La libertà religiosa come valore

Lezione inaugurale dell’Anno 2001-2002, tenuta il 23 ottobre 2001

«Stato e Chiesa: rapporti, conflitti, libertà religiosa»

Giovanni Cantoni

La libertà religiosa come valore

 

1. Con il termine “religione” — secondo un recente Lessico della Filosofia. Etimologia, semantica & storia dei termini filosofici — s’indica “[…] l’insieme dei miti o dogmi (racconti, testi sacri) e dei riti (preghiere, azioni, sacrifici) con cui l’uomo attua i suoi rapporti con Dio. La religione è la manifestazione spontanea, naturale della condizione di finitezza e creaturalità dell’uomo. Ogni popolo, sviluppando la propria cultura, si crea anche una religione” (1); oppure — secondo un corrente dizionario della lingua italiana — “religione” è “il rapporto, variamente identificabile in regole di vita, sentimenti e manifestazioni di omaggio, venerazione e adorazione, che lega l’uomo a quanto egli ritiene sacro o divino” (2).

Comunque, “religione” indica la modalità — di diversa qualificazione — di soddisfacimento di un’esigenza umana detta “naturale” almeno in quanto “costante” (3).

2. Fra le interpretazioni più o meno articolate del fatto religioso ve ne sono di quelle che lo qualificano — sia pure a diverso titolo — come morboso: ma, siccome tale morbosità rimanda a una corrispondente sanità, per evitare la contraddittoria enunciazione di una norma da parte di chi, negandone il fondamento, cioè Dio, le nega tutte, si fa talora ricorso a una prospettiva “progressistica”, che attende dal decorrere del tempo il superamento dell’età o della condizione religiosa. Poiché però l’attesa è atteggiamento passivo, tale superamento — in qualche caso anche rilevantissimo — è stato promosso non solo attivisticamente, ma anche aggressivamente. Per esempio, la storia dell’inveramento del marxismo-leninismo, formalmente chiusa in sue importanti — forse fondamentali — espressioni statuali nel 1989, è storia di questa promozione, una sorta di liberazione coatta dalla religione attraverso il mutamento politico delle sue presuntamente fondamentali basi sociali.

3. La condizione religiosa del mondo lungamente sottoposto alla terapia violenta della persecuzione “scientifica” o monitorato da quanti erano in passiva attesa dell’”inesorabile” fine della religione con l’avvento della “società secolarizzata” contraddice entrambe le “profezie” (4): infatti, la religione non è morta e non muore, anche se la sua sopravvivenza non ha neppure i caratteri immaginati dai suoi stessi sostenitori, spesso più colpiti dalle diversità, percepite come radicali novità, piuttosto che dalle costanti.

4. Ma, a quanto sembra — e i segni sono tutt’altro che esigui — i “medici volontari” del morbo religioso non si sono dati per vinti e, forse convinti dell’impossibilità di farla finita una volta per tutte con il fatto, operano per il suo contenimento a un livello d’irrilevanza sociale: la loro azione si esprime principalmente secondo due linee, concettualmente descrivibili come separate, ma che s’intersecano nel vissuto esistenziale e storico.

La prima linea consiste nella denuncia di quanto ha caratteri determinati e forti come causa possibile, se non addirittura certa, di rischio sociale e come fondamentalismo; quindi si serve dell’ipertrofia d’espressioni religiose che s’è socialmente manifestata invece della scomparsa del fatto religioso, cioè trae occasione dal fenomeno detto delle “nuove religioni” e segnala con clamore comportamenti individuali o di gruppo oggettivamente censurabili per gettare discredito e per indicare come impossibile titolare di diritti di cittadinanza ogni proposta di significato della vita e del mondo (5).

La seconda linea passa dalla denuncia della religione come alienazione sociale a quella della denuncia di essa come alienazione psichica (6).

