa; dall’altro ha manifestato come risultato evidente ma non atteso il “risveglio religioso” o il ritorno del sacro, cioè la fine della secolarizzazione intesa come assenza della religione.

Ma, ovviamente, lo stesso “ritorno del sacro” si colloca all’interno del contesto della frantumazione e della disomogeneità, per cui esso è per le Chiese cristiane contemporaneamente una buona ed una cattiva notizia: è una buona notizia perché la religione mostra di essere un elemento costitutivo e fondamentale dell’uomo di tutti i tempi; infatti, oggi, il senso religioso esprime la sua capacità di riemergere nonostante i diversi tentativi del secolarismo ed in particolare i secoli della propaganda razionalista, che in nome della ragione voleva mettere da parte la religione per dare spazio alla sola scienza. In fondo, si rivela vero quanto affermava il celebre fenomenologo delle religioni Mircea Eliade (1907-1986), il quale affermava che essere uomo significa essere religioso e che gli uomini sono religiosi perché sono intelligenti (39). D’altra parte, come scrive Papa Giovanni Paolo II in Fides et ratio, “Un semplice sguardo alla storia antica, d’altronde, mostra con chiarezza come in diverse parti della terra, segnate da culture differenti, sorgano nello stesso tempo le domande di fondo che caratterizzano il percorso dell’esistenza umana: chi sono? da dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita? Questi interrogativi sono presenti negli scritti sacri di Israele, ma compaiono anche nei Veda non meno che negli Avesta; li troviamo negli scritti di Confucio e Lao-Tze come pure nella predicazione dei Tirthankara e di Buddha; sono ancora essi ad affiorare nei poemi di Omero e nelle tragedie di Euripide e Sofocle come pure nei trattati filosofici di Platone ed Aristotele. Sono domande che hanno la loro comune scaturigine nella richiesta di senso che da sempre urge nel cuore dell’uomo: dalla risposta a tali domande, infatti, dipende l’orientamento da imprimere all’esistenza” (40).

E’ però – per le Chiese cristiane – anche una cattiva notizia: solo una parte dei nostri contemporanei fa ritorno alle Chiese un tempo maggioritarie, anche perché queste ultime sono state colte piuttosto impreparate dal “ritorno del religioso”, in quanto si preparavano ad affrontare – come mostra, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, buona parte della teologia post-conciliare – una secolarizzazione di tipo quantitativo, cioè una diminuzione della religione. Per comprendere chi veramente beneficia del contemporaneo ritorno del sacro occorre in ogni caso superare alcuni pregiudizi tanto diffusi quanto infondati. Anzitutto, non è del tutto vero che il ritorno del sacro si verifichi completamente al di fuori delle religioni maggioritarie e delle Chiese storiche. Certamente, mentre le statistiche sul numero di persone che si dicono interessate alla religione o al sacro sono notevolmente simili da paese a paese, le statistiche sul numero dei praticanti sono molto diverse. Tuttavia, esistono elementi per ritenere che il declino della pratica religiosa in Occidente sia stato in qualche modo sopravvalutato, e che si sia diffuso un “mito della chiesa vuota”, come lo chiamava già nel 1993 Robin Gill (41). In alcuni paesi – fra cui gli Stati Uniti e l’Italia – il numero di cristiani praticanti, dalla fine degli anni 1980 a oggi, mostra quasi ogni anno un lieve incremento quantitativo. In particolare, confrontando i dati del 1981, 1990 e 1999 raccolti nell’ambito della Indagine Europea sui Valori (EVS) il numero di frequentatori regolari – settimanali o plurisettimanali – di funzioni religiose in Italia sale dal 35 al 37 e infine al quaranta per cento (dato che somma cattolici praticanti e praticanti di altre religioni) (42). Certo, si tratta di incrementi modesti che non giustificano da parte delle religioni nessuna forma di trionfalismo. Tuttavia, l’inversione di tendenza è importante: il declino della pratica religiosa non era – come qualcuno pensava – un tuffo nel vuoto. Assomigliava piuttosto a un tuffo in una piscina dove, toccato il fondo, si comincia – per quanto lentamente e faticosamente – a risalire. All’interno delle religioni tradizionali, e dello stesso cristianesimo, vi sono movimenti i cui ritmi di crescita non hanno nulla da invidiare ai gruppi neo-religiosi. Prescindendo dai fenomeni complessi che avvengono all’interno dell’islam, dell’induismo e dell’ebraismo – talora accomunati dall’etichetta, non sempre precisa, di “fondamentalismi” – si può notare, con Harvey Cox, che i movimenti di rinnovamento carismatico all’interno della Chiesa cattolica e le comunità pentecostali nel mondo protestante contano decine di milioni di fedeli e possono vantare ritmi di crescita superiori a quelli, spesso citati come spettacolari, dei mormoni o dei testimoni di Geova. Non rimane peraltro meno vero che, per quanto questi fenomeni siano interessanti e importanti, una parte sostanziale del ritorno del sacro va cercata al di fuori delle grandi religioni e delle Chiese storiche.

Il senso religioso, quindi, non riemerge solo in forme strutturate, ma piuttosto si manifesta con connotazioni particolari, poco istituzionali e individualistiche e non raramente prive di una certa ambiguità. La secolarizzazione, cioè la riduzione del rapporto con il sacro a fatto privato, fa sì che lo stesso rapporto non sia più vissuto all’interno di un’esperienza di tipo comunitario, ma si riduca ad una scelta del singolo che si trova di fronte una grande pluralità di proposte concorrenti. A questo proposito alcuni parlano di “supermercato delle religioni” o – come il sociologo inglese Paul Heelas – di “auto-religioni” (43), per indicare il fatto che ognuno tende a “costruirsi” la propria religione personale, scegliendo e fondendo in maniera sincretistica diversi elementi che vengono tratti dall’enorme offerta religiosa che caratterizza il mondo contemporaneo. Al servizio del “supermercato delle religioni” operano organizzazioni che non propongono solo modelli strutturati di rapporto con il sacro, ma piuttosto offrono dei mezzi con cui ciascuno in seguito possa costruirsi una religione su misura, attuando una versione religiosa della diffusa moda del bricolage.

