Movimento ambientalista e ideologia dell'”uomo distruttore”. I catastrofismi climatici

Lezione tenuta il 12 febbraio 2009

ing. Lucia Martinucci

 

Anticipiamo stasera la lezione su movimento ambientalista, cambiamenti climatici e ideologia dell’uomo distruttore, che per come era stato articolato il percorso del tema di questa seconda metà dell’anno si sarebbe dovuto svolgere più avanti, dopo aver parlato di evoluzionismo e differenza tra uomini e animali. In realtà questo inatteso cambio di programma mi permette di ricollegarmi direttamente da quanto detto la scorsa settimana, ripartendo dal racconto della creazione del mondo (e dell’uomo) descritta nella Genesi. Infatti, se è vero — come è vero — che Dio crea con ordine ed intelligenza, ci è utile vedere come sono state disposte le cose all’inizio, dal Cratore, per capire in che modo voleva che andassero, anche oggi, e quindi che rapporto è giusto avere nei confronti del creato, che è il problema di fondo delle ideologie di cui parleremo poi più nello specifico. La giustizia a cui faccio riferimento è quel “dare a ciascuno il suo”, secondo la propria verità: che cosa corrisponde alla verità dell’uomo, e che cosa corrisponde alla verità del resto del creato, in relazione a come sono stati fatti e pensati con ordine ed intelligenza? In Genesi si legge “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” [1]. La verità dell’uomo nei confronti del creato si sintetizza in questa frase e in questi due compiti: coltivare e custodire. L’uomo è certamente responsabile della natura, quindi degli animali e dell’ambiente che lo circonda, ma non semplicemente come una cosa di cui prendersi cura per se stessa, da tutelare, da mettere sotto una campana di vetro, bensì come risorsa, da usare. Possiamo dire che il resto del creato è stato dato all’uomo come strumento, come mezzo, e non certamente come fine. È stato affidato all’uomo come talento. Non va assolutamente sprecato, ma neanche sotterrato in un campo: va fatto fruttare, va fatto crescere. Così l’uomo, con l’ingegno e l’intelligenza (che sono a immagine e somiglianza di quelli, molto più perfetti, di Dio creatore), ha il compito, la responsabilità — onori e oneri — di amministrare rettamente la terra. Questo compito è proprio dell’uomo, e non è stato dato a nessun’altra creatura. Il movimento ambientalista e tutto il mondo ad esso collegato, invece, vede l’uomo come cancro del pianeta, e non come suo signore (con la “s” minuscola) e amministratore. Come se Gaia (il nome che indica la Terra, personificata) fosse più importante dell’umanità stessa e come se l’uomo non potesse rivendicare la propria signoria su di essa, ma dovesse stare sottomesso alle di lei esigenze. Parafrasando la Scrittura, quando Gesù dice “”Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”” [2], possiamo dire che la natura è stata fatta per l’uomo e non l’uomo per la natura. L’ideologia ambientalista, invece, vuole farci credere esattamente il contrario, e tenta di convincerci con ogni mezzo. Uno dei grandi strumenti che i movimenti ambientalisti hanno saputo e sanno utilizzare davvero ad arte per i loro scopi sono i mass media. Sono molti gli esempi che si potrebbero fare a questo punto, quello che mi interessa sottolineare è la strategia un po’ subdola con la quale agiscono, propinandoci l’ideologia dell’uomo come cancro del pianeta come se fosse scontata e assodata. Nomino ma non mi soffermo sulla pubblicità (che personalmente trovo di cattivo gusto) di una nota marca di gomme da masticare, che è passata dalla versione “gli scoiattoli salvano la foresta dall’incendio” a “i pinguini salvano il polo sud dal riscaldamento globale” con la sola freschezza del prodotto sponsorizzato, dove la novità non è lo scioglimento dei ghiacci, dati appunto per scontati, ma la soluzione creativa al problema. Vi cito invece due film. Il primo è Ultimatum alla Terra, nel remake del 2008 dell’originale del 1951, entrambi tratti dal romanzo di Harry Bates (1900-1981). Brevemente, in questo film gli alieni arrivano sulla Terra e tentano di avvertire il genere umano che il stanno rovinando il pianeta, il quale, appunto a causa degli uomini stessi, sta morendo. L’ultimatum quindi si riassume in: “o rispettate l’ambiente o vi sterminiamo”, nella frase centrale del trailer “Se la Terra muore tu muori, se voi morite la Terra sopravvive”. Naturalmente gli umani (nelle persone del governo degli Stati Uniti d’America) non ascoltano gli alieni e la distruzione ha inizio. A parte il finale banale in cui l’umanità è salvata dall’alieno che si impietosisce vedendo la scienziata con cui aveva preso contatto e il figlio di lei piangere sulla tomba del marito morto, tutto il film si gioca in realtà sulla concezione dell’uomo come cancro del pianeta. In un altro dialogo emblematico una dottoressa parlando con l’alieno dice: “il nostro pianeta” e si vede rispondere con una faccia sconvolta “vostro?!”. L’altro film che vi cito, anche rischiando di passare per una fan di Keanu Reeves (1964), che interpreta il protagonista in entrambe le pellicole, è The Matrix. In questo film di fantascienza del 1999, riducendo all’osso la situazione, giusto per dare un’idea a chi non ha visto il film, l’umanità è stata ridotta in schiavitù dalle macchine, le quali fanno credere agli uomini di vivere liberamente anche se in realtà sono appunto intrappolati in una specie di realtà virtuale. Durante quello che possiamo individuare come lo scontro finale c’è il cattivo, che è un programma di computer, che dice al capo della resistenza umana: “Desidero condividere con te una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura”. Queste parole vengono dette da un personaggio che non è sicuramente positivo, ma l’oggettività con cui viene esposto il problema secondo me lascia spazio alla riflessione, come se si volesse indurre lo spettatore a pensare che si, le macchine avranno pure torto, ma neanche gli uomini hanno proprio ragione del tutto.

