Introduzione alla Dottrina sociale della Chiesa

Questa è la trascrizione pressoché letterale della lezione introduttiva ai corsi dell’Anno 1996-’97 tenuta da S. E. mons. Carlo Caffarra, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, alla Scuola di Educazione Civile sul tema Introduzione alla Dottrina sociale della Chiesa il 14 ottobre 1996.
Il testo
non è stato rivisto dall’autore.

S. E. mons. Carlo Caffarra
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

Riflettendo sull’invito che mi avete fatto – e del quale vi ringrazio – di tenere questo incontro, e sapendo qual è lo scopo di questo vostro ritrovarvi assieme, ho pensato che sarebbe stato utile farci due domande fondamentali che servano, lo spero, per tutto il lavoro di riflessione seria e rigorosa che mi dite volete fare.
1 – Che cosa è la Dottrina sociale della Chiesa, e
2 – Perché oggi è importante conoscere la Dottrina sociale della Chiesa.
Cercherò di rispondere a queste due domande.
Primo punto: Che cos’è la Dottrina sociale della Chiesa.
L’espressione «Dottrina sociale della Chiesa» denota precisamente un insegnamento compiuto dai pontefici, soprattutto, a partire da Leone XIII, che implica tre ambiti. Se paragonassimo questo insegnamento, che si chiama Dottrina sociale della Chiesa, ad un terreno e ne facessimo la sezione, lo vedremmo composto da tre strati. Un primo ambito di ciò che chiamiamo Dottrina sociale della Chiesa è costituito dalla presentazione di una visione della persona umana e della società umana, che fondamentalmente trova la sua radice nella fede cristiana ma che, almeno fino a un certo punto, può essere condivisa anche alla luce della sola ragione. Una visione della persona umana e della società umana legata ad un secondo ambito che è costituito da una serie di princìpi generali che servono come criteri poi per la edificazione della società umana nelle sue varie espressioni.
Che cosa vuol dire «nelle sue varie espressioni»? La socialità dell’uomo (il fatto che l’uomo sia un essere socievole) si esprime in tante forme che vanno dalla società di raggio più stretto che è la società coniugale – matrimonio – fino a quella che ha il raggio più ampio, che è la società internazionale. Quando parliamo di società umana intendiamo tutte le realtà nelle quali si realizza la dimensione sociale della persona umana, che vanno dal matrimonio fino alla società internazionale.
Il secondo ambito, molto agganciato con il primo, è quello in cui l’insegnamento sociale della Chiesa elabora dei criteri che servono per edificare, per costruire la società umana nelle sue varie espressioni. Connesso con questo secondo ce n’è un terzo e ultimo, che consiste in indicazioni molto pratiche, anche se ancora generali, che possono poi costituire il programma sociale di associazioni, di movimenti, di partiti politici, ecc. Quindi quando noi diciamo «Dottrina sociale della Chiesa» in realtà noi indichiamo un complesso di insegnamenti che si pongono in ambiti abbastanza diversi. Vedremo presto perché facciamo questa distinzione estremamente importante anche dal punto di vista pratico.
Per fare subito qualche esempio: se voi leggete il primo documento di Dottrina sociale della Chiesa, la Rerum Novarum di Leone XIII, del 1891, troverete affermazioni come questa: «La persona umana non deve ritenersi semplicemente come parte di un tutto che è la società». Questa è una affermazione che riguarda proprio il concetto di persona umana. Quando tu pensi – dice il papa – la persona umana, non la devi pensare come fosse la parte di un tutto. Questa è una affermazione che appartiene al primo ambito. In altra parte del documento il papa raccomanda molto che si costituiscano dei sindacati cattolici. Le due affermazioni sono molto diverse, perché la seconda affermazione appartiene già ad un ambito di programmazione, in questo caso economica-sociale. Ora, qualunque enciclica sociale voi leggiate, troverete sempre questi tre ambiti che non è sempre facile distinguere perché come dicevo sono molto connessi fra loro. Cerchiamo ancora di spiegare meglio. La distanza fra il primo ambito (Leone XIII che dice: «La persona non è la parte di un tutto») e il terzo ambito («i cattolici devono costituire dei sindacati»), la diversità dei due tipi di insegnamento, è costituita da alcune proprietà che noi dobbiamo tenere ben presenti, che sono le seguenti:
L’insegnamento del primo tipo, del primo ambito, ha una validità di carattere universale. È sempre vero e sarà sempre vero che la persona umana non deve essere considerata come la parte di un tutto. Questa affermazione ha una validità di catattere universale. Gli orientamenti pratici che si pongono invece nel terzo ambito hanno sempre un valore storicamente condizionato. Cioè può essere benissimo che per risolvere i problemi del lavoro non sia più opportuno che ci sia un sindacato cattolico. Pio XI nella Quadragesimo Anno vedeva molto importante, per risolvere il problema del lavoro, una cogestione a livello dei redditi dell’impresa. Può essere benissimo che oggi questo modo non funzioni più. Mentre il primo tipo di insegnamento ha un valore universale, il terzo ha un valore sempre contingente. Questa è la prima diversità.