In questo contesto, come risposta alla situazione di disagio creata dalla società complessa, si colloca – come abbiamo visto – in parte come fuga dalle contraddizioni di tale società e in parte come accettazione ed elaborazione delle stesse contraddizioni, il sorgere e lo svilupparsi di vari fenomeni della nuova religiosità, fra i quali il diffondersi dei nuovi movimenti religiosi e magici, dell’esoterismo, dell’occultismo, di ideologie e pratiche di derivazione gnostica e del New Age.

 

8. Il New Age: un fenomeno tipicamente post-moderno

Il New Age si inserisce proprio in questo contesto di “rinascita del sacro” in forme non strutturate e, in tal senso, appare tipicamente un fenomeno dell’epoca post-moderna, che, collocandosi in un contesto generale di frammentazione, disomogeneità, pluralismo e relativismo accetta, fa sue e sviluppa le contraddizioni del “mondo in frantumi”.

Parlare oggi del New Age significa riferirsi ad una visione del mondo e ad una realtà passata ormai attraverso una crisi che ha condotto ad una svolta in senso individualistico: il Next Age (44). Tuttavia, dal punto di vista sociologico e teologico, l’analisi del New Age nel contesto della frantumazione culturale, filosofica e religiosa post-moderna è, a parere di chi scrive, un punto chiave per comprendere uno scorcio interessante del panorama religioso in cui viviamo.

A. Il metanetwork come espressione del “mondo in frantumi”

Innanzitutto, dal punto di vista sociologico il New Age, a rigore, non è un “movimento”, quest’ultimo sarebbe infatti caratterizzato da alcuni elementi qualificanti come un minimo di struttura, una gerarchia riconoscibile, sedi, giornali ed attività che seguono in maniera più o meno rigida un programma preciso. Il New Age, invece, appare piuttosto come un ambiente, un clima, un’atmosfera. Secondo una corretta terminologia sociologica esso può essere descritto attraverso la categoria del network. Il termine indica una “rete” fluida e disarticolata di piccoli gruppi indipendenti che si ritrovano per iniziative o intorno a idee comuni, ma che possono presentare fra loro anche differenze e contraddizioni. Più precisamente, il New Age è un metanetwork perché ingloba una serie di network diversi accomunati dalla convinzione di essere prossimi o di stare già vivendo nella Nuova Era. Non ci sono capi, né forme di appartenenza rigide, le strutture invece non mancano, ma sono strutture di servizio e non di appartenenza, in quanto si occupano, ad esempio, della diffusione e della vendita di libri, riviste e altri prodotti.

Talvolta dal metanetwork emerge un gruppo che – magari seguendo la figura di un capo o di un guru – pur continuando a mantenere delle relazioni con l’ideologia del New Age, si struttura in movimento. Dall’ambiente del New Age nascono spesso nuovi movimenti religiosi e nuovi movimenti magici. Un esempio particolarmente significativo è la comunità di Damanhur, di cui si è già detto.

Giovanni Cantoni parla della presenza significativa di network della religione nel “mondo in frantumi” (45), interpretando appunto la presenza dei network come espressioni di un mondo disomogeneo. Cantoni fa riferimento in particolare al fenomeno pentecostale-carismatico, che – nel mondo protestante – rappresenta la risposta alla disomogeneità, in quanto, partendo dalla nostalgia dell’unità perduta dei credenti intorno alla Verità, propone un forte richiamo all’incontro personale con lo Spirito Santo. Al contempo, però, proprio per la sua struttura sociologica di network, il fenomeno pentecostale testimonia la difficoltà a pervenire a forme strutturate e organizzate e in tal modo dimostra di essere figlio della “Quarta Rivoluzione” e quindi del “mondo in frantumi”. Analogamente, la struttura sociologica del New Age mette in evidenza come caratteristica decisiva di questo fenomeno il fatto che esso è un’espressione tipica di un mondo frantumato, il mondo post-moderno.

B. Relativismo e sincretismo: accettazione e promozione delle contraddizioni della società complessa

Il New Age non rappresenta certamente una reazione di fuga di fronte al disagio causato dalle contraddizioni della società complessa, ma – al contrario – esso assume queste contraddizioni, accetta il relativismo e il sincretismo e se ne fa promotore, di fatto influenzando la stessa società in cui si propagano idee diffuse nei vari ambienti che fanno riferimento al metanetwork (instaurando così una sorta di circolo vizioso). Capita di leggere sulle riviste che si riferiscono al New Age frasi come la seguente: “… non si tratta di convertire, ma di capire, con la ragione e con la fantasia” (46). In questo caso, intelligenza e fantasia vengono poste sullo stesso piano, ma il New Age, all’insegna del relativismo, del sincretismo e dell’olismo afferma in generale la possibilità di conciliare tutti gli opposti.

 

· Il RELATIVISMO

Il relativismo rappresenta un tratto davvero qualificante del New Age, per cui non esiste la verità; ciascuno piuttosto si crea e si inventa il mondo che preferisce, dove potrà porre i propri criteri di verità e le proprie leggi. Quindi non esistono le verità morali, filosofiche e religiose. Ogni individuo si sente parte della natura e del cosmo intero, un microcosmo nel macrocosmo. Il pensiero razionale, che procede analiticamente e su cui sono basati i fondamenti della scienza naturale, deve cedere il posto al pensiero di sintesi ed alla conoscenza intuitiva basata sull’esperienza irrazionale. Questi presupposti fondano una nuova filosofia olistica(integrale, globale), secondo la quale scienza, fantasia, fede, mito e magia spesso finiscono per ritrovarsi sul medesimo piano. Tale stile di pensiero ha influenzato diverse attività, quali la medicina, l’ambiente, la famiglia, il lavoro, la pianificazione regionale, la pace mondiale e molte altre questioni. Esprime bene il clima di relativismo dominante nel New Age il dialogo fra l’entità Ramtha (che si manifesta attraverso una delle stelle del channeling, J.Z. Knight (47)) e un discepolo:

Ramtha: Ora, se uno crede nel diavolo e un altro non ci crede, chi ha ragione, chi è nella verità?Discepolo: Tutti e due.

