Il “lavaggio del cervello”

Lezione tenuta dal dott. Andrea Menegotto martedì 21 maggio 2002

Andrea Menegotto (CESNUR)

Stato e Chiesa: rapporti, conflitti, libertà religiosa
Il “lavaggio del cervello”

© maggio 2002

 

Di fronte a scelte “strane” – dal diventare terrorista con bin Laden all’assassinio dei propri genitori – si parla spesso di “lavaggio del cervello”. Questa espressione ricorre pure quando si parla di “sette”. Il corposo volume firmato Massimo Introvigne Il lavaggio del cervello: realtà o mito?, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 2002 (1) analizza tre diverse scuole di pensiero, spesso confuse fra loro.

  1. La prima è costituita dagli studi psicologici e psichiatrici che – sulla scia della Scuola di Francoforte e dello psicanalista Erik Erikson (1902-1994) – elaborano la nozione di “totalismo” per spiegare perché tanti, nel Novecento, abbiano abbracciato ideologie totalitarie, dal nazismo al comunismo. Psicologi e psichiatri come Robert Jay Lifton (1926-) ed Edgar H. Schein (1928-) spiegano il “totalismo” come l’interazione fra un’educazione autoritaria ricevuta nell’infanzia, preferenze ideologiche “forti” e l’accorta manipolazione dei primi due elementi da parte di movimenti totalitari.
  2. La seconda corrente nasce dalla propaganda della CIA (la Central Intelligence Agency) che, in piena Guerra Fredda, fa lanciare nel 1950 a un suo agente – il giornalista Edward Hunter (1902-1978) – l’espressione “lavaggio del cervello” e la applica alle tecniche russe e cinesi di indottrinamento, che sarebbero in grado di cambiare rapidamente le idee delle vittime in modo permanente. La CIA, per un certo periodo di tempo, crede alla sua stessa propaganda e finanzia ricerche clandestine su “cavie” umane inconsapevoli per realizzare il perfetto lavaggio del cervello.
  3. La terza corrente applica la teoria che la CIA riferiva al comunismo alle religioni in genere o più recentemente alle sole “sette”, che si distinguerebbero dalle “religioni” appunto perché praticano il “lavaggio del cervello”.

Mentre in Italia la norma che reprimeva il plagio difesa con argomentazioni simili alle teorie del “lavaggio del cervello” è stata dichiarata incostituzionale nel 1981, la Francia si è dotata nel 2001 di una legge contro le “sette” che incrimina la “soggezione psicologica” (2).

Ci sono certamente casi in cui uno stato di soggezione è indotto tramite la prigionia, la tortura e l’uso di droghe: se ne trovano esempi in organizzazioni politiche e terroristiche e anche in alcuni movimenti religiosi. Ma in questi casi si tratta di soggezione indotta mediante mezzi fisici o chimici, facilmente verificabili, per cui non c’è bisogno di nuove leggi: la tortura e la droga sono già vietate e perseguite. Diversa è invece la teoria secondo cui semplicemente attraverso l’indottrinamento intensivo a una visione del mondo religiosa (o politica), senza l’uso di violenza fisica o di droghe, sarebbe possibile “lavare il cervello” alle persone.

Anni di ricerche dimostrano che non è possibile stabilire confini certi fra “persuasione ideologica” accettabile e “lavaggio del cervello” illegale, e che la Corte Costituzionale italiana aveva quindi ragione nel 1981 quando decideva che le norme sul “plagio” fatalmente inducono il giudice a scivolare dall’esame dei metodi di persuasione all’esame dei contenuti, diventando così strumento di discriminazione nei confronti di idee considerate bizzarre o impopolari.

Si può naturalmente chiedersi se la creazione di piccoli mondi che rifiutano la società circostante tipica di certi movimenti religiosi non rischi di creare una mentalità totalitaria, chiusa e potenzialmente violenta. Ma questa, come avevano ben visto i fondatori della teoria del totalismo (da non confondere con le più rozze tesi della CIA sul “lavaggio del cervello”), è una questione filosofica e culturale: chiedere ai pubblici ministeri di imporre ai gruppi e alle persone di essere “aperte” per legge significa esporre la libertà di tutti a rischi intollerabili (3).

