57. Ottobre 2021

16. Ottobre 2021 IN HOC SIGNO 0

Cari amici,

il 2 giugno di quest’anno Alleanza Cattolica in Ferrara ha svolto un ritiro — nella chiesa di Santa Chiara con l’assistenza del parroco don Davide Benini — sul tema della regalità di Nostro Signore.

Vi proponiamo in questo numero di IN HOC SIGNO il testo dell’intervento conclusivo di Renato Cirelli, trascritto dalla registrazione audio e rivisto dall’autore.

* * *

Renato Cirelli

Dalla torre di Babele
alla regalità sociale

San Giovanni Paolo II in molti documenti, tra cui la Sollicitudo rei socialis e la Reconciliatio et paenitentia ha parlato delle “strutture del peccato”, spiegando però che il peccato è comunque sempre personale in quanto investe la libertà e la decisione dell’uomo, respingendo quindi e condannando tutte quelle opinioni dentro e fuori la Chiesa che incolpano la società, o l’ideologia, o la miseria, o la guerra, o la pandemia, o qualsiasi altra situazione, del peccato che viene commesso. Ha ucciso? Ha rubato? È colpa della società! Non è così: nonostante vi siano sempre delle condizioni che possono essere vere, fondamentalmente il peccato è sempre personale.

Ricordiamoci che in Paradiso saremo giudicati personalmente: non i popoli, non le famiglie, non le nazioni, ma personalmente, come personalmente ci inginocchiamo davanti al confessionale a chiedere perdono. Non si inginocchia una nazione o un popolo, ma il singolo.

Però il peccato personale diventa anche peccato sociale, quando diventa una colpa collettiva, colpa che riguarda tutti. È una colpa collettiva nel senso che il peccato di ognuno, verità terribile di cui tenere conto, si ripercuote anche sugli altri, su tutti, su tutto il creato e lo fa misteriosamente, così come l’altra faccia di questa situazione è la Comunione dei Santi, quello cioè che di buono facciamo sale al Cielo e il Signore lo distribuisce secondo il suo criterio, secondo la sua sapienza e quindi non va mai perduto anche se non lo vediamo.

A questa legge di ascesa corrisponde una discesa, che si ripercuote su tutto quello che facciamo e su tutto quello che ci circonda. Ci sono peccati sociali che riguardano i rapporti tra le comunità umane come la lotta di classe, il razzismo, che sono delle vere ideologie del peccato come ci ricorda Reconciliatio et paenitentia. Esiste una forte attrazione del male che influenza l’atteggiamento umano e quando tutta la società ne è intrisa, quando tutti peccano in una determinata direzione e viene a mancare la soddisfazione del peccato, si crea una cupola che diviene sempre più spessa e impenetrabile.

Quando tutta la società ne è intrisa questa attrazione del male preme e si accresce sempre di più in una dinamica perversa con effetti devastanti sulle coscienze disorientate che non riescono più a discernere e alla fine diventa legge positiva.

Donoso Cortés, pensatore cattolico della prima metà dell’Ottocento, grande studioso del liberalismo, che allora era, come anche adesso, il grande nemico per antonomasia del Cristianesimo, definiva il liberalismo “il momento in cui il popolo disorientato e confuso ascolta il consiglio del mestatore che gli dice di scegliere Barabba e non Gesù”. Questo è l’implicito e in fondo anche l’esplicito del liberalismo, nel senso che teologicamente parlando è il propagatore, l’assertore di una società dove le cose del mondo, la politica, l’economia sono divise, separate spesso radicalmente, nella versione socialista, da Dio. Queste strutture quindi possono essere anche economiche, politiche, ideologiche e sociali.

Sono quelle strutture che impediscono al singolo di sottrarsi e discernere. Questa è la nostra società dove francamente è estremamente difficile fare il cristiano, nel senso che alla difficoltà di vivere  secondo la legge di Dio perché siamo tutti figli del peccato originale e dunque fragili in questo contesto, c’è anche la difficoltà di comportarsi da cristiano anche dopo essere usciti di chiesa, fino ad arrivare ad accorgersi dell’impossibilità di essere cristiani nella società e doversi quindi limitare ad esserlo in chiesa.