Seconda diversità, importantissima: mentre il primo ambito, così come il secondo, come vedremo, entra come tale nella competenza del Magistero della Chiesa, il terzo ambito non è propriamente parlando di competenza del Magistero della Chiesa, bensì piuttosto dei laici, non di chi esercita il Magistero della Chiesa, del papa e dei vescovi.
Di conseguenza – terza diversità – mentre il primo tipo di insegnamento ed il secondo esigono il consenso interiore a quell’insegnamento da parte di tutti i fedeli, come lo si deve al Magistero autentico della Chiesa secondo il grado di obbligatorietà dovutogli, il terzo ambito non esige questo consenso.
Faccio un esempio. Quando uscì, qualche anno fa, il documento preparato dalla Conferenza episcopale cattolica statunitense, molto preannunciato con uso di grandi mezzi di comunicazione sociale, sull’economia americana, incontrai per caso in via della Conciliazione un grandissimo professore di economia della Harvard University del quale sono amico, e che già da qualche anno vedo candidato per il premio Nobel in economia; questo è un cattolico, credente e praticante. Mi ferma e mi dice: questo documento è per me un problema di coscienza, perché io, come cattolico, di fronte al magistero dei vescovi ho il dovere di ossequio non solo esterno ma anche interno a ciò che i vescovi insegnano; però in quel documento si dice la tal cosa (non ricordo di che cosa si trattasse specificamente). Ora – continua – per arrivare a questa conclusione, non è sufficiente il principio universale proprio della dottrina cristiana sull’uomo, ma è necessario aggiungere una certa interpretazione del sistema economio statunitense. Ora questa interpretazione è discutibile, e io non l’accetto. Che cosa devo fare? Allora gli ho risposto: la vecchia logica è sempre valida! (uno dei suoi principi diceva: «la conclusione segue sempre la parte peggiore» in un ragionamento). Se in questo ragionamento c’era un principio di dottrina (parte migliore), e c’era poi un’interpretazione dell’economia americana (parte peggiore), la conclusione è ancora di dottrina o è di economia? Di economia! Dunque su questo punto tu non sei obbligato per niente, perché su questo punto in senso stretto, il Magistero della Chiesa non è competente: ecco l’altra diversità molto importante.
Ancora: con il primo ambito del suo insegnamento il Magistero della Chiesa risponde alla domada: che cosa è la realtà sociale, chi è la persona umana. Con il terzo ambito esso cerca di dirti come programmare il nostro intervento nella società in modo tale che essa sia veramente una società umana. Leone XIII diceva: nell’economia, fate dei buoni sindacati cattolici; Pio XI invece diceva: nel mondo dell’impresa, ci vuole la cogestione degli utili; viene qui un professore di economia e dice, no guardate che questo non funziona! Per questo, questo e questo motivo.
Ricordate, ci aveva provato Tito a fare un’economia di questo tipo, ma in realtà sappiamo che non ha funzionato.
Ho sempre parlato del primo ambito e del terzo, perchè questi sono i più distanti, quindi di valore diverso. Questo vi fa capire che la Dottrina sociale della Chiesa ha bisogno di un ambito di mezzo, che è il secondo.
Da che cosa è formato? Da quelli che in termine tecnico vengono chiamati «gli assiomi di mezzo» cioè da quei criteri basati sulla dottrina in senso stretto (primo ambito), che servono precisamente di orientamento generale su come poi programmare il proprio intervento nella società, nell’economia, nella politica, ecc.