Ramtha: Perché?

Discepolo: Perché ognuno ha la sua propria verità.

Ramtha: Corretto, corretto”” (48).

Il motto del New Age, che risuona nei messaggi che sarebbero comunicati agli uomini dalle entità del channeling – la moderna forma dello spiritismo, che gioca un ruolo notevolissimo nel New Age (49) –, consiste nell’invito a creare ognuno la propria realtà. Il relativismo è dunque diverso dallo scetticismo (per cui nessuna verità esiste), infatti esistono delle “verità relative” e con esse, appunto, delle realtà non oggettive, ma piuttosto soggettive. Questa concezione, definibile come “relativismo volontarista”, seppure reinterpretata attraverso il linguaggio della scienza moderna, getta le sue radici nella tradizione magico-occulta, dove – come già si accennava – la volontà ha un primato assoluto. Attraverso il relativismo volontarista, dunque, il New Age cerca di superare le contraddizioni non superabili sul piano logico, facendo ricorso alla magia. Anche in questo il New Age dimostra di assumere i tratti tipici della post-moderrnità.

 

· Il SINCRETISMO

Per ciò che riguarda la religione il relativismo si esprime con il sincretismo: il New Age afferma che tutte le religioni e le mitologie sono uguali, in conseguenza di ciò abbandona la religione rivelata per favorire una vaga “religione cosmica”. A chi obietta che in realtà, su molti punti, le religioni si contraddicono, i new agers rispondono che il “meglio” di ogni religione sta nel suo aspetto esoterico o segreto (ancora una volta rivelando il New Age come figlio del post-moderno o della società complessa, con le sue contraddizioni non risolvibili se non ricorrendo ad altro rispetto alla logica). Questa affermazione dal punto di vista dello studio comparato della storia delle religioni senza dubbio non è reale, infatti la reincarnazione e la risurrezione non possono in nessun modo coincidere, a meno che non si affermi che le religioni non-reincarnazioniste sostengano la reincarnazione in un nucleo di insegnamenti esoterici; ma ciò è falso. Secondo i new ager è preferibile parlare di “spiritualità” (che non comporta il riferimento a dogmi o tesi precise) piuttosto che di “religione”. Criticando le religioni in genere (anche per questo si preferisce parlare di “spiritualità”), il New Age le accusa di promuovere un concetto “monastico” di santità, impossibile da raggiungere per l’uomo impegnato nella vita di tutti i giorni. Da qui la critica contro la “religione della domenica” e la ricerca una spiritualità capace di entrare nel quotidiano. Un manifesto del New Age pare ben esprimere con una metafora l’atteggiamento del New Age di fronte alle religioni:

D: Che cosa chiede un monaco Zen a un banco dove si vendono hot dog?R: Fammene uno ripieno di tutto” (50).

 

C. Il ruolo storico del New Age fra modernità e post-modernità

Seppure il New Age è un metanetwork e non nuovo movimento religioso, per comprenderne adeguatamente e in maniera più precisa il ruolo e la sua posizione storica, si rivelerà opportuno illustrare lo schema di classificazione e tipologia relativo ai nuovi movimenti religiosi. Vi sono diverse ottiche secondo le quali è possibile tentare questa classificazione, ma quella che appare più interessante è la classificazione di carattere dottrinale, proposta nel 1989 da Massimo Introvigne (51).

Nel magistero di Giovanni Paolo II (52) viene proposta una visione cristiana del mondo e della storia che presuppone un quadro di riferimento teologico articolato in cinque elementi fondamentali: il mondo (cosmos), che ha una dimensione sacra e a suo modo misteriosa che ne svela il carattere creato; il senso religioso, che sorge nell’uomo come domanda di fronte al mistero dell’esistenza umana e dello stesso mondo; Dio, come risposta adeguata alla domanda dell’uomo; Cristo, Via necessaria perché l’uomo, nonostante il peccato, incontri in Dio la risposta alla sua domanda e infine la Chiesa, luogo che permette e garantisce l’incontro con Cristo. In un processo in cui questi elementi, che costituiscono la sintesi della visione cristiana del mondo, vengono progressivamente negati, possiamo distinguere quattro fasi o tappe storiche fondamentali che costituiscono le diverse “ondate” della nuova religiosità. I nuovi movimenti religiosi vengono così suddivisi in quattro fasi, che corrispondono di fatto al grado di distacco dalla specifica visione del mondo propria della Chiesa cattolica. Proprio per questo ha senso parlare di “nuovi” movimenti religiosi, in quanto, se relazionati alla dottrina cattolica, essi appaiono come gruppi che rifiutano uno o più elementi di tale sistema di pensiero.

  1. La prima fase coincide con il rifiuto del ruolo della Chiesa (“Cristo sì, Chiesa no”). Questo rifiuto è all’origine di due diverse famiglie di movimenti: i movimenti di origine protestante, dove la rottura è solo ecclesiologica, e i movimenti di origine cristiana, dove la rottura è insieme ecclesiologica e teologica. Fanno parte di queste categorie i movimenti che vogliono instaurare una nuova Chiesa, a differenza dei protestanti della Riforma storica che volevano unicamente riformare l’unica Chiesa esistente. Essi si basano in genere sulla asserzione di particolari rivelazioni che i fondatori avrebbero avuto da Dio stesso. Appartengono a queste famiglie i testimoni di Geova, i mormoni, solo per ricordare alcuni fra i nuovi movimenti religiosi più noti.
  2. La seconda fase coincide con il rifiuto del ruolo di Gesù Cristo (“Dio sì, Cristo no”). Questa ondata è caratterizzata dalla ricerca di alternative non solo alla Chiesa cattolica, ma allo stesso cristianesimo. Come già accennato parlando della “Seconda Rivoluzione”, la ricerca di temi religiosi orientali sorge con una certa ala della Rivoluzione francese, il cosiddetto movimento orientalista, ed è alle origini dell’attuale diffusione di nuovi culti di origine orientale in Occidente. Possono qui essere ricordati: la Soka Gakkai di origine giapponese (nata dal buddhismo), gli Hare Krishna e l’Organizzazione Sathya Sai Baba, di derivazione indiana e la Fede Baha’ì che nasce dall’Islam sciita.
  3. La terza fase coincide con il rifiuto del ruolo di Dio (“Religione sì, Dio no”). Questa fase propone una paradossale – ma diffusa – “religiosità senza Dio”, dove Dio, quando non viene negato, viene ridotto a un ruolo periferico e poco influente. Essa si manifesta tipicamente nelle religioni e nei movimenti del potenziale umano, che hanno come esempio più noto la Chiesa di Scierntology..
  4. La quarta e ultima fase coincide con il rifiuto del ruolo della religione (“Sacro sì, Religione no”). In questa tappa si preferisce introdurre il concetto di una vaga “spiritualità” o “religiosità”, che va a sostituire quello di “religione”. Il caso tipico è, come si è visto, quello del New Age.