 

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Note:

(1) Si consiglia caldamente la lettura di questo volume, di cui il presente intervento non costituisce altro che un semplice invito alla lettura. Del medesimo autore, più brevemente, cfr. la voce “Il “lavaggio del cervello”” in I.D.I.S. (Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale), Voci per un Dizionario del Pensiero Forte, tratto da http://www.alleanzacattolica.org/idis_dpf/voci/l_lavaggio_cervello.htm e riportato per intero in questa stessa pagina.
Il CESNUR ha inoltre attivato, sul suo sito, una pagina speciale: “La controversia sul lavaggio del cervello: testi e documenti” (con testi in varie lingue): http://www.cesnur.org/testi/se_brainwash.htm

(2) Sul punto, cfr., ampiamente, la mia lezione tenuta alla Scuola di Educazione Civile di Ferrara martedì 23 aprile 2002, Rapporti tra Stato e Chiesa e libertà religiosa in Francia, disponibile sul sito della Scuola all’URL http://web.tiscali.it/maxmarti/meneg102.htm

(3) Sulla libertà religiosa in generale: cfr. Giovanni Cantoni, La libertà religiosa come valore, lezione inaugurale dell’ anno 2001-2002, tenuta il 23 ottobre 2001 alla Scuola di Educazione Civile di Ferrara, disponibile sul sito della Scuola all’URL http://web.tiscali.it/maxmarti/giocan01.htm e, più ampiamente, G. Cantoni – M. Introvigne, Libertà religiosa, “sette” e “diritto di persecuzione”. Con appendici, Cristianità, Piacenza 1996.


Il “lavaggio del cervello”

di Massimo Introvigne

 

1. Il problema e le sue origini relative alla religione

Le religioni “nuove” sono sempre apparse singolari o bizzarre alla società circostante, e si è spesso sospettato che l’adesione dei convertiti non sia veramente “libera” ma frutto di manovre più o meno deviate o sinistre. Già sul cristianesimo delle origini circolavano quelle che i sociologi contemporanei chiamerebbero “storie di atrocità”. Tuttavia, soltanto nell’Ottocento questi timori hanno potuto essere espressi con riferimento alla manipolazione della volontà causata dall’influenza deliberata e maliziosa di una persona su un’altra. Ben prima che l’ipnotismo acquistasse una rispettabilità scientifica, la paura sociale del “mesmerismo” si traduceva nell’idea — falsa, ma socialmente diffusa — che fosse possibile rendere numerose persone, in modo contemporaneo e permanente, succubi della volontà altrui.

Nel secolo scorso le innovazioni religiose che possono apparire strane e minacciose sono più d’una. Il maggior allarme sociale, in Europa — da dove decine di migliaia di convertiti partono per zone remote dell’America, di cui poco si sa — e negli stessi Stati Uniti d’America, è destato dal mormonismo — la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni —, con i suoi riti singolari, la pretesa che il suo fondatore, Joseph Smith Junior (18051845), abbia scoperto un nuovo libro sacro, e soprattutto con la pratica della poligamia. Com’è possibile — ci si chiede — che persone apparentemente normali si convertano a una religione così strana? Tutta una letteratura anti-mormone risponde che non si tratta di conversioni libere, ma del sapiente uso del “mesmerismo” da parte dei dirigenti mormoni. Questa letteratura pensa di poter prescindere da una critica religiosadella dottrina mormone. Rappresenta piuttosto il mormonismo come una minaccia politica, nei cui confronti richiede l’intervento dello Stato. Non a caso, quando le polemiche sui mormoni — che nel 1890 rinunciano alla poligamia — diminuiscono, il paradigma ipnotico è abbandonato. Riemergerà nel Novecento, non a caso nuovamente in un contesto politico.

 

2. Le origini politiche

Il paradigma ipnotico riemerge per spiegare comportamenti di avversari politici. Le idee considerate da certi intellettuali così strane da escludere che possano essere abbracciate liberamente sono anzitutto quelle “fasciste” o “di estrema destra”. Negli anni 1920 — sviluppando idee dello psicanalista socialista Paul Federn (1870-1950) — diversi psicologi e sociologi cominciano a studiare le ragioni dell’adesione al nazionalsocialismo e al fascismo. In termini diversi, da una parte Wilhelm Reich (1897-1957), dall’altra Erich Fromm (1900-1980) e altri autori della Scuola di Francoforte sviluppano il concetto di “personalità totalitaria”, ritenendo che la propaganda “fascista” abbia successo in quanto capace di far emergere caratteristiche psicologiche che derivano sia dalla repressione sessuale, sia da un’educazione autoritaria ricevuta nei primi anni dell’infanzia. Due autori della Scuola di Francoforte, Theodor Wiesengrund Adorno (1903-1969) e Max Horkheimer (1895-1973), si rifugiano negli Stati Uniti d’America e guidano il progetto di studi su La personalità autoritaria presso l’Università della California a Berkeley, che culmina in un volume dallo stesso titolo pubblicato nel 1950. Lo studio esercita una notevole influenza, ma è anche criticato per i suoi pregiudizi politici, in quanto considera sinonimi autoritarismo e conservatorismo e non s’interessa di tecniche di persuasione messe in atto da ideologie totalitarie di sinistra. Erik Erikson (1902-1994) — che aveva studiato nella stessa chiave il nazionalsocialismo — formula, a partire dal 1953, una teoria psicologica generale del totalitarismo, che tiene conto anche del comunismo.

