Riflessione sul tema del Giubileo – 24 maggio 2025

02. Giugno 2025 2025 0

Mattinata spirituale mariana, 24 maggio 2025

Riflessione sul tema del Giubileo
Massimo Martinucci

Concludiamo questa mattinata spirituale con qualche riflessione sul tema del Giubileo, o Anno Santo, che la Chiesa cattolica celebra fin dal 1300, quando il papa Bonifacio VIII ha indetto il primo. Ora siamo giunti al 25esimo Giubileo ordinario a cui vanno aggiunti altri dieci Anni Santi, Giubilei straordinari, indetti per ricordare eventi particolari: il prossimo sarà nel 2033, cioè fra soli otto anni, per celebrare il duemillesimo anniversario della Redenzione.

Papa Francesco ha indetto il Giubileo della Chiesa Cattolica di quest’anno 2025 con la bolla «Spes non confundit» – «La speranza non delude», pubblicato nel maggio dello scorso anno. Qui la  speranza è presentata come una virtù che sostiene la fede e la carità, permettendo ai cristiani di affrontare le difficoltà con fiducia anche in quest’epoca segnata da incertezze e sfide globali.

Questo documento tocca vari temi oltre quello della speranza, temi importanti come quello della pace e quello dell’ecumenismo ma qui mi sembra importante ricordarne un altro in particolare, quello del sacramento della riconciliazione, un tema che stava molto a cuore a papa Francesco. Infatti già altre volte, fin dall’inizio del suo pontificato, aveva insistito sull’importanza della confessione sacramentale, e per noi questo è significativo perché siamo abituati a cogliere il nesso sempre esistente tra la situazione spirituale personale e quella sociale, con la quale c’è sempre una interconnessione anche solo per il fatto che in una situazione sociale e politica favorevole ci sono meno ostacoli a una vita anche personale incline alla vita religiosa e alla devozione.

Non dimentichiamo che la nostra associazione possiamo dire che si basi e tragga ispirazione da quella espressione (Radiomessaggio di Pentecoste del 1941) di Papa Pio XII che afferma che «Dalla forma data alla societàconsona o no alle leggi divinedipende e s’insinua anche il bene o il male nelle anime».

Certo, l’itinerario parte sempre dai peccati personali che guastano le relazioni fondamentali dell’uomo – con Dio, con il prossimo, con il Creato e nell’uomo in se stesso –. Quando questi peccati personali si sommano e si strutturano nella vita sociale – e non può che essere così in quanto l’uomo è ‘animale sociale’ – ecco che il peccato personale acquista la dimensione di peccato sociale, situazione che di per sé non aiuta, anzi ostacola, la vita personale virtuosa.

Dicevo dunque che cerchiamo di cogliere il nesso tra vita personale e vita sociale. Ebbene qual è il nesso tra la confessione sacramentale, che è personale, e la vita sociale?

È il fatto che — implicitamente ma poi non tanto — la confessione è di suo una affermazione contraria al relativismo, perché nel momento in cui uno si accosta al confessionale è come se dichiarasse a se stesso e al mondo che non è relativista, cioè che il bene e il male non sono uguali, che il bene si fa e del male si chiede perdono e che ci si impegna a non commetterlo più. La confessione è una affermazione del fatto che c’è una verità e c’è una morale, perfino che c’è una legge e che di conseguenza c’è un legislatore.

Altri due punti presenti nella bolla di indizione «Spes non confundit» sono il pellegrinaggio e la devozione alla Madonna. Li ricordo qui insieme perché Alleanza Cattolica ha scelto di celebrare associativamente questo Giubileo con un pellegrinaggio al santuario mariano di Pompei, che abbiamo fatto a metà marzo accogliendo l’invito di papa Francesco che nella bolla appunto raccomanda di «riscoprire e valorizzare la preghiera del Rosario e a rivolgersi con fiducia a Maria, Madre della Speranza, affinché accompagni il popolo cristiano durante il cammino del Giubileo» e di promuovere «iniziative di pellegrinaggio e preghiera nei santuari mariani sparsi nel mondo, non solo a Roma. Questo per ravvivare la fede attraverso la spiritualità mariana, che è parte integrante del cammino di conversione e speranza».

Abbiamo dunque compiuto un pellegrinaggio al santuario di Pompei, nell’occasione organizzando anche un convegno che si è tenuto in una grande sala del santuario stesso. Nel suo intervento il nostro Reggente Nazionale Marco Invernizzi ha ripercorso qualche tratto della vita della nostra associazione, che c’era già cinquant’anni fa, nel 1975, e venticinque anni fa, nel 2000, e che ha partecipato a quegli Anni Santi in contesti storici completamente diversi dall’attuale.