Ma arrivati a questo punto entriamo un po’ più nel particolare di quelli che sono i movimenti ambientalisti: chi sono, cosa dicono, perché sbagliano.

Per prima cosa diciamo che l’aggettivo “ambientalista” o “ecologista” può essere fuorviante, perché può farci pensare a persone a cui davvero sta a cuore l’ambiente o l’ecosistema. Invece, nella stragrande maggioranza dei casi (e comunque per quanto riguarda le multinazionali più importanti e, ahimè, autorevoli — tipo Greenpeace, il WWF o alcune agenzie dell’ONU), dire di prendersi cura del pianeta è solo un modo per declassare l’uomo, per mettere prima, in ordine di importanza, qualcos’altro che non sia l’uomo (per non parlare di dove sia finito Dio in questa immaginaria scaletta di priorità). Per darvi un’idea, la stessa parola ecologia è stata coniata come “conoscenza dell’economia della natura”, ovvero “lo studio di quelle complesse interrelazioni che Darwin chiamava la lotta per l’esistenza” [3], definizione di Ernst Haekel (1834-1919), discepolo di Charles Darwin (1809-1882) e noto razzista, il cui modello di selezione era direttamente Sparta. Inoltre, molti dei fondatori di queste associazioni hanno avuto un passato in movimenti razzisti, antinatalisti, per il controllo delle nascite come strategia per il miglioramento della razza. Il movimento eugenetico e quello “conservazionista” (ben diverso da quello conservatore) sono cresciuti di pari passo e si sono incontrati e fusi negli anni ’60, quando fortunati slogan riuscirono ad avere influenza sull’opinione pubblica e sui governi: “cinque dollari investiti nel controllo della popolazione, ne valgono cento in crescita economica”, “la popolazione inquina” [4]. Il legame tra movimento per il controllo delle nascite e gruppi ambientalisti è sancito nel 1970, con la celebrazione della prima Giornata della Terra. Ottenuti consensi dall’opinione pubblica, è stato possibile, per gli attivisti di questi gruppi, infiltrarsi nelle varie agenzie dell’ONU, inventare la strategia del catastrofismo ed attuarla.