Questo male preme, in continuazione. Ma che cos’è questo “male”?

Unde malum?” diceva sant’Agostino. Si tratta del “mysterium iniquitatis” per la ragione umana praticamente inconoscibile.

Però sappiamo che abbiamo un percorso che ci aiuta a capire: Dio non è la causa del male perché tutto quello che ha creato è buono. Tutto: angeli, uomini e cose. Laddove non è più buono è perché si è corrotto da sé o è stato corrotto da qualcuno, non certo da Dio. L’origine di questo male deriva dalla ribellione di una parte degli angeli; è Lucifero che si erge all’inizio per superbia e per gelosia come avversario di Cristo e porta con sé gli angeli ribelli.

L’evangelista san Luca ci racconta che come una folgore Lucifero cade dal Cielo, sconfitto dagli angeli fedeli guidati da San Michele. La lotta di Satana contro Dio comincia da lì e ha per campo l’uomo. Odia la materia, non ha compreso l’amore di Dio nella creazione dell’uomo, non ha compreso, o si rifiuta di comprendere, Gesù Cristo uomo, e l’uomo, la sua anima, è il campo di battaglia.

Utilizza quella terribile e subdola tentazione verso Adamo ed Eva verso persone che adoravano Dio, che lo vedevano, che passeggiavano con Lui nel giardino, tentazione che ognuno di noi conosce che consiste nel cominciare a discutere col demonio, il che non è ancora peccato, ma è la scala scivolosa che quasi sempre ci porta al peccato.

Il peccato originale, ereditario come sarebbe stata ereditaria la situazione di felicità nell’Eden, è la prima tappa.

La seconda è il delitto di Caino. Da qui nasce, come la chiama sant’Agostino, la “biforcazione dell’umanità”, cioè di quella umanità che da una parte cerca, nonostante la terribile situazione di caduta, che però non le ha fatto perdere la cognizione di Dio ma anzi lo ricerca, di costruire una società secondo la volontà di Dio, mentre, dall’altra, la stirpe di Caino costruisce la “Città dell’uomo”.

Comincia da lì la battaglia terribile che è lo scenario drammatico della vita dell’umanità, che se non la si legge dal punto di vista religioso della teologia della storia non può essere compresa nella sua verità profonda e non se ne può intravedere un disegno, al di là delle piccole situazioni personali e vicende quotidiane e storiche.

Pertanto le due stirpi. Se abbiamo con Noè, che apparteneva alla prima stirpe, la prima Arca della salvezza, la prima costruzione che ci viene tramandata quale costruzione di un uomo che decide di collaborare con Dio e da lì viene la salvezza, dall’altra parte nella Torre di Babele abbiamo la prima struttura del peccato, simbolo della superbia collettiva che pone la sua intelligenza in concorrenza con Dio. La superbia che muove Adamo ed Eva, la gelosia che muove Caino contro Abele, quella stessa gelosia che porta il Sinedrio a complottare contro Gesù fino a condannarlo a morte. La superbia e la gelosia, ecco le colpe personali che portano alle conseguenze universali del peccato. L’iniquità generalizzata dell’uomo che non ha più rispetto dell’immagine di Dio e perciò si avvia verso l’auto-distruzione senza saperlo. È il diluvio, ma potrebbe essere anche la storia dei nostri giorni.

La misericordia di Dio ricomincia con Noè. Ma gli uomini non capiscono e vogliono salvarsi da soli e lo stato collettivo d’orgoglio della Torre di Babele, che esattamente come il peccato originale, non è la conseguenza di un pensiero che diceva “Dio non c’è” bensì una tentazione gnostica: “guarda che Lui è geloso che voi diventiate come Lui… puoi diventare come Lui”.