Le quattro fasi sono pensabili come cerchi concentrici che si allontanano progressivamente dalla impostazione teologica e cosmologica cattolica; lo schema proposto ha dunque un valore progressivo, dove ogni tappa rappresenta una più consistente presa di distanza dalla visione del mondo cattolica rispetto quella precedente. Il New Age si colloca nella quarta ed ultima fase, dunque fa sue, riassume e supera le negazioni delle fasi precedenti e quindi rappresenta il massimo rifiuto degli elementi che caratterizzano il modo di porsi del cattolicesimo di fronte alla realtà: viene rifiutata la Chiesa, il ruolo di Cristo come Salvatore, il ruolo di Dio e addirittura lo stesso senso religioso. Tuttavia, il New Age – rivelandosi anche in tal senso un fenomeno tipicamente post-moderno – non rifiuta il sacro, ma propone un nuovo modo di accostarsi ad esso diverso dalla religione (che rappresenterebbe il “vecchio modo”, decisamente rifiutato). Questo “nuovo modo”, che preferisce sostituire la religione con forme ritenute più rapide di accesso al sacro (sciamanismo, occultismo, channeling, “religiosità cosmica”…) è sostanzialmente rappresentato da un approccio magico alla realtà o comunque da una mentalità di tipo magico. Come tale, dunque, esso non rivela nulla di nuovo, ma piuttosto attualizza il costante desiderio, o la sempre presente tentazione, dell’uomo di affermare se stesso sopra ogni cosa, dominando il mondo e lo stesso sacro attraverso la propria volontà.

 

9. Un’occasione nella confusione

Dopo avere preso in esame l’attuale situazione religiosa nel mondo post-moderno, caratterizzato dal “ritorno del sacro”, si deve concludere che il termine “confusione” è la parola che meglio rende l’idea dell’attuale clima, in cui si segnala un grande pluralismo, un’enorme frammentazione e disomogeneità, un successo grandioso del relativismo – che fa da “grande basamento” alla diffusione dei fenomeni della nuova religiosità (53) ma che, contemporaneamente, è da molti di essi propagandato (come mostra il caso del New Age) – e una grandissima pluralità di proposte spirituali.

Giovanni Paolo II, al n. 38 della Lettera Enciclica Redemptoris missio, analizzando il nostro tempo, afferma che la ricerca di spiritualità è segno di una reazione contro la cultura secolare e di un bisogno di una dimensione spirituale della vita. Trae poi una notevole conclusione: “Questo cosiddetto fenomeno del “ritorno religioso” non è privo di ambiguità, ma contiene un invito. La Chiesa ha un immenso patrimonio spirituale da offrire all’umanità, in Cristo che si proclama “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). E’ il cammino cristiano all’incontro con Dio, alla preghiera, alla ascesi, alla scoperta del senso della vita. Anche questo è un areopago da evangelizzare” (54).

Questo “areopago da evangelizzare” rappresenta appunto la sfida e l’occasione concreta che il passaggio al post-moderno pone alla Nuova Evangelizzazione.

 

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Appendice (55)

L’ateismo organizzato: protesta o religione?

Massimo Introvigne

Oslo, 4 maggio 2001. Lisa ha venticinque anni, è bionda, e fa la catechista. “Domenica c’è la cresima – racconta – e ho dovuto preparare trenta ragazzi. Il catechista dell’altra classe è partito come missionario per l’Honduras e così ho dovuto preparare due gruppi invece di uno. Una faticaccia, ma l’ho fatto volentieri”. Scene di ordinaria parrocchia? Piuttosto il contrario: Lisa fa parte dell’Associazione Norvegese degli Umanisti, la branca locale dell’International Humanist and Ethical Union (IHEU), l’organizzazione internazionale che riunisce atei, laicisti e “umanisti secolari” dei cinque continenti. E la cresima di cui parla è una cresima laica, “cresima senza Dio”, creata esattamente cinquant’anni fa, il 6 maggio 1951, per fare concorrenza alla cresima cristiana in Norvegia (un rito di passaggio fondamentale per le famiglie di questo paese), e oggi diffusa in numerosi paesi. Residui di un anticlericalismo ottocentesco? Non proprio, e non solo. In paesi come l’Italia l’ateismo organizzato si trascina piuttosto stancamente: ci sono due organizzazioni affiliate all’IHEU, la veneranda Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno”, fondata nel 1906, e l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, nata nel 1986 a Padova per riunire gli atei “duri”, infastiditi dal riferimento nel nome dell’associazione più antica a un pensatore dopo tutto non proprio razionalista come Giordano Bruno: ma i membri attivi sono poche centinaia. Le cose stanno ben diversamente in Norvegia: la branca locale dell’IHEU ha 62.000 iscritti, e il 14 per cento dei quattordicenni norvegesi sceglierà quest’anno la “cresima laica” (contro un 73 per cento che non rinuncia alla cresima luterana, nonostante i luterani praticanti in questo secolarizzato paese siano solo il cinque per cento). Non solo: nel 2001 gli Umanisti norvegesi si aspettano centomila presenti alle loro cerimonie, che comprendono anche “cerimonie del nome” (l’equivalente del battesimo), matrimoni, funerali e matrimoni per omosessuali. Benvenuti a Oslo, dunque, capitale mondiale del libero pensiero, sede – sospira un patriarca dell’ateismo americano, Paul Kurtz – della più grande organizzazione atea del mondo “e anche dell’unica ricca”. Per celebrare i cinquant’anni della “cresima laica” gli Umanisti locali ospitano il convegno mondiale della IHEU – i partecipanti arrivano da tutto il mondo, dal Bangladesh all’Australia all’Africa (assenti però, segno di crisi anche questo, i delegati italiani) – e si permettono anche il lusso di farlo aprire, con una relazione sulla libertà religiosa, da un cattolico dichiarato e non pentito come chi scrive queste righe (il che mostra almeno che non manca, anche fra gli atei, qualcuno dotato di un certo senso dell’umorismo). Invitata anche la Chiesa di Norvegia (luterana), in persona del pastore Ornulf Steen, che loda la disponibilità al dialogo degli Umanisti ma si permette anche una battuta: “Il successo della cresima laica? E’ dovuto anche al fatto che la preparazione dura sei mesi, mentre la nostra richiede un anno di catechismo e un impegno molto più costante delle famiglie”. Polemiche a parte, il pastore Steen ammette che la Chiesa luterana di Stato in Norvegia è ai minimi storici, e che gli Umanisti si sono rivelati un’alternativa sorprendentemente efficiente (il che non è negli altri paesi scandinavi: nella vicina Svezia gli Umanisti organizzati sono solo settecento). L’ateismo trionfa a Oslo, dunque, rovesciando tutte le teorie sociologiche secondo cui gli atei nel mondo postmoderno sono ovunque in diminuzione e in declino? Non è sicuro che sia proprio così, e per diverse ragioni.