Il 1975 era caratterizzato da ideologie contrapposte che si fronteggiavano. In quell’anno a Roma in piazza San Pietro abbiamo diffuso un volantino in migliaia di copie in cui si metteva in guardia l’elettorato dal pericolo che alle elezioni politiche potesse vincere il Partito Comunista Italiano. Eravamo in quegli anni arroccati in una prospettiva di difesa, difesa della civiltà cristiana da un pericolo incombente e molto concreto, in Italia e in tutto il mondo. In quell’anno Saigon cadde nelle mani del Vietnam del Nord, e nella carta geografica del mondo, in cui coloravamo i territori a seconda delle ideologie al potere, era prevalente il rosso.

Nel 2000 la situazione era cambiata e partecipammo al giubileo di quell’anno con un atteggiamento molto diverso: il muro di Berlino era stato rimosso già da dieci anni, in Russia si poteva predicare la fede, in tutto il mondo si respirava un’aria diversa, di libertà, anche se questa “libertà riacquistata” nei paesi dell’Est ha permesso anche l’ingresso di quegli elementi presenti in una società occidentale in decadenza.

Ci raccontava qualcuno che c’erano persone che da Berlino Est andavano nella parte Ovest per visitare i pornoshop che all’Est erano proibiti… La libertà si porta dietro anche degli aspetti negativi, ma sono questi che vanno combattuti, non certo si deve scegliere di rinunciare alla libertà per timore di essi!

Anche sulla scia del magistero pontificio di quegli anni, specialmente di san Giovanni Paolo II che rilanciò la Dottrina sociale della Chiesa,  celebrando il Giubileo del 2000 la nostra prospettiva era cambiata e da un atteggiamento di difesa passammo ad uno di riconquista, secondo una nuova mentalità improntata all’idea di Nuova evangelizzazione. La situazione ci suggeriva di passare, da un abito mentale di difensori a quello di ricostruttori.

Oggi sono passati altri 25 anni, e la situazione è ancora cambiata, perché è cambiato il mondo che abbiamo intorno e ci rendiamo conto sempre di più di quanto sia necessario, nella nostra opera di cristiani per la Nuova evangelizzazione, di capire noi e far capire a chi ci sta intorno che un’opera di ricostruzione della società deve essere intrapresa nel rispetto della legge di Dio e non su basi esclusivamente umane, perché, come disse san Giovanni Paolo II in tante occasioni «un mondo senza Dio si costruisce presto o tardi contro l’uomo». Siamo nell’epoca dei social e dell’intelligenza artificiale, della cultura woke e della cancel culture, sono venute meno le ideologie ma sono sempre più affermati pretesi “nuovi diritti”. L’opera a cui siamo chiamati, di Nuova evangelizzazione, rimane, ma in un contesto molto diverso e ancora più difficile da capire e da affrontare.

Questo è stato messo bene in evidenza anche nell’ultimo intervento del convegno di Pompei dal Reggente vicario della associazione, il magistrato Domenico Airoma, che ha ripreso il tema del sacramento della confessione che ci deve cambiare facendoci aprire gli occhi, facendoci rendere conto della differenza che c’è tra quello che siamo e quello che dovremmo essere; e — facendoci rendere conto della differenza che c’è fra quello che il mondo è e quello che dovrebbe essere — ci chiama, dopo aver cambiato noi stessi, ad operare una conversione anche sociale e politica. A questo come laici cattolici siamo chiamati: non si tratta soltanto di essere bravi cristiani. Certamente lo dobbiamo essere ma dobbiamo rendere cristiano il mondo che ci sta intorno. Per fare questo dobbiamo essere “contemplativi in azione”: guardare a questo nostro mondo così sfigurato, contemplarlo come è, immaginarlo come dovrebbe essere, e metterci in azione facendo quello che possiamo, singolarmente e associativamente.

Questa immagine ricordo che ci fu proposta dal nostro fondatore Giovanni Cantoni moltissimi anni fa in un ritiro spirituale. Ci parlò della nostra vocazione di laici cattolici proprio come “contemplativi in azione”. Si deve cioè essere fedeli che pregano ma anche che agiscono, perché la vocazione propria e primaria dei laici non è quella, come i religiosi, della vita in preghiera, o dei sacerdoti, della vita liturgica e pastorale, ma quella di persone che si occupano del buon funzionamento della vita sociale, nella propria famiglia, nel lavoro, nelle istituzioni, quindi anche nella vita politica.

In quella occasione usò una espressione che non ho mai dimenticato, ma che solo recentemente ho ritrovato in un vecchio testo, un commento agli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio dove c’è un capitolo intitolato «La lode di Dio».

Per dar lode a Dio si possono pronunciare le tradizionali preghiere insegnate dalla Chiesa, oppure in alternativa si può dar lode a Dio con le opere. Santa Teresa di Calcutta diceva alle sue suore che nella necessità di soccorrere un bisognoso avrebbero potuto, anzi dovuto!, interrompere la preghiera «anche lasciando a metà un’Ave Maria». Due modi diversi di pregare, due modi diversi di dar lode a Dio?