Il catastrofismo infatti è stata dichiaratamente scelta come strategia dalle fondazioni eugenetiche che, essendo fortemente legate al nazionalsocialismo, dopo la sconfitta di questo nella seconda guerra mondiale dovevano trovare un altro modo di presentarsi all’opinione pubblica. La figura più importante del movimento eugenetico americano del dopoguerra, Frederick Osborn (1889-1981) nel 1956 afferma: “La parola eugenetica è caduta in disgrazia in alcuni ambienti […] Le persone semplicemente non vogliono accettare che la base genetica che forma le loro caratteristiche è inferiore e non deve perciò essere ripetuta nella prossima generazione […]. La gente invece accetterà l’idea di uno specifico difetto ereditario. Perciò dobbiamo puntare su altre motivazioni. A certe condizioni la gente avrà figli in rapporto alle proprie capacità di prendersi cura di loro. Se si sentono economicamente sicuri, se sono contenti di assumersi responsabilità, se sono fisicamente forti e competenti, probabilmente avranno famiglie numerose, a patto di un significativo condizionamento psicologico verso questo scopo. Se invece non sono in grado di garantire il cibo ai propri figli, se hanno paura delle responsabilità, probabilmente non ne avranno molti. Se avranno metodi efficaci di pianificazione familiare, certamente non ne avranno molti. Su questa base è possibile costruire un sistema di “selezione volontaria inconsapevole”. Ma i motivi avanzati devono essere generalmente motivi accettabili […]. Ma fondiamo le nostre proposte sulla desiderabilità di avere figli che nascano in case dove avranno una cura responsabile e affettuosa, e forse le nostre proposte saranno accettate” [5].

In questa ottica i movimenti ambientalisti hanno contribuito a creare un senso diffuso di paura del futuro, che comprende anche l’atteggiamento di diffidenza nei confronti delle scoperte scientifiche o di tutto ciò che riguarda ad esempio la chimica, bollata come nociva a prescindere. La strategia messa in atto dagli ambientalisti è quella di inventare nuove terminologie, slogan accattivanti, che nascondono l’ideologia di base, ma attraverso organizzatissimi uffici stampa questi slogan entrano, volenti o nolenti, nelle nostre case, fino a condizionare davvero gli atteggiamenti delle persone.

Le campagne ambientaliste sono numerose, si combattono su molti fronti, e tutte, come abbiamo già detto, sono quasi dei pretesti per odiare l’uomo senza neanche che questi se ne accorga, e non perché gli uomini siano tutti rimbambiti, ma perché sono argomentazioni create ad arte per nascondersi dietro ad una forma condivisibile. Questo però non ci deve stupire minimamente, perché sappiamo che è la stessa strategia messa in atto, da sempre e, ahinoi, con anche troppo successo, dal demonio. Il diavolo sa che l’uomo cerca la felicità e non può rispondere “sì” che alle cose che lo rendono felice, quindi si traveste, cammuffa il male da bene, sennò l’uomo non sceglierebbe mai volontariamente il peccato. Se gli uomini non vedessero, nel peccato, un piacere, non lo farebbero. Ma penso di poter parlare a nome di tutti nel sottolineare quanto sia brutto quando la maschera del piacere immediato cade e lascia spazio alla vera natura del peccato e del demonio.

Il rispetto della natura, dell’ambiente, degli animali, sono di per sé cose buone e giuste, ma il quadro cambia quando il rispetto per la madre terra prende il sopravvento e diventa più importante del rispetto della vita umana. Su questo si basa il catastrofismo, e i due esempi chiave sono quello del riscaldamento globale e dell’inquinamento atmosferico.