Al congresso di Oslo è emersa una dura contrapposizione fra due anime del movimento ateo e “umanista” internazionale. Thomas Hylland Eriksen, antropologo dell’Università di Oslo e ospite fisso delle televisioni norvegesi, si fa beffe del “riduzionismo scientista” e afferma che le cerimonie degli Umanisti in Norvegia hanno successo perché non si limitano a celebrare la ragione e la scienza ma offrono qualche cosa di completamente diverso – “miti”, “simboli” e una “trascendenza immanente”. Del resto, spiega qualche ateo norvegese, il matrimonio “umanista” non è (ancora) riconosciuto agli effetti civili: occorre dunque sposarsi prima in municipio, e chi richiede anche la cerimonia “umanista” si aspetta che il celebrante gli trasmetta qualche cosa di più e di diverso dal sindaco. “Niente affatto” – ribatte il segretario mondiale della IHEU, l’indiano Babu Gogineni –, le cerimonie umaniste non devono trasmettere nessun mito o significato trascendente, anzi non trasmettono significati agli atei che le praticano, servono solo a testimoniare l’ateismo di fronte alla società. E in nessun caso devono diventare una nostra priorità. Il nostro scopo è sostituire alla religione la scienza”. “E non permetto a nessuno – aggiunge rivolto al professor Eriksen – di farsi beffe della scienza a un congresso della IHEU”. Lo appoggiano Paul Kurtz (che su questi punti ha assistito a una spaccatura del mondo scettico organizzato negli Stati Uniti) e la delegazione del Bangladesh, che propone di eliminare qualunque solennità dai funerali atei, donando anzi tutto il corpo dell’ateo defunto alle facoltà di medicina e alla scienza. Sembra proprio che non ci sia una sola forma di ateismo organizzato, ma due. La prima è soprattutto “contro” le religioni tradizionali, cui si propone di sostituire la modernità e la scienza: è la forma che è in crisi nell’Occidente passato dal moderno al postmoderno, anche se appare ancora viva e vitale in paesi dell’Africa e dell’Asia da poco entrati nella modernità e dove il passaggio postmoderno è di là da venire. La seconda – quella che trionfa in Norvegia – dialoga con le religioni tradizionali e offre miti, simboli, “trascendenze” alternative (anche se non tutti le chiamano così, e anche nella delegazione norvegese c’è chi critica il professor Eriksen). Ma questa seconda versione dell’”umanesimo secolare” o dell’ateismo alla norvegese è “non religiosa” solo se si adotta la definizione teologica tradizionale di religione (che presuppone una relazione con Dio o con un Divino trascendente). Molti sociologi preferiscono una definizione funzionale: religione come sistema che traduce in simboli e riti, creando una comunità, un complesso di risposte alle domande fondamentali sul significato della vita umana. In questa definizione funzionale l’ateismo alla norvegese sembrerebbe rientrare perfettamente, nonostante le smentite dei suoi dirigenti, senza neppure il bisogno di scomodare categorie come “religione implicita” o “quasi-religione”. Il paradossale successo dell’ateismo organizzato in Norvegia, così, non è l’eccezione che conferma la regola del declino postmoderno dell’ateismo, ma è un’illustrazione ulteriore della regola: nell’Occidente postmoderno l’ateismo declina, a meno che accetti di trasformarsi a sua volta in una sorta di nuova religione.

 

* * *

Note:

1 Per avere un quadro generale e completo sull’”epoca post-moderna”: cfr. Massimo Introvigne, Il sacro postmoderno. Chiesa, relativismo e nuova religiosità, Gribaudi, Milano 1996. In particolare, per una trattazione esauriente sul “ritorno del sacro”, sulla “secolarizzazione” e per un’analisi e una riflessione sulle opere di Cox: cfr. “Il sacro postmoderno. Harvey Cox e la “fine” della secolarizzazione” (Introduzione), in ibid., pp. 5-22 e “Fuoco dal cielo: Harvey G. Cox, il pentecostalismo e la “fine” della secolarizzazione”, in Cristianità, anno XXIII, n. 245, settembre 1995, pp. 5-12. Sulla situazione religiosa contemporanea: cfr. anche, dello stesso autore, “La prova della storia”, sintesi dell’insegnamento dal titolo “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”, tenuto alla XX Convocazione Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (Rimini, 24-27 aprile 1997), in Rinnovamento nello Spirito Santo, n. 4-5\1997, pp. 8-11. La registrazione completa dell’insegnamento è disponibile su audiocassetta (reg. catalogo P1445\1) della Cooperativa Vocepiù, Milano). Inoltre: cfr. PierLuigi Zoccatelli, Il New Age, Elledici, Leumann (Torino) 1997, in particolare pp. 5-26 e il mio il mio “Il “ritorno del sacro”. Tra secolarizzazione e post-modernità un’occasione nella confusione”, in, a mia cura, Andrea Menegotto – PierLuigi Zoccatelli – Aldo Carletti – Massimo Introvigne – Marco Cantamessa, New Age “fine” o rinnovamento? Le origini, gli sviluppi, le idee, la crisi, la “fine” del New Age e la nascita di un nuovo fenomeno: il Next Age. Una nuova sfida per la Chiesa. Presentazione di Giovanni Cantoni. Postfazione di Padre Ferdinando Colombo, Sinergie Edizioni, San Giuliano Milanese (Milano) 1999, pp. 15-39 (di cui il presente testo rappresenta un ampliamento e un aggiornamento).