5. Fra gli episodi più facilmente sfruttabili — e più accuratamente sfruttati — ricordo il suicidio, il 19 novembre 1978, nella giungla della Guyana, di oltre novecento seguaci del Tempio del Popolo (7). Quindi, fra il 4 e il 5 ottobre 1994, il suicidio-omicidio di cinquantatré persone che facevano parte dell’Ordine del Tempio Solare, nel Québec e in Svizzera; un tragico gesto ripetuto un anno dopo, il 23 dicembre 1995, con sedici morti, in Francia. Ancora, la morte di cinque membri dello stesso Tempio Solare in un terzo episodio verificatosi ancora nel Québec nel marzo del 1997 (8). La tragedia del Tempio Solare ha avuto — sedici anni dopo — un ruolo paragonabile in Europa a quella della Guyana negli Stati Uniti d’America, coinvolgendo parlamenti e governi, producendo nel 1996 un discusso e discutibile rapporto parlamentare in Francia, la creazione nello stesso paese — insieme ad altre misure — di un “Osservatorio” permanente, commissioni parlamentari simili a quella francese in Germania e altrove (9). In Belgio, il 28 aprile 1997, una di queste commissioni ha seriamente proposto l’introduzione nel codice penale della seguente norma: “Saranno puniti con la reclusione da due a cinque anni […] coloro che attraverso […] manovre di costrizione psicologica contro un individuo avranno attentato ai suoi diritti fondamentali […] abusando della sua credulità per persuaderlo dell’esistenza di false entità, di un potere immaginario o di futuri avvenimenti chimerici” (10). Lo stesso rapporto belga rappresenta un’ulteriore tappa di un processo che — muovendo dalla preoccupazione, in sé certamente legittima, di lottare contro gli abusi di movimenti religiosi che violano le comuni norme del diritto penale — finisce per utilizzare le “sette” come pretesto per campagne che mirano a restringere la sfera della libertà religiosa e associativa, e a dilatare i poteri di controllo dello Stato sulle religioni. L’esempio belga è particolarmente interessante perché l’attacco, questa volta, è portato al cuore non solo delle “nuove” ma anche delle “vecchie” religioni. Infatti, nella “lista di proscrizione” collegata al rapporto figurano anche l’Opus Dei e il Rinnovamento Carismatico, noto in Italia come Rinnovamento nello Spirito; quindi, per non far torto al protestantesimo, sono presenti le Assemblee di Dio, la maggior denominazione pentecostale mondiale, che conta oltre ventidue milioni di membri, insieme a comunità pentecostali minori (10).

6. Stando così le cose, s’impone l’affiancare la libertà religiosa alle diverse libertà che vengono suggerite dai diversi ambiti realizzativi dei soggetti e dei gruppi umani, accanto — per esempio — alla libertà d’intrapresa economica.

Dev’essere ben chiaro che, con l’espressione “libertà religiosa” non s’intende riciclare — con artificio lessicale più o meno furbesco — vecchi rapporti, ma — nella corretta comprensione strutturale e storica di tali rapporti — realizzare una condizione che tenga conto dell’esperienza e della situazione storica. Così come, almeno in una certa accezione, “democrazia” è più di una tecnica politica e ha caratteri di regime politico da privilegiare per chi ha conosciuto il totalitarismo o a esso la contrappone (11), allo stesso modo la condizione di pluralità religiosa e la permanenza dell’aggressività antireligiosa indicano nel regime di libertà religiosa il quadro da perseguire e da realizzare come valore.

7. Naturalmente la proposta della libertà religiosa non nasconde quella della licenza religiosa, né la provvisoria “dogmatizzazione” d’una condizione storica in attesa di tempi migliori. Significa semplicemente l’affermazione della libertà come condizione per la realizzazione delle potenzialità dell’uomo — singoli, gruppi e umanità tutta —, non come causa di tale realizzazione: se la verità non è “figlia del tempo”, non è neppure “figlia della libertà”, ma con la libertà — e forse anche con il tempo — ha un certo grado di parentela. Infatti significa che, anche in pendenza di tempi migliori dal punto di vista di una determinata religione o confessione religiosa, il suo trionfo storico non può e non deve in alcun modo vanificare la libertà di scelte diverse (12).