Il riscaldamento globale è uno dei luoghi comuni più classici: il vostro vicino di casa si è probabilmente convinto che “Il cambiamento del clima indotto dalle attività umane è sicuramente la più grave crisi ambientale che ha di fronte l’umanità” [6]. Ma di vero c’è ben poco. Da più di cento anni fa, quando un professore svedese, Svante August Arrhenius (1859-1927), disse per primo che l’anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera poteva far cambiare la temperatura terrestre, c’è chi ha sostenuto la tesi del riscaldamento e chi quella del raffreddamento, ma entrambe le posizioni sono risultate parziali, perché nonostante tutti gli studi e le ricerche fatte, non si è ancora scoperto con precisione quali effetti abbia la CO2 sul clima. Negli anni ’70, ad esempio, gli ambientalisti erano convinti che la terra si stesse raffreddando, che i ghiacci stessero prendendo il sopravvento, e terrorizzavano la gente con la previsione di una nuova era glaciale. Nel parlare di riscaldamento globale bisogna fare una breve specificazione dei termini: è cosa ben diversa dall’effetto serra, che è la capacità dell’atmosfera di intrappolare i raggi solari, senza farli rimbalzare via quando colpiscono il nostro pianeta: senza l’effetto serra la temperatura media della terra sarebbe circa 30° inferiore e la maggior parte delle forme di vita, compresa quella umana, non potrebbero sopravvivere. Per quanto riguarda le fluttuazioni di temperatura, è bene ricordare che il clima ha sempre avuto delle oscillazioni, dei secoli più caldi o più freddi, in un ritmo alternato. Basti ricordare che, quando Annibale (247 a.C.– 182 a.C.) passò le Alpi con gli elefanti, l’impresa fu resa possibile dal fatto che il clima fosse più mite di quanto non sia ad esempio oggi. Oltre a queste oggettive argomentazioni contro il catastrofismo da riscaldamento globale, c’è da sottolineare che è molto difficile rilevare con precisione dati attendibili sulle temperature e sulle loro variazioni nel breve periodo. In più la causa additata come tale, cioè l’anidride carbonica, cioè in ultimo lo sviluppo delle attività umane, non è provato che sia legata in alcun modo con tali cambiamenti. Anzi, sono stati condotti esperimenti da cui risulta che la CO2 aumenta l’assorbimento di acqua da parte di un gran numero di specie vegetali, risultando un fertilizzante naturale tra i più potenti ed efficaci. In più, non solo le attività umane producono anidride carbonica, ma anche i vegetali (come ci hanno insegnato, le piante emettono CO2 la notte, con la fotosintesi clorofilliana) e gli animali (è stato stimato che i bovini francesi, con le loro esalazioni gastrointestinali, emettono gas serra tre volte superiore alle 14 raffinerie di petrolio presenti nel paese), la maggior parte della CO2, infatti, è di origine naturale. Nonostante questo, si discute tanto sull’applicazione dell’anche troppo noto Protocollo di Kyoto, l’accordo raggiunto da 150 paesi in Giappone nel 1997. Il protocollo prevede la riduzione del 5% dei gas serra da parte dei paesi industrializzati, in un arco di tempo che va tra il 2008 e il 2012, con un costo che è stato stimato in circa 18 quadrilioni di dollari (una cifra a 15 zeri), per un risultato davvero misero: se attuato, riuscirebbe infatti a ridurre la temperatura solamente di 0,15° Celsius.