2 Harvey Gallagher Cox, The Secular City, Macmillan, New York 1965, tr. it. La città secolare, Vallecchi, Firenze 1968.

3 H.G. Cox, Fire from Heaven. the Rise of Pentecostal Spirituality and the Reshaping of Religion in the Twenty-First Century, Addison-Wesley, Reading (Massachusset) 1995.

4 Sull’argomento: cfr. CESNUR [Centro Studi sulle Nuove Religioni] (a cura di M. Introvigne), La sfida pentecostale, Elledici, Leumann (Torino) 1996 e M.. Introvigne, Aspettando la Pentecoste. Il quarto ecumenismo. Intervista a Matteo Calisi e Giovanni Traettino, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1996.

5 Cfr. Laurece R. Iannnaccone, “Introduction to the Economics of Religions”, in Joiurnal of Economic Literature, vol. XXXVI (settembre 1998), pp. 1465-1496.

6 Sul punto: cfr. Gianpaolo Barra, Perché credere. Spunti di apologetica, Edizioni Centro Grafico Stampa, Seriate (Bergamo) 1997, pp. 17-24 e, per una critica al comunismo ateo, pp. 31-39. Su un interessante sviluppo dell’ateismo in epoca post-moderna ci soffermeremo nell’appendice di Massimo Introvigne.

7 Cfr. Augusto del Noce, Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 1970 (3ª ed.), p. 552.

8 Ibid.

9 Grace Davie, Religion in Britain since 1945. Believing without Belonging, Blackwell, Oxford 1994.

10 Giovanni Paolo II, Fides et ratio. Lettera Enciclica circa i rapporti tra fede e ragione del 14 settembre 1998, n. 91.

11 M. Introvigne, “L’esplosione delle nuove religioni”, in Il cristianesimo e le religioni, numero speciale di Seminarium, organo della Congregazione per l’Educazione Cattolica, anno XXXVIII, n. 4 (1998), pp. 719-749, disponibile anche in Internet: http://www.cesnur.org/testi/seminarium.htm.

12 Giovanni Paolo II, Fides et ratio, cit., n. 48.

13 Cfr. Daniel Boy – Guy Michélat, “Premiers résultats de l’enquête sur les croyances aux parasciences”, in La pensée scientifique et les parasciences, Albin Michel – Cité des sciences et de l’industrie, Parigi 1993.

14 M. Introvigne, “L’esplosione delle nuove religioni”, in Il cristianesimo e le religioni, cit. Osservazioni simili sono quelli di Marco Cantamessa, “Il relativismo e la comunicazione della verità”, in A. Menegotto (a cura di), New Age “fine” o rinnovamento?, cit., pp. 85-102.

15 Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977. Per uno schema sintetico sulle quattro “Rivoluzioni”: cfr. M.. Introvigne, Aspettando la Pentecoste. Il quarto ecumenismo. Intervista a Matteo Calisi e Giovanni Traettino, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1996, pp. 15-16. Sulla stessa periodizzazione: cfr. anche Giovanni Cantoni, “Dopo Marx, i maghi? La riscoperta del pensiero magico in una cultura postmarxista”, in CESNUR (a cura di M. Introvigne), Il ritorno della magia. Una sfida per la società e per la Chiesa, Effedieffe, Milano 1992, pp. 35-70 (in particolare pp. 47-54). Inoltre, per lo sviluppo del discorso sulla secolarizzazione: cfr. Langdon Gilkey, voce “Secolarizzazione”, in Enciclopedia del Novecento, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, vol. VI, Roma 1982, pp. 415-430.

16 Sulla “Riforma classica” : cfr. Alister E. McGrath, Il pensiero della Riforma. Lutero – Zwingli – Calvino – Bucero. Una introduzione, Claudiana, Torino 1991 (tr. it. di Reformation Thought. An Introduction, Basil Blackwell Ldt, Oxford [Inghilterra]), con un’ampia bibliografia. Per quanto concerne i rapporti fra Umanesimo e Riforma, a cui si è fatto cenno: cfr. “Umanesimo e Riforma” (cap. III), in ibid., pp. 35-57. In generale sui Protestanti: cfr. M. Introvigne, I protestanti, Elledici, Leumann (Torino) 1998 e, per una mappatura completa delle realtà protestanti in Italia, cfr. CESNUR, Enciclopedia delle religioni in Italia, Elledici, Leumann (Torino) 2001, pp. 123-358.

17 Sulla massoneria: cfr. M. Introvigne, La massoneria, Elledici, Leumann (Torino) 1997, CESNUR (a cura di M. Introvigne), Massoneria e religioni, ibid. 1994 e, l’appendice “Massoneria e religione” in Enciclopedia delle religioni in Italia, cit., pp.937-949. Sul rapporto fra massoneria e nuovi movimenti religiosi e magici ,cfr. il mio “Massoneria e nuove religioni“. Relazione presentata al Convegno annuale di “Una voce grida…!” – Regione Lombardia “Massoneria, cattolici e cultura: che dire?” – Barza d’Ispra (Varese), 13 – 14 marzo 1999, disponibile in Internet: http://utenti.tripod.it/unavocegrida1/massoneria/mas_nuove-rel.htm.