Facciamo un esempio. L’affermazione: «Il matrimonio è una società naturale» è una affermazione di carattere dottrinale in senso stretto, perché risponde alla domanda «Che cos’è il matrimonio?». Nella risposta «una società naturale», naturale vuol dire: non tutto nel matrimonio è negoziabile; non si può negoziare, per esempio, la durata del matrimonio; né si può negoziare l’unità del matrimonio; cioè non ci si può mettere d’accordo con la propria ragazza prima di sposarsi e dire: senti, ci mettiamo d’accordo, tu non dici niente se assieme a te porto in casa anche altre due donne. Questo non è negoziabile, l’unità non è negoziabile. Vuol dire, più profondamente ancora, che la comunione, la comunità coniugale trova la sua radice ultima proprio nella struttura stessa della persona uomo-donna, che non è una creazione inventata puramente dall’uomo. Questo è il significato di società naturale.
Guardo adesso la realtà e vedo che, di fatto, nell’assegnazione degli alloggi popolari si mette sullo stesso piano il matrimonio – che è l’unione legittima fra un uomo e una donna – e l’unione fra due donne, o l’unione fra due uomini. Ma il cristiano di fronte a questa proposta, a questa equiparazione, come si deve comportare? Ebbene, il cristiano deve dire no, perché se il matrimonio è una società naturale, tu non puoi decidere che cosa è matrimonio e che cosa non lo è. Non dipende da te il dare la definizione del matrimonio. Non è che se un Parlamento domani stabilisce che il matrimonio è l’unione legittima o fra un uomo e una donna, o fra due uomini o fra due donne questo diventi vero; mentre invece può benissimo dire: da domani mattina le società per azioni sono così… questo lo può fare, perché le società per azioni non sono società naturali. Dunque: primo, la definizione non dipende da una decisione umana; secondo, non si possono mettere sullo stesso piano i due tipi di unione; e terzo, non potendolo mettere sullo stesso piano non si deve agire in modo tale da diminuire la stima verso il matrimonio. Vedete che ho fatto già tre affermazioni, che non sono più puramente dottrinali, però sono conseguenze immediate di una affermazione dottrinale, e hanno la caratteristica di diventare criteri per intervenire poi nei problemi concreti della società.
Che cosa ho fatto: sono partito da una affermazione dottrinale, la quale mi ha generato dei criteri di operazioni, di scelte, di orientamenti -ecco i «criteri di mezzo» -, i quali poi mi aiutano a programmare l’intervento nella società, in modo che la società sia sempre più a misura di uomo. Ecco allora che quando si dice Dottrina sociale della Chiesa si intendono questi tre grandi momenti. Il primo momento è di competenza vera e propria del Magistero della Chiesa, il secondo momento ugualmente, anche se in questo caso la competenza del Magistero non è così costringente come nel primo. Il terzo ambito è di pura competenza dei laici. Che cosa vuol dire competenza? Vuol dire che un laico potrebbe anche dire ai vescovi: no, quello che voi dite su questo… no, guardate, proprio vi sbagliate. Mentre invece se il Magistero della Chiesa dice: «l’uomo è una persona», questo è un insegnamento di carattere dottrinale. A questo punto allora, sempre cercando di rispondere alla domanda: «che cos’è la Dottrina sociale della Chiesa» dovremmo chiederci quali sono le verità fondamentali che costituiscono il primo ambito, qual è il contenuto del primo ambito. La Chiesa, alla domanda: che cos’è la persona umana, che cos’è la società umana, come risponde? Ecco il primo ambito. Poi chiederci: che cosa sono i cosiddetti principi di mezzo, principi di passaggio nella Dottrina sociale della Chiesa? Sono quelli del secondo ambito. Il terzo ambito, infine, è proprio il momento in cui la dottrina (primo e secondo ambito) diventa programma politico, programma economico, programma sociale, e dunque si traduce nei programmi delle varie associazioni laiche cattoliche.
Ora, la vostra Scuola esattamente vi aiuta a rispondere a queste due domande: prima, qual è la visione della persona umana e della società umana e, seconda, quali sono i grandi princìpi, i criteri operativi per far sì che la società umana sia veramente tale.