Con il riscaldamento globale viene spesso citato l’inquinamento atmosferico, fenomeno che viene additato come moderno e soprattutto in continuo e allarmante aumento con il progredire del progresso umano. Innanzitutto l’inquinamento è un problema antichissimo (la prima Commissione sull’inquinamento fu istituita in Inghilterra da Re Edoardo I (1239-1307) nel 1285; il termine smog nasce nel Novecento dalla commistione tra le parole inglesi fumo — smoke — e nebbia — fog —), e non è affatto vero che sia in peggioramento: i sei elementi considerati più importanti e usati a livello statistico e comparativo (particelle fini, anidride solforosa, ozono, piombo, ossidi di azoto, monossidi di carbonio) negli ultimi decenni nei paesi industrializzati sono in drastica riduzione, come confermato dal rapporto del 2002 dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). I motivi del miglioramento sono molteplici: la riduzione del consumo di sostanze inquinanti, maggiore efficienza dell’uso dell’energia e introduzione di depuratori nelle ciminiere delle centrali elettriche, motori dei veicoli sempre meno inquinanti. Sapere che l’aria è meno inquinata potrebbe non essere rassicurante se fosse vero che rimanga molto nociva per la salute. Gli ambientalisti collegano spesso inquinamento e malattie respiratorie, citando dati falsati e letti in chiave ideologica, forzandoli e piegandoli allo scopo, cercando combinazioni di dati che permettano di lanciare allarmi. In realtà, non c’è nessun dato provato, nessuna relazione certa che connette direttamente l’inquinamento con alcuna malattia, respiratoria e non, cioè che quantifichi l’incidenza dell’inquinamento sui tassi di mortalità.

In conclusione, un ambiente più pulito è possibile se si favorisce la ricerca, l’introduzione e l’uso di nuove tecnologie, insomma uno sviluppo maggiore, e non minore, come vorrebbero gli ambientalisti.

Un’altra invenzione degli ambientalisti è il principio di precauzione. Secondo questo principio, ben diverso, come vedremo, dalla semplice (e virtuosa) precauzione, non si dovrebbe fare nulla che comporti anche il minimo rischio. Facciamo un esempio che chiarisce la differenza: se devo andare a fare la spesa, e per farlo devo attraversare la strada, mi posizionerò sulle strisce pedonali, prima di passare guarderò da entrambi i lati, controllerò che non stiano passando macchine, poi attraverserò. Questa è giusta precauzione. Ma se, prima di uscire di casa, pensassi che sono frequenti gli incidenti stradali, mi ricordassi che il giorno prima al telegiornale ho proprio sentito di una vecchina investita mentre tornava dalla spesa, calcolassi, consultando le statistiche del mio paese, il numero di pedoni investiti e uccisi da automobili, potrei arrivare alla conclusione che attraversare la strada sia un’azione oltremodo rischiosa, e potrei decidere quindi di rimanere a casa. Questo è il principio di precauzione. Si nota subito che è illogico e assurdo per almeno due motivi: intanto non si può trovare alcuna azione umana che non presenti dei rischi, inoltre decidere in base al possibile rischio non tiene conto di tutti gli elementi in gioco (nel nostro esempio, fare la spesa è necessario per avere qualcosa da mangiare, quindi in fondo per la sopravvivenza).

I movimenti ambientalisti hanno messo in atto questo principio in molti campi, ma vorrei parlavi di due casi emblematici, il nucleare e il DDT.

Dell’energia nucleare ci parlerà Luciano Benassi in una delle prossime lezioni, quindi non mi soffermo sull’argomento. Vorrei solo anticiparvi che in Italia ne abbiamo una concezione molto negativa per colpa dell’enorme campagna fatta per il referendum dell’87 e per la strumentalizzazione della tragedia di Chernobyl (dovuta peraltro ad un errore umano), ma è la forma di energia più sicura, più pulita e più economica che attualmente si conosca.