L’espressione citata da Giovanni Cantoni che dopo tanti anni ho ritrovato in questo libretto va oltre. È una frase del Card. Billot — uno dei maggiori teologi di inizio Novecento — che dice: «Laudare Deum et in gloria Dei agere incidit in idem». Lodare Dio e agire per la gloria di Dio “incidit in idem” – coincidono.

Coincidono! cioè “sono la stessa cosa”! Il che è di più che dire semplicemente “vanno bene entrambe le cose, facciamole entrambe”. Coincidono!

Ecco. Da laici cattolici quel che dobbiamo fare è proprio questo: pregare ma essere disposti a “lasciare a metà un’Ave Maria” per agire, nella consapevolezza che l’una e l’altra cosa “incidit in idem”, coincidono.

Ecco allora che il nostro pellegrinaggio giubilare proprio a Pompei è significativo anche per un altro motivo, e cioè per il fatto che c’è un cattolico laico – come noi – che è il “protagonista principale”. L’artefice della costruzione del santuario e di tutto quello che il santuario rappresenta; il propagatore della devozione alla Madonna del Rosario, l’autore della celeberrima preghiera, la lunga “supplica” che viene raccomandato di recitare due volte all’anno. Questo vero e proprio “protagonista” è l’avvocato Bartolo Longo, il beato Bartolo Longo, che presto sarà proclamato santo e che è stato ricordato in un altro intervento del convegno di Pompei.

Quello che ha realizzato quest’uomo ha dell’incredibile, e la lettura della sua biografia è interessantissima, ve la consiglio, si trova facilmente in rete.

Ve la riassumo brevemente: Bartolo Longo nacque nel 1841 in provincia di Brindisi. Giunse a Napoli per completare gli studi in giurisprudenza, ma fu attratto dal mondo dello spiritismo in un ambiente che in quegli anni era dominato dallo spirito anticlericale e positivista, e abbandonò la fede. Addirittura per un paio d’anni fu un sacerdote satanista.

Insoddisfatto da questa vita, depresso e sull’orlo della disperazione, dopo il suicidio di un amico che frequentava le sue stesse cattive compagnie, tornò alla fede cattolica e conobbe la contessa Marianna De Fusco, una giovane vedova con cinque figli, che gli chiese di divenire amministratore delle sue proprietà e dei suoi beni. In questa veste nel 1872 (quindi poco più che trentenne) arrivò a Valle di Pompei, e fu lì che – colpito da una voce interiore «Se propaghi il Rosario, sarai salvo!» – comprese la sua vocazione. Decise di non allontanarsi da quel luogo senza aver diffuso il culto della Vergine del Rosario.

Iniziò a catechizzare i contadini, ristrutturò la chiesa locale, nel 1875 portò a Pompei l’immagine miracolosa della Madonna del Rosario e l’anno dopo fu posta la prima pietra del Santuario. Da allora, la sua opera crebbe a dismisura: fondò case per gli operai, un ospedale, orfanotrofi, scuole per i figli dei carcerati e una congregazione religiosa femminile.

Nel 1883 scrisse la celebre Supplica alla Madonna del Rosario, che oggi milioni di fedeli recitano in tutto il mondo l’8 maggio e la prima domenica di ottobre. Fondò anche un periodico che si pubblica tuttora; insomma si spese instancabilmente per un’opera di carità e ricostruzione spirituale e sociale.

Morì nel 1926, è stato beatificato da san Giovanni Paolo II nel 1980 ed entro quest’anno giubilare sarà proclamato santo.

La figura del beato Bartolo Longo ci ricorda che cosa può fare una persona che inizia con convinzione ad agire: prima dell’eruzione del Vesuvio dell’anno 79 Pompei era una città romana vivace e ricca abitata da almeno 10-15 mila persone o forse di più, ma dopo quella tragedia che la distrusse, e fino agli ultimi anni del 1800 era ridotta a una landa desolata abitata da poche centinaia di persone in povertà.

Oggi è una cittadina di 25mila abitanti che accoglie ogni anno milioni di visitatori: è stato un cattolico serio a renderla così e, nel piccolo o nel grande, ognuno di noi qualcosa può fare per migliorare la società in senso cristiano.

A maggior ragione noi che siamo più motivati perché ci rendiamo conto che «dalla forma data alla società dipende molto della salvezza delle anime»!

Per concludere vi invito a prendere il piccolo pieghevole e a contemplare l’immagine di Gesù sofferente in croce. Ringraziandolo per averci salvati recitiamo tutti insieme la preghiera “in riparazione dei peccati sociali” con la quale gli chiediamo di «aiutarci a vivere con rettitudine e onestà» e di darci la forza di agire per «costruire la città terrena sul modello di quella celeste».