Una volta poi svolto il lavoro di formazione, ciascuno ha la libertà di riconoscersi o meno nel programma di questa associazione, di questo movimento, di questo partito.
Ma vorrei ora enunciare solo alcuni princìpi fondamentali della Dottrina sociale, o del primo ambito, che oggi sono di una importanza fondamentale. Premettendo però una avvertenza: determinare quali insegnamenti appartengano al primo ambito non è sempre facile, perché la Dottrina sociale della Chiesa è andata, per così dire, costruendosi progressivamente: ci sono comunque almeno due criteri per conoscere se una affermazione appartiene proprio all’ambito dottrinale in senso stretto.
Primo criterio: la ricorrenza. Se voi leggete tutti i documenti sociali, dalla Rerum Novarum di Leone XIII (1891) fino alla Centesimus Annus di Giovanni Paolo II, e anche dopo, vedrete che ci sono delle affermazioni che ritornano sempre, mentre altre vengono lasciate cadere. Questo è già un segnale che questi insegnamenti non appartengono al primo ambito. L’altro criterio è questo: quando si leggono questi documenti occorre fare sempre molta attenzione a distinguere ciò che è insegnato dagli argomenti che vengono usati – anche dai papi stessi – come base per il loro insegnamento, perché mentre ciò che è insegnato ha valore permanente, gli argomenti usati non sempre rimangono sempre validi. Voglio fare un esempio che è tipico nella Dottrina sociale della Chiesa: se voi studiate il tema proprietà privata, nella Dottrina sociale della Chiesa voi vedete che da sempre e ovunque il Magistero afferma che la proprietà privata è un diritto fondamentale della persona umana, e quindi condanna qualunque dottrina sociale economica che affermi l’intrinseca illiceità della proprietà privata. Se però esaminate sulla base di quali argomenti il Magistero afferma questo, vi accorgerete che gli argomenti cambiano moltissimo. Confrontate Leone XIII, per esempio, e Giovanni Paolo II: adducono argomenti molto diversi per dimostrare e per fondare questo principio.
Tenendo presente, quindi, la ricorrenza di un insegnamento e la distinzione tra un insegnamento e gli argomenti, ricordiamo almeno alcuni di questi princìpi:
Primo: l’uomo è una persona. Non è semplicemente un individuo, è una persona. Bisognerebbe chiederci quali sono le caratteristiche che fanno sì che tu sia persona, in base alla quale si afferma che tu sei persona, per cui negando anche una sola di queste proprietà per ciò stesso neghi che tu sei persona. Ve ne faccio grazia, perché ce ne sono troppe e non è questo l’ambito, ma vi dirò almeno la prima, perché me la trovo davanti tutti i giorni, quando voglio dire il rosario in terrazza, e spesso devo scappare, potete immaginare il perché… per gli stormi di piccioni. Direte: che cosa c’entrano i piccioni con la dignità della persona? Sì, perché la prima proprietà in base alla quale potete capire se una visione è personalista o meno – cioè se afferma o non afferma la dignità della persona – è se afferma o non afferma l’essenziale diversità tra gli animali e gli uomini.
Però, voi sapete, un calcio ad una persona gliela potete dare, però guai se date un calcio ad un piccione in piazza Duomo… rischiate il codice penale.
Ecco quindi un primo criterio che sapete oggi fondamentalmente questo è negato, quindi non è più una visione personalista questa, se non si afferma l’essenziale diversità fra l’essere animale e l’essere persona. E voi sapete, questo ha delle conseguenze enormi, perchè (seconda caratteristica per una visione personalista) il diritto lo si può attribuire solo al soggetto persona; le altre realtà non hanno diritti, gli animali non hanno diritti. Questo non significa che io posso trattare comunque un animale, non vuol dire questo; però non hanno diritti, solo la persona può avere diritti, perché il diritto è una realtà morale, spirituale, il diritto. Primo, allora, la dignità personale dell’uomo. Secondo principio fondamentale, la natura sociale della persona umana. Molto importante. Alla domanda: donde ha origine il nostro stare assieme, la società umana, donde ha origine; è una esigenza che è inscritta nella mia stessa natura di persona oppure invece è una decisione che comunque noi prendiamo, il famoso contratto sociale?