Il DDT (Diclorodifeniltricloroetano) fu scoperto nel 1870 dal chimico svizzero Paul Hermann Müller (1899-1965), che nel 1948 fu anche premiato con il Premio Nobel di Fisiologia e Medicina. In seguito si rivelò estremamente efficace nella prevenzione di malattie come la malaria, il tifo, la peste, la febbre gialla, la meningite cerebrospinale, la malattia del sonno e di altre malattie trasmesse da insetti. Venne quindi usato nell’immediato dopoguerra, con sorprendenti successi, sia come pesticida che come insetticida in agricoltura, per debellare la malaria e il tifo. In Europa e in Nord America la malattia venne debellata; in Sri Lanka in 10 anni i casi di malaria diminuirono da 3 milioni a 7300; in India in 10 anni i casi passarono da 75 milioni (di cui 800 mila morti) a 50 mila. In africa il successo fu minore, a causa di altri fattori che permettono al DDT di essere efficaci, quali adeguate infrastrutture e capacità di gestire in modo regolare ed efficace i programmi di disinfestazione.

Il movimento verde però, intorno agli anni ’60, iniziò un’agguerrita battaglia contro il pesticida, accusandolo di provocare tumori nelle persone e l’assottigliamento dei gusci delle uova degli uccelli. La propaganda, per quanto completamente priva di alcun sostegno scientifico o di dati sperimentali, riuscì, con l’insistenza, ad essere efficacissima, finché, nel 1972, il DDT non venne messo al bando dall’Ente per la Protezione dell’Ambiente statunitense (EPA), anche se lo stesso segretario dell’EPA dichiarò che “non esiste alcuna prova scientifica che giustifichi il divieto dell’utilizzo di questa sostanza chimica. È una decisione politica” [7]. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) analizzò il DDT, senza trovare alcuna controindicazione e anzi definendolo “il più sicuro insetticida usato per nebulizzazioni residue nei programmi di controllo degli insetti portatori di epidemie” [8]. Nonostante l’evidenza, la campagna di criminalizzazione era ormai in atto, e associazioni come Greenpeace e il WWF la portarono avanti proponendo soluzioni alternative molto più costose e assolutamente inefficaci (zanzariere, altri antiparassitari, terapie farmacologiche, pesci che mangino le larve di zanzare). “Così, in nome della “salute dell’uomo” milioni di uomini vennero condannati a morire di malaria” [9]. Non appena il DDT fu bandito negli Stati Uniti, anche molti altri Paesi, soprattutto i cosiddetti in via di sviluppo, smisero di usarlo, sotto la pressione dei paesi occidentali donatori. Le conseguenza furono, come si può immaginare, catastrofiche. Come dato esemplare si può citare lo Sri Lanka, dove in 5 anni i casi di malaria crebbero da appena 17 a oltre mezzo milione. Oltre alle conseguenza dirette in vite umane, il bando del pesticida ebbe anche importanti risvolti economici: “uno studio condotto dall’Harvard University Center for International Development sull’impatto della malaria sulle economie di 27 paesi africani tra il 1965 e il 1990, ha stimato nell’1% annuo la riduzione sulla crescita economica di quelle economie” [10]: un dato talmente allarmante che ad esempio il Sudan ha ripreso l’uso del DDT nel 2000, dopo che i casi di malaria erano saliti del 1000%. Alcuni paesi, infatti, continuano ad usare il pesticida nonostante continui anche la sua criminalizzazione da parte di agenzie anche di spicco, come l’Agenzia dell’ONU per l’Ambiente (UNEP) o la Convenzione ONU sugli Inquinanti Organici Persistenti. Davanti a queste evidenze, però, gli ambientalisti non ammettono i loro errori, anzi rincarano la dose, attribuendo la colpa delle malattie persistenti a fenomeni che non c’entrano nulla, come il riscaldamento globale, lasciando intendere che la malaria sia una malattia tropicale. È certamente vero che la zona tropicale è quella attualmente più a rischio, ma questo è dovuto al fatto che lì non è stata combattuta a dovere, a differenza delle zone europee e nord americane, dove è stata combattuta prima dal miglioramento delle condizioni di vita e sconfitta poi definitivamente grazie al DDT.

Concludendo, il mio finale di speranza è sempre lo stesso, perché semplicemente la fonte della speranza è sempre la stessa. E anche se ce lo siamo già detti, ci fa bene (parlo per me per prima) ripetercelo e ricordarcelo.