La torre di Babele non si scaglia contro Dio, anzi aspira a sostituirsi a Dio. Però questa prospettiva gnostica, come il peccato originale, è fatta dall’uomo, suggerita dal demonio, re di questo mondo. Come tutte le opere umane che non tengono conto di Dio, per quante rovine possano produrre saranno sempre incompiute e rovineranno. È la visione di Daniele: un grande colosso fatto di ferro di bronzo d’oro e d’argento, ma con i piedi di argilla, simbolo della mancanza di Dio. Per cui un sasso lo colpisce e crolla tutto. Un piccolo sasso sì, perché Dio usa le cose piccole e umili per proclamare la sua gloria.

Rovineranno. La divisione delle lingue che segue la Torre di Babele non va letta propriamente come una punizione, infatti ricordiamoci che in un’altra occasione viene presentata come una cosa buona, ad esempio quando Sem, Cam e Jafet partono in tre direzioni diverse, ognuno parlando la sua lingua diversa.

Va invece vista come una misericordia, perché attuando quella divisione Dio impedisce che la struttura di dominio che l’uomo stava costruendo diventi universale, ponendo le basi della scelta degli uomini buoni, come Abramo.

Abramo appartiene ad uno di quei gruppi di famiglie che si allontanano, ognuno nella propria direzione, poi sarà scelto, perché dirà di sì al Signore. Da lui nascerà una famiglia, un clan, dodici clan, poi con Mosè un popolo, il popolo di Israele, che comincia con una persona scelta da Dio.

Dio impedisce dunque che la struttura diventi universale, senza dare possibilità di scampo e di scelta.

Dopo la cacciata dall’Eden cominciò per l’umanità post-adamitica, posta sotto il potere del diavolo, un lungo avvento, millenni in attesa della salvezza che avviene con la nascita di Cristo nella pienezza dei tempi, nella prospettiva di arrivare al vero, eterno, profondo Eden rappresentato dal Sangue dell’Agnello, dal Cuore di Gesù, il nuovo Eden, quello vero, quello finale.

Quando? quando anche Maria risponde sì. E quando, con l’annuncio del Vangelo si apre anche ai pagani, quelli che si erano dispersi, con altre lingue, che lentamente avevano perso la prospettiva originale che tutti avevano e adorando gli idoli più o meno feroci e più o meno banali, ma sempre nel ricordo ancestrale del sacrificio della creazione del Dio potente.

Quando il Vangelo sarà annunciato anche ai pagani, la Chiesa potrà annunciare quella che è la sua vera universalità, che non è quella sul peccato ma è quella sulla verità, la verità della salvezza di Cristo, nato dalla Vergine calpestatrice del serpente.

È una lotta che durerà fino alla seconda venuta di Cristo trionfante. Fra la prima venuta e la seconda si compiono gli Ultimi Tempi, che sono quelli che stiamo vivendo, di cui conosciamo l’inizio ma non conosciamo la fine, ma sappiamo che Satana in questo periodo si scatenerà con tutto il suo furore e la battaglia si accenderà senza quartiere tra la faticosa e pericolante Cristianità, la Città di Dio, che gli uomini faticosamente con tante ricadute e cadute hanno costruito, o in prospettiva intendono ricostruire e quelli che la vogliono distruggere. Questa battaglia è il dramma dei nostri tempi, in cui ognuno è chiamato a scegliere, come ha scelto Noè, come ha scelto Abramo, come ha scelto Mosè. Si tratta di scegliere tra la torre di Babele e la Regalità di Cristo.

Oggi si parla poco di queste cose: peccato originale, inferno, diavolo, regalità di Cristo… in questi tempi di aggiornamenti e di politicamente corretto prima o poi verrà forse  anche qualche teologo che proporrà di eliminare la dicitura di Re, che sa troppo di antico, troppo di sacro… e proporrà di identificare Cristo Re come Presidente (ad honorem, s’intende!) della Repubblica universale.

La regalità viene stemperata, viene affievolita nella sua pretesa che è totale e compiuta. Anche tra le persone buone prevale un significato solo spirituale, anche escatologico, ma non sociale, non politico della regalità di Gesù Cristo. Come se non esistesse un dovere del politico e dello stato verso Dio, si dimentica che è Lui il fondamento dell’autorità e si accettano le teorie liberali della separazione tra Dio e la realtà, tra fede e ragione, tra vita spirituale e vita sociale.