Ora se io rispondo: il primo, dico che l’uomo è naturalmente sociale; se rispondo: il secondo, affermo che l’uomo non è naturalmente sociale, ma che l’uomo naturalmente è un individuo… e cambia tutto, veramente cambia tutto.
La terza afferamzione: esistono quindi società umane naturali, ed esse sono fondamentalmente tre: il matrimonio, la famiglia, lo stato, la società politica, tre società naturali. Quindi la dignità personale dell’uomo, la natura sociale dell’uomo, l’esistenza di società naturali, quarto, affermazione importantissima, la legge fondamentale che regola i rapporti sociali fra le persone non è la legge dell’utilità, non è il principio dell’utile, è il principio del giusto, è il principio di giustizia, che non può essere ricondotto al principio dell’utile.
Questo ultimo punto affrontatelo bene a fondo nella vostra Scuola, perché è di una importanza straordinaria oggi, dirò subito il perché, fra quelli che appartengono al primo ambito.
Quali sono i princìpi che appartengono al secondo ambito? Almeno devo accennare a due, perché probabilmente sono i più importanti. Vi ho spiegato che funzione hanno questi princìpi. Il primo, il più importante di tutti, è il principio di sussidiarietà. Che cosa vuol dire il principio di sussidiarietà? Vuol dire questo: che ciò che può essere fatto da una società per così dire inferiore non deve essere svolto da una società superiore. E la società superiore deve aiutare quella inferiore, non sostituirsi. Pensate per esempio, se, almeno da un certo punto di vista, le prestazioni sanitarie vengono meglio assicurate attraverso libere associazioni private che non da un sistema nazionale (non so se è così, non lo so, è un esempio) questo allora significa che non ci deve essere un sistema nazionale sanitario, ma che chi lo fa deve essere aiutato a farlo bene. Il principio di sussidiarietà è questo. Altra applicazione, sempre più attuale: se la famiglia ha il diritto di educare, devono essere aiutate le famiglie ad educare; e non ci si deve invece sostituire alla famiglia. Da qui deriva un altro principio di mezzo, di transizione (secondo ambito), che è l’affermazione della libertà della scelta educativa. Questo è un criterio che giudica tutto il sistema scolastico, per esempio.
Altro principio, anche questo importantissimo, quello che io chiamo il principio della legittimazione morale del potere politico. Che cosa vuol dire: voi sapete che da quando esiste lo Stato uno dei problemi più seri (per certi versi il più serio) che l’uomo si è sempre posto, è il seguente: a quale titolo tu, Stato, mi imponi tutto ciò che mi imponi. A quale titolo? Donde ti viene questo potere? Mi imponi le tasse, quindi di prendere della ricchezza che io ho onestamente guadagnato; mi imponi di proibirmi di farmi giustizia, aspettando la tua giustizia; per esempio; eccetera. Donde deriva questo? Come si può legittimare, dimostrare che è bene che sia così, sulla base di che cosa? Già i sofisti dicevano: ah, è semplice, è così perché tu sei più debole e lui più forte, quindi la legittimazione è la forza: chi è più forte comanda. È un tipo di legittimazione. Altra legittimazione sarebbe questa: perché, tutto considerato, è meglio che ciascuno rinunci a fare ciò che vuole, assegnando ad un altro questa autorità, anche se pone serie limitazioni; perché, se così non fosse, qui sarebbe un disastro, una guerra di tutti contro tutti, per cui è più utile che sia così. Legittimazione cosiddetta utilitarista, oggi è quella dominante. La Dottrina sociale della Chiesa dice: no, non è così, né l’una né l’altra: la legittimazione è morale. Che cosa vuol dire morale? Vuol dire che il principio di autorità si giustifica esclusivamente sulla base di un servizio reso al bene della persona o, oggi anche si dice, sulla base di un servizio di difesa e di promozione dei diritti fondamentali di ogni e singola persona umana. Voi capite che queste non sono questioni teoriche, sono molto pratiche.