Abbiamo detto che i movimenti ambientalisti boicottano lo sviluppo, adottando come tattica il catastrofismo, che dicono che tutto va male e che ci fanno vedere tutto nero e sperano che gli uomini si limitino a maledire l’oscurità, anziché accendere fiammiferi. Noi non siamo qui a dire che non è vero che tutto va male, ma che si può fare meglio. Siamo d’accordo che sia buio, ma la reazione è totalmente diversa. Perché noi sappiamo che nel maledire l’oscurità non c’è nessun tipo di vantaggio e di possibilità di vittoria, mentre accendendo fiammiferi si farà pure una azione piccola e limitata, ma intanto si fa qualcosa. Nello specifico, significa che rispettare l’ambiente vuol dire metterlo nel giusto posto nella scala delle priorità, significa prendersene cura perché ci è stato affidato, ma saperlo far fruttare, perché è stato creato per noi. Facciamo del nostro meglio, accendiamo ciascuno il proprio fiammifero, anche se è piccolo: parliamo con le persone, spieghiamo le cose come stanno, con i dati alla mano (i dati spesso convincono molto più di tanti bei discorsi), senza dimenticare che i pani e i pesci che possiamo mettere noi non bastano di per sé, ma devono essere moltiplicati. Quindi, come direbbe Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), “agisci come se tutto dipendesse da te, ma prega, perché tutto dipende da Dio”. Mettiamo tutto il nostro impegno, con la consapevolezza che siamo solo degli strumenti, quindi affidandoci alla preghiera. Con serenità, senza affanno e senza catastrofismi, pregando la Vergine Maria che ci aiuti e che combatta al nostro fianco questa battaglia, e con la certezza della vittoria, almeno finale, perché Lei ci ha promesso che alla fine il Suo Cuore Immacolato trionferà. Grazie.

Note

[1] Gn 2, 15
[2] Mc 2, 27
[3] Cfr. D. Worster, Storia delle idee ecologiche, Il Mulino 1994, citato in R. Cascioli, A. Gaspari, Le Bugie degli Ambientalisti. I falsi allarmismi dei movimenti ecologisti, Piemme 2004, pag. 27.
[4] Cfr. R. Cascioli, A. Gaspari, Le Bugie degli Ambientalisti. I falsi allarmismi dei movimenti ecologisti, Piemme 2004, pagg. 29-30.
[5] Cfr. “Eugenetics Review”, vol. 48, n. 1, aprile 1956, citato in R. Cascioli, A. Gaspari, Le Bugie degli Ambientalisti. I falsi allarmismi dei movimenti ecologisti, Piemme 2004, pag. 23.
[6] (http://www.tmcrew.org/laurentinokkupato/a4newsbot/03.htm) in un articolo intitolato Piove pioviccica… Globalizzazione economica e cambiamento del clima, citato in R. Cascioli, A. Gaspari, Le Bugie degli Ambientalisti. I falsi allarmismi dei movimenti ecologisti, Piemme 2004, pag. 75. Ultima visita: 13 gennaio 2008.
[7] AA. VV., L’imbroglio ecologico, Cooperativa Vita Nova, Roma 1991, citato in R. Cascioli, A. Gaspari, Le Bugie degli Ambientalisti. I falsi allarmismi dei movimenti ecologisti 2, Piemme 2004, pag.100.
[8] Paul Driessen, Eco-imperialismo. Potere verde, morte nera, Liberlibri, Macerata 2006, pag. 88.
[9] Cfr. R. Cascioli, A. Gaspari, Le Bugie degli Ambientalisti. I falsi allarmismi dei movimenti ecologisti, Piemme, 2004, pag. 70.
[10] Cfr. R. Cascioli, A. Gaspari, Le Bugie degli Ambientalisti. I falsi allarmismi dei movimenti ecologisti, Piemme, 2004, pag. 71.

 


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