Si rigettano e si sottacciono tutta una serie di principi e messaggi cristiani a cominciare da quello, nei tempi moderni, di santa Margherita Maria Alacoque in cui Gesù, che si presenta col Sacro Cuore, chiede che il regno di Francia venga consacrato al Sacro Cuore e messo pubblicamente sotto la sua protezione.

Noi non sappiamo se questa richiesta è arrivata sul tavolino di lavoro di Luigi XIV, non sappiamo se santa Margherita Maria l’abbia “messa lì” e poi se ne sia dimenticata, o che ne abbia parlato con il padre confessore e sia finita così, o sia arrivata al Vescovo e fatto la stessa fine; che sia addirittura arrivata a corte e il ministro che smista la posta l’abbia ignorata, oppure che sia arrivata a Luigi XIV e sia stato lui a dire che non ne avrebbe fatto nulla. Fatto sta che non ci fu la consacrazione del Regno di Francia al Sacro Cuore, e questa richiesta era venuta esattamente cento anni prima della Rivoluzione Francese.

Giugno è il mese dedicato al Sacro Cuore. Che cosa intendeva Gesù, quali i suoi messaggi, che cosa ci chiede? Non facciamo del mese di giugno soltanto una questione di spiritualità individuale, perché questo sarebbe un cristianesimo mutilato e non era questa la richiesta completa di Gesù.

E quindi si arriva all’Apocalisse, un meraviglioso messaggio di speranza e di salvezza con la quale si chiude la Rivelazione, con la quale il cerchio si chiude.

Si apre con il Protovangelo, nel quale viene annunciata la Donna che schiaccerà il capo del serpente, di Satana, che le aveva insidiato il calcagno e termina con la Donna che risulterà vincitrice in questa battaglia, con la Donna vestita di Sole dell’Apocalisse che appare davanti al Dragone, che anche lì non finirà di insidiarla. È la Madre di Dio, annunciata come la calpestatrice del serpente, la dominatrice dei demoni, la frusta dei cattivi spiriti (come diceva sant’Efrem), il terrore dell’inferno (come diceva san Bernardino da Siena).

Maria è l’avvocata e la speranza ora e nel tempo futuro, contro ogni minimalismo mariano di moda oggi. È Lei che ci guida verso il Cielo. Nel frattempo sarà venuta la fine del mondo, che non sappiamo né come sarà né quando sarà, ma sappiamo che Babilonia la Grande cadrà e cadrà il grande accusatore dei nostri fratelli, come ci ricorda sempre l’Apocalisse, colui che ci accuserà di tutti i nostri peccati, anche di quelli più piccoli e dimenticati. Ci accuserà davanti al Signore e sarebbe per noi terribile se non ci fosse presente la Madonna dall’altra parte.

Il grande accusatore sarà precipitato e sappiamo anche che avverrà il rinnovamento del mondo dei Cieli nuovi e le Terre nuove e che riguadagneremo i troni abbandonati dai demoni con il loro non serviam, non servirò. Lo faremo collaborando al regno di Dio, al rinnovamento della creazione, che è stata danneggiata.

Nella liturgia delle ore c’è questo bellissimo inno che descrive quel momento: “L’aurora inonda il cielo di una festa di luce e riveste la terra di meraviglie nuove; fugge l’ansia dai cuori, s’accende la speranza, emerge sopra il caos un’iride di pace. Così, nel giorno ultimo, l’umanità in attesa alzi il capo e contempli l’avvento del Signore”.

Alla fine dei tempi la morte per il cristiano perderà il suo terrore e nella gloria di Dio torneremo alla Casa del Padre, alla Patria celeste, alle nozze dell’Agnello con la sua sposa, la Chiesa.

È con questo intendimento che concludiamo con le parole dell’Apocalisse “Amen. Vieni, Signore Gesù”.

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Ad maiorem Dei gloriam et socialem

Alleanza Cattolica in Ferrara


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