In altra occasione ho affermato: guardate, ci sono delle condizioni di giustizia fiscale; non è sufficiente dire (lo si deve dire; è necessario ma non sufficiente dirlo) che si devono pagare le tasse, perché bisogna anche aggiungere un’altra cosa, cioè che il diritto di prelievo fiscale da parte dello Stato è a certe condizioni, non esistendo le quali non ha più questo diritto, e io non ho più il dovere di pagarle, perché la legittimazione dell’autorità è di carattere morale. Se invece io accetto il primo tipo di legittimazione, mi viene detto, no caro mio tu questo discorso non lo fai perché io ho la forza di farlo, così ho stabilito quindi comunque si fa così. Il principio di legittimità morale invece attribuisce all’uomo, sempre, anche di fronte alla legittima autorità, il dovere e il diritto di giudicare se quello che fa l’autorità è o non è conforme alla legge morale. Questo è il punto.
La grande filosofa Hanna Arendt, grande filosofa sociale, partita dall’ateismo e poi arrivata al cattolicesimo, nella sua ultima opera esprime questo concetto: non il nazista convinto, non il comunista più ortodosso, è il miglior suddito delle dittature, ma colui che ritiene la distinzione fra vero e falso, fra bene e male, come una distinzione di poco conto. Ecco questo è il principio della legittimazione morale dell’autorità. Uno può dire: se si afferma questo è finita. No, no, è proprio finita se non lo affermi, perchè se non affermi questo principio tu non avrai mai dei cittadini, avrai sempre degli schiavi. Ecco il discorso di Hanna Arendt. Tu poni le basi della dittatura, e la dittatura non è lo Stato, è una contraffazione della società politica. È una corruzione della società politica.
Ho finito il primo punto. La seconda domanda che mi ero posto era: perché è importante oggi conoscere la Dottrina sociale della Chiesa? Per due ragioni: perché è importante conoscerla sempre, e quindi conoscerla anche oggi; prima ragione. La fede cristiana si qualifica (non perderò mai occasione di ricordarlo) per la fede nel mistero dell’Incarnazione. Nella prima lettera San Giovanni dice: chi è l’Anticristo? Colui che non confessa che Dio è venuto nella carne. Cioè questo è la pietra di paragone per sapere non se si è religiosi o atei, se si è cristiani o non si è cristiani (si può essere religiosi senza essere cristiani). Allora la fede nell’Incarnazione fra le altre cose che cosa mi fa capire? Mi fa capire che la vita umana è una cosa bella, è una cosa grande, è una cosa seria, e io la devo vivere fino in fondo. La vita umana è divertimento, quindi quando mi diverto mi devo divertire fino in fondo, se no non sono un cristiano. Quando vedo i miei bambini, li devo educare, ma con una passione unica, se no non sono un cristiano; quando lavoro, lo devo fare con passione, è il mio lavoro, se no non sono un cristiano; perché il cristiano crede in un Dio che è venuto a vivere proprio questa vita. Questa vita umana, che noi viviamo ogni giorno. La vita umana è in larghissima misura vita associata, cioè il sociale umano è parte proprio costitutiva della nostra esperienza umana; allora non è indifferente, per me cristiano, che la società umana sia fatta in un modo o in un altro; non è che possa dire: mah è lo stesso. Questa è la mia vita. Allora ecco perché è importante conoscere la Dottrina sociale. Perché precisamente ti guida nella costruzione di una vita sociale degna di questo nome.
È importante conoscere la Dottrina sociale perché è importante conoscerla sempre, e questo vale dalla Resurrezione di Gesù Cristo fino alla sua venuta finale, e difatti in un certo senso la Chiesa l’ha sempre elaborata, già dai Padri della Chiesa. Ci sono degli studi storici sulla Dottrina sociale dei Padri della Chiesa, per esempio. San Tommaso d’Aquino ha una dottrina politica ancora oggi di tutto rispetto. Sappiamo che la democrazia moderna è nata in larga parte nella università di Salamanca, nella facoltà di teologia di Salamanca, a metà del XVI secolo, ed era composta da teologi. Nel «De Indis» del Da Victoria si afferma per la prima volta la necessità di una società mondiale internazionale basata sul rispetto delle persone. Ecco. È una esigenza inscritta nella fede, questa.