18 Sul punto: cfr. “In principio era la Rivoluzione francese” (parte I, cap. I), in M. Introvigne, Il sacro postmoderno, cit., pp. 24-59.

19 Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia circa la riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa oggi (2 dicembre 1984), n. 18, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, pp. 1431-1499 (il testo ufficiale latino è alle pp. 1352-1430).

20 La nozione di “setta” è nata nella sociologia della religione tedesca alla fine del secolo scorso con Max Weber (1864-1920), per indicare le dissidenze religiose che si separavano dalle Chiese cristiane stabilite per costituire “Chiese libere” a cui non si aderiva per tradizione o per nascita ma per una scelta volontaria di dissidenza. Così inteso, il termine da una parte non aveva l’attuale senso peggiorativo, dall’altra non pretendeva di trovare applicazioni fuori dell’ambito cristiano. Oggi la parola “setta” è entrata nell’uso comune con una connotazione peggiorativa per indicare un movimento religioso minoritario che si trova in una situazione di conflitto con la società e con le Chiese e religioni maggioritarie, e a cui vengono rimproverate violazioni della legge o almeno dell’etica comune. Così inteso il termine “setta” si è però ridotto ad un significato puramente polemico, ed è privo di qualsiasi contenuto scientifico. Per questo l’uso scientifico – e anche la terminologia adottata da vari documenti magisteriali – tende ad evitarlo, sostituendo l’espressione “sette” con quella di “nuovi movimenti religiosi” (abbreviato in NMR), salvo riservare l’espressione “nuove religioni” per quei gruppi che non possono più essere considerati piccoli o minoritari perché contano milioni di aderenti, come i mormoni e i testimoni di Geova. Sul punto cfr. “La questione delle sette”, in CESNUR, Enciclopedia delle religioni in Italia, cit., pp. 13-15

21 Giovanni Paolo II, Catechesi all’udienza generale del 20 agosto 1997, in L’Osservatore Romano, 21 agosto 1998 e in Cristianità, anno XXV, n. 271-272, novembre-dicembre 1997 (“Custodire l’integrità della fede” [titolo redazionale], n. 4), p. 32.

22 M. Introvigne, Il sacro postmoderno, cit., p. 18.

23 Cfr. Aleksàndr Isaevic’ Solz’enicyn, Un mondo in frantumi. Discorso ad Harvard, tr. it. La Casa di Matriona, Milano 1978.

24 Sul punto: cfr. Pietro Cantoni e Marco Invernizzi, Guida introduttiva alla storia della Chiesa cattolica, Mimep–Docete, Pessano (Milano) 1994, in particolare pp. 65-74 e, per uno sguardo generale sul Medioevo, cfr. Annamaria Ambrosioni – Pietro Zerbi, Problemi di storia medioevale, Vita e Pensiero, Milano 1988 ( 4ªed.).

25 Cfr. R. Stadelmann , Il declino del Medioevo. Una crisi di valori, tr. it. – con una introduzione di Ovidio Capitani – Il Mulino, Bologna 1978 (l’edizione originale tedesca, Vom Geist des ausgehenden Mittelalters, risale al 1929).

26 Sulla fine del Medioevo: cfr. “La fine del medioevo” (cap. XI), in A. Ambrosioni -P. Zerbi, Problemi di storia medioevale, cit., pp. 231-240.

27 Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, cit., n. 2 (pp. 1432-1433), nota 3.

28 Ibid., n. 2.

29 Sul disagio creato dalla società complessa e sulle diverse risposte: cfr. M. Introvigne, La sfida magica, Àncora, Milano 1995, pp. 82-89 (pubblicato in seconda edizione con il titolo Il ritorno della magia, Àncora, Milano 1998) e M. Introvigne , “Il ritorno della magia. lo scenario, gli attori, la trama”, in CESNUR (a cura di M. Introvigne), Il ritorno della magia, in particolare pp. 14-21.

30 Cfr. Eugenio Fizzotti – Federico Squarcini, Gli Hare Krishna, Elledici, Leumann (Torino) 2000.

31 Cfr. Luigi Berzano, Damanhur. Popolo e comunità, Elledici, Leumann (Torino) 1998.

32 Sui testimoni di Geova cfr. la scheda in CESNUR, Enciclopedia delle religioni in Italia, cit., pp. 360-364.

33 Cfr. Ibid., La Chiesa dell’unificazione del reverendo Moon, Elledici, Leumann (Torino) 1997. Fra il 1994 e il 1998, peraltro, il reverendo Moon ha dato avvio allo smantellamento della Chiesa dell’Unificazione, sostituita da una serie di “federazioni” che dovrebbero riunire quanti credono ai valori morali da lui predicati, a prescindere dal fatto se credano o meno anche al suo ruolo messianico.

34 Sulla reincarnazione in generale e sul suo rapporto con il cristianesimo: cfr. CESNUR (a cura di M. Introvigne), La sfida della reincarnazione, Effedieffe, Milano 1993, Alessandro Nangeroni, La reincarnazione, Xenia, Milano 1995, P. Cantoni, Cristianesimo e reincarnazione, Elledici, Leumann (Torino) 1997, Monsignor Giuseppe Casale [Arcivescovo emerito di Foggia-Bovino e Presidente onorario del CESNUR], Nuova religiosità e nuova evangelizzazione. Lettera Pastorale (6 marzo 1993), Piemme, Casale Monferrato (Alessandria), 1993, in particolare pp. 65-69, Mons. Hans Ludvig Martensen [Vescovo di Copenaghen], Reincarnazione e dottrina cattolica. La Chiesa di fronte alla dottrina della reincarnazione (1991), tr. it. di don Daniel Adner e collaboratori, Cristianità, Piacenza 1993, Commissione Teologica Internazionale, Alcune questioni attuali riguardanti l’escatologia, in La Civiltà Cattolica, n. 143\3401, 7 marzo 1992..