Nel frattempo, non senza seguire con attenzione questi sviluppi, la CIA, la Central Intelligence Agency, aveva cominciato a interessarsi delle tecniche prima nazionalsocialiste, poi comuniste, di indottrinamento. Il timore che i comunisti possedessero tecniche ipnotiche irresistibili aveva cominciato a diffondersi in Occidente con le confessioni pubbliche di crimini immaginari nei processi della “grande purga” realizzata da Iosif Visarionovic Dzugasvili detto Stalin (1879-1953) negli anni 1936-1938, e con la confessione altrettanto pubblica del card. József Mindszenty (1892-1975) nel processo di Budapest del 1949. Queste confessioni — effettivamente sconvolgenti — potevano essere spiegate, tragicamente ma semplicemente, con l’uso della tortura. Il quadro tuttavia cambia nel 1952, quando un certo numero di piloti e di marinai americani, catturati nella guerra di Corea (1950-1953), cominciano a rilasciare alla radio dichiarazioni filocomuniste. Per l’opinione pubblica americana degli anni della “guerra fredda” ci si trova qui di fronte a qualche cosa d’inconcepibile, che non può essere spiegato soltanto con la tortura. Un volume pubblicato l’anno prima, nel 1951, da un presunto “giornalista” — in realtà, come oggi si sa, un agente della CIA, Edward Hunter (1902-1978) — con il titolo Lavaggio del cervello nella Cina Rossa diventa improvvisamente un bestseller. Hunter spiega che il “lavaggio del cervello” — un’espressione coniata dallo stesso Hunter traducendo la parola cinese hsi nao — è una tecnica che permette letteralmente di svuotare la mente dei prigionieri e di riempirla con nuove idee. Questa tecnica sarebbe stata usata nei campi di rieducazione della Cina di Mao Dzedong (1893-1976) a partire dal 1949 sulla base di un manoscritto segreto del noto scienziato sovietico Ivan Pavlov (1849-1936). Oggi vi sono pochi dubbi sul fatto che il manoscritto segreto di Pavlov non sia mai esistito e che le opere di Hunter fossero parte di un’operazione di propaganda tipica del clima degli anni 1950. La CIA, peraltro, credeva alla sua stessa propaganda, e a partire dal 1953 ha condotto esperimenti più o meno segreti sul lavaggio del cervello per oltre venticinque anni. I risultati di questi esperimenti — che oggi sarebbero certamente considerati illegali, e probabilmente lo erano già all’epoca — sono stati peraltro negativi. La CIA ha dovuto concludere che non è possibile far cambiare alle persone atteggiamenti politici contro le loro inclinazioni naturali. D’altro canto, il “lavaggio del cervello” non aveva veramente funzionato neppure durante la guerra di Corea. Meno di venticinque americani — su diverse migliaia sottoposte ai programmi di “rieducazione” — scelsero di non tornare a casa dopo la guerra. Al contrario, migliaia di prigionieri di guerra nordcoreani e cinesi chiesero di restare nella Corea del Sud o negli Stati Uniti d’America alla fine della guerra. Se il “lavaggio del cervello” esistesse, ci si potrebbe chiedere se non si tratti, semplicemente, della società capitalista.

 

3. La teoria di Robert Jay Lifton

La polemica sul “lavaggio del cervello” offre ad alcuni psicologi e psichiatri, fra cui Robert Jay Lifton — che pure considerava risibili le tesi di Hunter —, l’occasione di sviluppare una teoria della “riforma del pensiero”, in tesi possibile attraverso le confessioni forzate di colpe più o meno immaginarie e la successiva “rieducazione”, anche in assenza di condizioni di prigionia o di tortura. Il modello originario di Lifton — che era stato allievo di Erikson — dava grande importanza alle condizioni pre-esistenti e all’educazione ricevuta nell’infanzia: queste condizioni spiegavano perché alcuni si erano mostrati suscettibili alle tecniche cinesi di “riforma del pensiero”, mentre la maggioranza aveva resistito. In questo senso il modello di Lifton si differenziava dalle ipotesi della CIA secondo cui sarebbero esistite tecniche di “lavaggio del cervello” applicabili con successo a chiunque.