Ma oggi in modo particolare è necessario. Perché? Perché, vedete, io sono sempre più convinto che il tumore, proprio il cancro, il cancro delle nostre società ha un nome e questo nome è l’utilitarismo. È questo cancro che ci distrugge, e ti fa morire, proprio senza scampo. Che cosa intendo per utilitarismo? Intendo quella dottrina che si basa sull’affermazione che i soggetti umani sono governati esclusivamente, nel loro agire, dalla logica egoista del calcolo dei piaceri e dei dolori, dal loro solo interesse e dalle loro preferenze. Non solo, ma l’utilitarismo non solo dice questo, ma dice anche che è bene che sia così, perché non esiste nessun altro fondamento possibile alle norme morali, e quindi anche alle leggi civili, se non la legge della felicità degli individui e della collettività degli individui.
Ci siamo arrivati attraverso un cammino piuttosto lungo, che inizia addirittura secondo me già col XIV secolo, quindi andiamo indietro, no?, si è passato da un utilitarismo ancora diffuso, ecco, ad un utilitarismo che poi diventa dominante, soprattutto con l’apparizione delle teorie dell’economia di mercato, e che poi infine, in questo secolo, soprattutto a partire dagli anni sessanta, è diventato generalizzato. Diffuso, dominante, generalizzato. E noi ci troviamo ormai a questo.
Tra pochi giorni ci sarà l’atto di apertura dell’Istituto di Scienze Religiose e io farò la lezione di apertura e parlerò sul tema: «La libertà minacciata. È possibile oggi essere liberi?» approfondendo soprattutto l’argomento utilitarismo: la vera minaccia alla nostra libertà oggi è questa. Ora direte: che cosa c’entra la Dottrina sociale con l’utilitarismo? C’entra. In fondo come avete sentito da quelli che abbiamo sentito sui princìpi del primo ambito e princìpi del secondo ambito, che cosa afferma la Dottrina sociale della Chiesa? Afferma che c’è un bene della persona umana che non può sempre essere ricondotto alla utilità.
Faccio un esempio e finisco. Tutti ricordiamo, perché fu uno dei momenti più drammatici della storia della nostra Europa, la vicenda di Tommaso Moro. Voi sapete che ci fu un momento in cui Tommaso Moro fu completamente solo. Anzi per la precisione erano in due a sostenere ciò che lui sosteneva. Vale a dire che Sua maestà britannica non aveva autorità sulla Chiesa Cattolica, non poteva sostituisi al Papa. Perché sapete che la vera questione era questa, non la questione del matrimonio o meno di Enrico VIII; il problema era se il capo dello Stato poteva attribuirsi l’autorità suprema sulla religione di un popolo. Erano solo in due, a sostenere di no. Tommaso Moro, un laico, e l’arcivescovo di Rochester, John Fisher. Perché gli altri che la pensavano come loro, una decina di certosini, erano già stati ammazzati. Tutti gli arcivescovi e vescovi del regno avevano sottoscritto il famoso atto di supremazia, in cui praticamente si diceva che il re d’Inghilterra non riconosceva sopra di sé nessuna autorità nel campo religioso in Inghilterra. Tutti: tutti i religiosi, tutte le facoltà di teologia. Tutti. Al punto tale che a un certo momento la moglie di Tommaso Moro, quando lo va a trovare in prigione, gli dice: ma possibile che sei solo tu? Allora tutti gli arcivescovi e i vescovi del regno sbagliano? La risposta è esemplare. Non lo so se sbagliano loro, io so che se dicessi il contrario sbaglierei. Ma alla fin fine, qual era l’argomento fondamentale che usavano? Era il seguente: vogliamo ributtare ancora l’Inghilterra dentro una guerra civile dalla quale siamo appena usciti, che ci ha distrutti? Che cosa è più utile per lo Stato inglese, dare ragione a Enrico VIII o opporsi? Tommaso Moro diceva: il problema non è quello di sapere che cosa è più utile, ma di sapere se è giusto quello che stiamo facendo.
Nel momento in cui noi riteniamo che ci possa essere un modo di fare il vero bene di un popolo facendo eccezioni al principio della giustizia, ritenendo più efficace un’altra strada, in quel momento noi abbiamo posto le radici della distruzione di quel popolo come tale, e questo lo stiamo vedendo in realtà anche ai nostri giorni. Ora, in fondo, la Dottrina sociale dice: guarda che c’è un bene della persona umana, che non è solo l’utilità. Guarda che c’è una verità sull’uomo, che vale, sempre e comunque, e che deve diventare il criterio di operazione e di intervento nella costruzione della società medesima.


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