86. Marzo 2024

19. Marzo 2024 IN HOC SIGNO 0

Cari amici,

con questo numero di IN HOC SIGNO vi proponiamo una sintesi dell’incontro in occasione della benedizione pasquale della nostra sede di via Boiardo 14, nell’ambito della INIZIATIVA SAN MAURELIO che si tiene ogni lunedì. Dopo la recita di una corona del santo Rosario e della benedizione dei locali, don Davide Benini ci ha offerto una relazione sul tema «Perché pregare; perché pregare il Rosario; perché pregare il Rosario in latino». In conclusione i presenti sono intervenuti con considerazioni e riflessioni.

Il testo che segue è un sunto che non pretende di riportare tutto ciò che è stato detto, ma riteniamo di non alterare in nulla il senso della relazione di don Davide e dei commenti successivi.

 

11 marzo 2024 – Benedizione pasquale della sede di via Boiardo 14

Riflessione di don Davide Benini (e di alcuni intervenuti) sul tema

«Perché pregare; perché pregare il Rosario; perché pregare il Rosario in latino»

 

1. Perché pregare

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori diceva che chi prega si salva e chi non prega non si salva. Già questa affermazione risponde in modo semplice e immediato alla domanda, posto che evitare la dannazione è il primo scopo per un’anima.

A questo atteggiamento, che può apparire solo utilitaristico, si affiancano altre ragioni, a cominciare da quella del principio di una autorità riconosciuta e alla quale si deve obbedienza e ossequio. Se si riconosce Dio come Creatore e Salvatore viene ovvio tributargli il dovuto culto. Ma anche questo può apparire riduttivo e non bisogna limitarsi a ciò che accade ad esempio nell’islām, in cui la preghiera è un atto puramente esteriore che non tocca l’intimo della persona: nei cristiani al contrario essa coinvolge tutte le potenze dell’anima, l’intelletto, la volontà e la sensibilità.

Inoltre la preghiera ci è necessaria in quanto ci mette in relazione con Dio, ci permette di dialogare con Lui, elemento essenziale per l’uomo “animale sociale”, in modo ancora più efficace quando riesce a superare la semplice ripetizione di formule riempiendole di significato e di partecipazione, e instaurando un vero dialogo. Nel mondo giudaico l’efficacia della preghiera era misurata con l’esattezza del rito e delle parole pronunciate, attribuendo ad esse quasi una valenza magica; non così nel cattolicesimo, dove la preghiera non si limita ad un insieme di pratiche ma è dialogo con una Persona reale, concreta, vivente, Nostro Signore Gesù Cristo, presente sempre in noi, consacrati nel Battesimo “tempio dello Spirito Santo”, e sommamente nel momento in cui ci comunichiamo.

Questo dialogo può essere spontaneo, semplice, perfino infantile e non per questo meno efficace e fruttuoso. Non intendiamo però questi due ultimi termini in senso utilitarista: non si prega soltanto per ottenere qualcosa, e questo ci da’ indicazioni sulla qualità della nostra preghiera, che deve essere — prima che “di domanda” — di ringraziamento. Anche uno dei fini principali della s. Messa, che riattualizza il sacrificio di Nostro Signore, è quello del ringraziamento. Domandiamoci se è così anche nelle intenzioni della nostra preghiera, in cui la richiesta — per noi stessi e per gli altri — c’è, ma scaturisce da una intima relazione che si scioglie in un dialogo di amore, familiarità e confidenza.

Nel mondo di oggi pregare è faticoso, è incompreso; pregare diventa una lotta, un combattimento, certamente contro il maligno che cerca sempre di non farci pregare per evitare che la Parola di Dio metta radici dentro di noi, ma anche una lotta contro noi stessi, contro tutte le distrazioni e le tentazioni che ci sussurrano che è una inutile perdita di tempo nelle mille occupazioni della giornata. In un mondo tutto permeato di materialismo è più difficile considerare che l’uomo è fatto anche di spirito e che quindi ha bisogno di nutrire anche questa parte fondamentale della propria persona.

Perfino Gesù pregava! Lui che era ed è Dio, si ritirava sul monte per rivolgersi al Padre. Potremmo chiederci perché lo facesse, visto che verrebbe da pensare non ne avesse alcun bisogno; che cosa avesse da comunicare, Lui che era già in unione ipostatica nella Santissima Trinità. Evidentemente il bisogno di pregare è connaturato in tutti gli uomini, e dunque anche in Gesù, vero Dio ma anche vero uomo.

La preghiera è un indice della nostra vita. La nostra preghiera è incostante? Probabilmente anche noi siamo incostanti. È superficiale? Probabilmente lo siamo anche noi. Riflettiamo sul fatto che si vive come si prega.