35 Cfr. Maria Letizia Viarengo, Sai Baba e il suo movimento, Elledici, Leumann (Torino) 2001.

36 Per una visione precisa dell’esoterismo: cfr. le opere del principale studioso di questo tema: Antoine Faivre, L’esoterismo. Storia e significati (tr. it. di L’Ésotérisme, P.U.F., Parigi, 1992), SugarCo, Milano 1992 e Idem, Esoterismo e tradizione; Elledici, Leumann (Torino) 1999. Inoltre, cfr. Jean-Pierre Laurant, L’esoterismo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1995, la parte IV, “Fuori dal tempo? Il ritorno dell’esoterismo”, in M. Introvigne, Il sacro postmoderno, cit., pp. 255-312 e , dello stesso autore – per una definizione –, cfr. La sfida magica, cit., pp. 57-60. Per i problemi metodologici e storici in tema di definizione e di studio dell’esoterismo, cfr. Antoine Faivre – Wouter J. Hanegraaff (a cura di), Western Esotericism and the Science of Religion, Peeters, Lovanio 1998. Sussiste peraltro la possibilità di un “esoterismo cristiano”: su questo complesso tema: cfr. Stefano Salzani – PierLuigi Zoccatelli, Hermétisme et Emblématique du Christ dans la vie et l’œuvre de Louis Charbonneau-Lassay (1871-1946), Archè, Milano-Parigi 1996; P.L. Zoccatelli, La lièvre qui rumine, Archè, Milano 1999 e – in prospettiva pastorale – Mons. G. Casale, Doc. cit., pp. 61-65.

37 M. Introvigne, La sfida magica , cit., p. 88.

38 Per una descrizione del fenomeno magico e per una definizione dello stesso: cfr. il mio Magia, magie, maghi, Quaderni di “Una voce grida…!” n° 4, Marsciano (Perugia) 2001. Sulla magia come esito del processo di secolarizzazione-frantumazione – di cui si è detto –: cfr. G. Cantoni, “Dopo Marx, i maghi? La riscoperta del pensiero magico in una cultura postmarxista”, in Il ritorno della magia, cit.

39 Cfr. Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. I, Firenze 1983, p. 6. Sul punto cfr. anche il paragrafo “L’uomo religioso” in G. Barra, op. cit., pp. 146-147.

40 Giovanni Paolo II, Fides et ratio, n. 1.

41 Cfr. Robin Gill, The Myth of the Empty Church, SPCK, Londra 1993.

42 Cfr. Salvatore Abbruzzese, “Il posto del sacro”, in Renzo Gubert (a cura di) La via italiana alla postmodernità. Verso una nuova architettura dei valori, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 397-455 (p. 422).

43 Cfr. Paul Heelas, “Californian Self-Religion and Socializing the Subjective”, in Eileen Barker (a cura di), New Religius Movements. A Perspective for Understanding Society, Edwin Mellen Press, New York-Toronto 1982, pp. 69-85.

44 Per un inquadramento generale del New Age e del Next Age: cfr. A. Menegotto (a cura di) New Age “fine” o rinnovamento?, cit., M. Introvigne, New Age & Next Age, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2000, P.L. Zoccatelli, Il New Age, Elledici, Leumann (Torino) 1997 e L. Berzano, New Age, Il Mulino (Bologna) 1999.

45 Cfr. G. Cantoni, “I “network” della religione in un mondo in frantumi”, in CESNUR (a cura di M. Introvigne), La sfida pentecostale, cit., pp. 121-147.

46 Giorgio Galli, “Eventi ed eventualità”, in New Age Music and New Sounds, n. 40, novembre 1994.

47 Su Ramtha e la sua Scuola: cfr. J. Gordon Melton, A scuola di illuminazione. Gli insegnamenti dell’accademia di scienze spirituali Ramtha, Macro Edizioni, Cesana (Forlì) 1999 e la scheda sulla Scuola di Illuminazione Ramtha in CESNUR, Enciclopedia delle religioni in Italia, cit., pp. 928-930.

48 Ramtha, con Douglas James Mahar, Voyage to the New World, Masterworks, Friday Harbour (Washington) 1985, p. 246.

49 Sul channeling: cfr. M. Introvigne, “Il channeling: Uno spiritismo moderno?”, in CESNUR (a cura di M. Introvigne), Lo spiritismo, Elledici, Leumann (Torino), 1989, pp. 35-93 e il capitolo “Lo spiritismo e il New Age” in Michael W. Homer, Lo spiritismo, Elledici, Leumann (Torino) 1999, pp. 90-94.

50 R. S. Miller and the Editors of New Age Journal, As Above So Belows. Paths to Spiritual Renewal in daily Life, J. P. Tarcher, Los Angeles 1992, p. 5.

51 Massimo Introvigne ha proposto lo schema di classificazione dei nuovi movimenti religiosi in una conferenza nel 1989. Successivamente tale proposta classificatoria è stata pubblicata nei volumi I nuovi culti. Dagli Hare Krishna alla Scientologia, Mondadori, Milano 1990, pp. 5-18 e La questione della nuova religiosità, Cristianità, Piacenza 1993, pp. 32-38. Detta classificazione è stata particolarmente raccomandata dal Cardinale Francis Arinze, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso, al Concistoro straordinario del 1991 (cfr. Cardinale Francis Arinze, La sfida delle sette o nuovi movimenti religioni: un approccio pastorale. Relazione generale al Concistoro straordinario del 1991, n. 9, tr. it. dall’originale inglese in appendice a M. Introvigne, La questione della nuova religiosità, cit., pp. 59-93, in particolare, il punto n. 9 è alle pp. 65-66). Per le premesse storico-filosofiche di questa classificazione fa da base la struttura – da noi pure adottata in precedenza – delle quattro “Rivoluzioni” teorizzata dal pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira e schematizzata nel volume Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit.

52 Cfr., ad esempio, l’ Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, cit.

53 Sul punto: cfr. “”Quid est veritas?” Alle radici del successo dei nuovi movimenti religiosi” (parte II, cap. IV), in M. Introvigne, Il sacro postmoderno, cit., pp. 133-140.

54 Giovanni Paolo II, Redemptoris missio. Lettera Enciclica circa la permanente validità del mandato missionario (7 dicembre 1990), E.M.I., Bologna 1991, n. 38, p. 51.