8. Un ultimo punto necessita di essere almeno evocato: quello relativo al passato e al suo insegnamento.

Leggo l’espressione, attribuita a Winston Churchill, secondo cui “tutte le nazioni hanno un racconto da raccontare” (13). Ne consegue che non è una nazione il gruppo umano che non ha un racconto da raccontare. Se il racconto di una nazione — il caso degli italiani è emblematico — è ampiamente “inenarrabile” senza riferimento a una determinata religione, tale riferimento culturale non può e non deve essere eliminato, pena la cancellazione del racconto e la conseguente perdita dell’identità nazionale; e ogni silenzio trasforma il racconto in ricostruzione del passato non utile al fine d’identificare le permanenze e verso di esse atteggiarsi, conservandole o eventualmente rifiutandole, per altro avendo sempre ben chiaro che “factum est illud; fieri infectum non potest” (14), “neppure Dio può far sì che non sia stato fatto quanto è stato fatto”. Perciò, con ogni evidenza, il silenzio relativo a fatti accaduti si rivela una palese modalità di “propaganda antireligiosa al passato”. Né l’eventuale massiccio riferimento culturale a una religione può essere addotto come infrazione alla libertà religiosa.


Note:

(1) DON ANTONIO LIVI, Lessico della filosofia. Etimologia, semantica & storia dei termini filosofici, Ares, Milano 1995, p. 129.
(2) GIACOMO DEVOTO e GIAN CARLO OLI, Il dizionario della lingua italiana, sub voce, Le Monnier, Firenze 1990, p. 1575.
(3) Cfr. KAROL WOYTYLA, Paternità-maternità e la “communio personarum”, in IDEM, Perché l’uomo. Scritti inediti di antropologia e filosofia, trad. it., con un invito alla lettura di Massimo Serretti, Leonardo, Milano 1995, pp. 215-234 (p. 230).
(4) Cfr. MASSIMO INTROVIGNE, Il sacro post-moderno. Chiesa, relativismo e nuova religiosità, Gribaudi, Milano 1996, pp. 5-22.
(5) Cfr. ibid., pp. 141-253; e IDEM, Movi-menti e campagne anti-sette, in IDIS. ISTITUTO PER LA DOTTRINA E L’INFORMAZIONE SOCIALE, Voci per un “Dizionario del Pensiero Forte”, a cura di Giovanni Cantoni, con una presentazione di Gennaro Malgieri, Cristianità, Piacenza 1997, pp. 167-172.
(6) Cfr. ERMANNO PAVESI, La psichiatria e i movimenti anti-sette, in Cristianità, anno XXV, n. 263, marzo 1997, pp. 7-21.
(7) Cfr. M. INTROVIGNE, Idee che uccidono. Jonestown, Waco, il Tempio Solare, Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1995, pp. 17-36.
(8) Cfr. ibid., pp. 63-107; JEAN-FRANÇOIS MAYER, Il Tempio Solare, ed. it. rivista dall’autore, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1997.
(9) Cfr. M. INTROVIGNE, “Sette” e “diritto di persecuzione”: le ragioni di una controversia, in GIOVANNI CANTONI e M. INTROVIGNE, Libertà religiosa, “sette” e “diritto di persecuzione”. Con appendici, Cristianità, Piacenza 1996, pp. 59-116; e IDEM, Il fantasma della libertà. Le controversie sulle “sette” e i nuovi movimenti religiosi in Europa, in Cristianità, anno XXV, n. 264, aprile 1997, pp. 13-26.
(10) CHAMBRE DES REPRÉSENTANTS DE BELGIQUE, Enquête parlementaire visant à élaborer une politique en vue de lutter contre les pratiques illégales des sectes et les dangers qu’elles répresentent pour la société et pour les personnes, particulièrement les mineurs d’âge. Rapport fait au nom de la Commission d’Enquête par MM. Duquesne et Willems, 2 voll., Chambre des Représentants de Belgique, Bruxelles, 28 aprile 1997, vol. II, p. 224.
(11) Cfr. IDEM, Il ritorno dei giacobini: il rapporto della commissione parlamentare belga d’inchiesta sulle sette, in Cristianità, anno XXV, n. 269, settembre 1997, pp. 5-17.
(11) Cfr. il mio La democrazia nell’enciclica “sociale” “Evangelium vitae”, ibid., anno XXIII, n. 241-242, maggio-giugno 1995, pp. 3-8.
(12) Cfr. la mia Nota a proposito della libertà religiosa, in G. CANTONI e M. INTROVIGNE, op. cit., pp. 7-58.
(13) WINSTON LEONARD SPENCER CHURCHILL, The birth of Britain, Bantam, New York 1963, p. XVIII.
(14) MACCIO PLAUTO, Aulularia, atto IV, scena 10, v. 11.

 


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