Infine una obiezione comune: spesso si chiede qualcosa insistentemente in preghiera ma non si ottiene quello che si domanda. Ma chiediamo secondo il nostro vero bene? Sappiamo chiedere quella che è veramente, secondo Dio, la cosa giusta?

2. Perché pregare il Rosario

Il Rosario è una preghiera profonda e insieme semplice. Deriva da una antica pratica dei primi monaci, il Salterio della Beata Vergine Maria: le 150 Ave Maria, in ricordo dei 150 Salmi, davano modo a tutti di pregare, anche a coloro che non potevano o non sapevano leggere, ripetendo le verità fondamentali della fede e della Rivelazione contenuti nelle formule della “salutazione angelica”. Il Gloria poi ci ricorda la Trinità di Dio mentre l’enunciazione dei “misteri” ci aiutano a ricordare e a meditare, durante la ripetizione delle Ave Maria, i momenti salienti della vita di Gesù.

Oggi la preghiera del Rosario è sottovalutata e a volte persino denigrata come appartenente solo al passato o relegata ad una pratica per beghine o vecchiette, non considerando che realizza il motto “Ad Jesum per Mariam”, che dunque conduce a Gesù, meditandone la vita e il sacrificio salvifico, tramite la mediazione della sua santa Madre. Non è dunque da disprezzare, lo afferma anche san Giovanni Paolo II nell’enciclica Rosarium Virginis Mariae del 2002 [nel quale l’ha anzi ulteriormente valorizzato completandolo con l’aggiunta dei misteri della Luce].

Grande pregio del santo Rosario è quindi il fatto che sia una preghiera alla portata di tutti, che si può fare dovunque, anche mentre si cammina o si svolge qualche attività manuale. Le suore di Madre Teresa per indicare il tempo occorrente per andare da un posto all’altro spostandosi a piedi non parlavano di un tot di minuti o ore, ma del numero di rosari o di decine.

La recita del Rosario viene raccomandato pressoché costantemente nelle rivelazioni private da Maria Santissima e tutti i santi la consigliano per la sua riconosciuta efficacia che abbraccia molti aspetti: è potente contro le eresie; ha una funzione apotropaica, cioè contrasta le influenze malefiche e magiche; favorisce la crescita delle virtù; combatte le tentazioni.

Perché dunque recitare il Rosario? La Madonna ce lo chiede: non la accontenteremo?

3. Perché pregare il Rosario in latino

Innanzitutto bisogna dire che il Rosario, ovviamente, può essere recitato in qualsiasi lingua, in dialetto bergamasco così come in bantu, e la sua validità rimane inalterata. Si tratta di una devozione popolare, di una preghiera personale o comunitaria rivolta al Signore e alla Madonna, che capiscono qualsiasi lingua!

Detto questo occorre aggiungere qualcosa. Il latino è la lingua ufficiale della Chiesa cattolica e il Rosario è fatto di preghiere “capitali” del cristiano. Il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria è bene conoscerli anche in lingua latina anche solo per un fatto culturale.

Fin qui abbiamo sunteggiato le riflessioni di don Davide Benini. Su questo ultimo tema i presenti sono intervenuti con alcune riflessioni ulteriori:

Il latino esprime la cattolicità, cioè l’universalità della preghiera del cattolico. Se è evidente che questo risalta maggiormente quando si parla di liturgia, anche nella semplice recita di una corona del santo Rosario l’uso della lingua latina mette in evidenza che in qualsiasi parte del mondo ci si trovi si può pregare insieme usando le stesse formule.

Il latino contrasta gli effetti negativi della confusione delle lingue con la conseguente divisione ricordati nell’episodio biblico della Torre di Babele; implicitamente afferma la volontà di obbedienza alle leggi divine, in contrapposizione alla tentazione orgogliosa di contare sulle sole forze umane per “arrivare fino al Cielo”.

Infine un’ultima considerazione sul latino come “lingua morta”. Questa espressione, a dispetto della sua formulazione, non ha nulla di negativo: significa semplicemente “lingua che non viene più parlata”, e per questo ha anche una caratteristica assolutamente positiva: non essendo “viva” non subisce più alcuna evoluzione come succede a tutte le lingue parlate: è una “lingua ferma”. Per le formule liturgiche come per le preghiere questo è indubbiamente un notevole vantaggio. La recente esperienza del cambiamento, nella lingua italiana, delle parole del Padre Nostro, reso a quanto pare necessario dalla diversa percezione che oggi si avrebbe del concetto “indurre in tentazione”, ci conforta nella decisione di continuare a preferire, nella nostra preghiera comunitaria e associativa del santo Rosario, l’uso della lingua latina.