 

4. L’applicazione alle “sette”

A partire dalla metà degli anni 1960, per una serie complessa di ragioni, si diffonde in Occidente un gran numero di nuovi movimenti religiosi, che i loro oppositori chiamano “sette”. A fianco di un’opposizione religiosa alle “sette”, che critica la loro dottrina, si diffonde un’opposizione di tipo psicologico e politico, la quale ritiene — ancora una volta — che a idee così strane non ci si possa convertire liberamente, e applica alle “sette” le teorie del “lavaggio del cervello”. La leadership del nascente movimento anti-sette è assunta da psichiatri e da psicologi, come Louis J. West (1924-1999) e Margaret T. Singer. Benché invochino volentieri il modello di Lifton — che molti anni più tardi, ormai invecchiato, spenderà qualche parola a loro favore —, questi autori applicano in realtà alle “sette” piuttosto il diverso modello elaborato dalla CIA, che non s’interessa ai — veri o presunti — fattori predisponenti e insiste sull’efficacia “magica” di tecniche capaci di manipolare chiunque. Le teorie anti-sette del “lavaggio del cervello” hanno un effimero successo negli anni 1970 e nei primi anni 1980, ma sono in seguito screditate dalla reazione — se non unanime, largamente maggioritaria — degli studiosi accademici di nuovi movimenti religiosi, i quali fanno notare che le cosiddette “sette” hanno in realtà un successo minore di quanto molti pensino, e un turnover altissimo, così che non sembrano certo in possesso di tecniche “magiche” di conversione. Un episodio importante si verifica nel 1987 quando la teoria del “lavaggio del cervello” è criticata apertamente dall’autorevole APA, l’American Psychological Association, fra l’altro con il rigetto di un progetto di rapporto preparato da un comitato guidato dalla Singer. A partire dalla sentenza californiana Fishman, del 1990, la maggioranza dei tribunali americani rifiuta le teorie del “lavaggio del cervello”. Molto più che negli Stati Uniti d’America, i movimenti anti-sette continuano però a essere influenti in Europa, dove la storia della controversia negli Stati Uniti d’America è spesso ignorata e ritornano proposte di legge che vorrebbero incriminare sinonimi del “lavaggio del cervello”, dalla “manipolazione mentale” alle “tecniche psicagogiche”: anche se la sentenza della Corte Costituzionale, che nel 1981 ha eliminato dall’ordinamento della Repubblica Italiana il reato di plagio, rende queste strade più difficilmente percorribili.

 

5. I pericoli

La lotta alle “sette” scatenata in paesi come la Francia e il Belgio — con assurde liste di “sette pericolose” che vanno dai quaccheri a movimenti cattolici — mostra come siano rischiose le teorie del “lavaggio del cervello”. Il successo di qualunque idea religiosa — o politica — che sembri inaccettabile a chi propone queste teorie è immediatamente attribuito al “lavaggio del cervello”, con conseguente proposta di misure repressive. Vi sono certamente in certi nuovi movimenti religiosi — non in tutti — casi di maltrattamenti, di minacce, di abuso dello stato di debolezza di minorenni o di incapaci di intendere o di volere, ovvero la messa in opera di strategie di persuasione che, di per sé lecite, diventano illecite per l’oggetto: per esempio, quando i fedeli sono persuasi al suicidio o a compiere atti di terrorismo. In questi casi — che naturalmente si verificano anche al di fuori delle religioni — l’applicazione attenta delle norme esistenti del diritto penale comune è auspicabile e necessaria, senza che sia necessario né opportuno creare nuovi “delitti di setta” o incriminare la fantomatica ed elusiva “manipolazione mentale”. Ultimamente, le teorie del “lavaggio del cervello” costituiscono — oltre ogni considerazione di tipo tecnico — uno dei molteplici volti del moderno relativismo. Postulano che le scelte si dividano non in giuste e in sbagliate, ma in libere e non libere. Una volta eliminate le scelte sbagliate come pseudo-scelte non libere, tutte le opzioni libere possono essere dichiarate buone. Una scelta invece può essere insieme sostanzialmente libera — certo condizionata, ma non determinata da fattori e influenze esterne — e sbagliata o immorale: è quello che il cristiano chiama peccato. Se si rinuncia a questo principio di responsabilità, che è a fondamento del lavoro sia dei tribunali sia dei confessionali, l’uomo è ridotto a un robot che non agisce ma “è agito” da altri.

 

Per approfondire: Massimo Introvigne, Il lavaggio del cervello: realtà o mito?, Elledici, Leumann (To) 2002. Si troveranno documenti e indicazioni sulla bibliografia scientifica — prevalentemente di lingua inglese — sul sito Internet del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni www.cesnur.org.

 


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