La risposta della Contro-Rivoluzione nell’opera di uno dei suoi “padri”: il Visconte Louis-Gabriel-Ambroise de Bonald (1754-1840)

Lezione tenuta il 22 febbraio 2008

dott. Ignazio Cantoni

 

  1. La vita, l’opera e le opere

Louis-Gabriel-Ambroise nasce il 2 ottobre 1754 a Millau, nel Rouergue, dal visconte Antoine-Sébastien (m. 1758) e da Anne de Boyer du Bosc de Périe, donna profondamente religiosa.

La sua formazione superiore si compie, fra il 1769 e il 1772, nel collegio degli oratoriani di Juilly; nel 1772 inizia a Parigi la carriera nell’esercito, segnatamente nei moschettieri reali. Nel 1776 ritorna a Millau per terminare gli studi.

Nel 1778 sposa Élisabeth-Marguerite de Guibal de Combescure, che gli darà ben sette figli.

Nel 1785 viene eletto sindaco di Millau, e nel 1790 membro del Direttorio e presidente del governo del dipartimento dell’Aveyron, nonché membro dell’Assemblea Nazionale. Di fronte alla Costituzione civile del clero, nel 1791, la sua precedente fiducia nei confronti della Rivoluzione francese, del 1789, declina ed emigra a Heidelberg, lasciando moglie e figli più piccoli in Francia. Nel 1792, a Coblenza, entra per breve tempo nell’esercito degli emigrati; tornato a Heidelberg, vi vive poveramente.

Nel 1795 inizia le sue pubblicazioni con Théorie du pouvoir politique et religieux; nel 1800 esce Essai analytique sur les lois naturelles de l’ordre social; nel 1801 Du divorce considéré au XIXe siècle e nel 1802 Législation primitive.

Vive clandestinamente in Francia, dal 1797 al 1802, anno in cui esce dalla clandestinità grazie a un’amnistia. In questi anni ha modo di conoscere lo scrittore svizzero Jacques Mallet-du Pan (1749-1800) e collaborare alla sua rivista Mercure de France.

Napoleone Buonaparte (1769-1821), suo grande estimatore, dopo avergli proposto invano nel 1806 la direzione del Journal de l’Empire, lo nomina nel 1810 consigliere a vita dell’Università imperiale; nel 1814 de Bonald diviene membro del Consiglio Reale; l’anno successivo viene eletto deputato — sarà tale fino al 1822 —, e dà un contributo determinante all’abrogazione della legge sul divorzio; nel 1816 diviene membro dell’Académie Française.

Nel frattempo, l’attività culturale è vasta. Fra le varie opere e impegni si ricordano: Réflexions sur l’intérêt général de l’Europe, del 1815; Pensées sur divers sujets, nel 1817; Observations sur l’ovrage de M.me la baronne de Staël ayant pour titre “Considérations sur les principaux événements de la Révolution française” e le Recherches philosophiques sur les premiers objects des connoissances morales, del 1818, anno nel quale, con lo scrittore francese visconte Françoise-René de Chateaubriand (1768-1848) e il barone francese Auguste-François-Fauveau di Frénilly (1768-1828), fonda il Conservateur — nel 1820 dirigerà anche Le Défenseur —; Mélanges littéraires, politiques et philosophiques, del 1819; e Sur la liberté de la presse, nel 1827.

In questi anni entra in contatto, fra gli altri, con il conte savoiardo Joseph de Maistre (1753-1821) e lo scrittore svizzero Karl Ludwig von Haller (1768-1854). Nel 1823 è nominato Pari di Francia e nel 1827 direttore della commissione di censura.

A seguito della Rivoluzione di luglio del 1830, si ritira a vita privata a Monna, vicino al paese natale, pubblicando ancora ogni tanto qualche articolo.

Chiude l’esistenza terrena il 23 novembre 1840.

 

  1. L’impronta trinitaria nella realtà: società e linguaggio

Il punto di partenza della riflessione di de Bonald è la cooriginarietà dei singoli e delle loro relazioni. Tutti gli esseri che compongono la realtà sono legati da relazioni “trinitarie” e pertanto si richiamano vicendevolmente: “L’uomo, la famiglia, lo Stato, la religione, l’universo, Dio stesso, presentano tutti, ognuno nell’ordine del suo essere e nel sistema delle proprie interrelazioni, tre persone, tre funzioni o tre rapporti, ovunque la trinità nell’unità, ovunque similitudine, proporzione, armonia”. Pertanto, “Ogni società è composta di tre persone distinte l’una dall’altra, che si possono correttamente definire persone sociali, ossia POTERE, MINISTRO, SOGGETTO; esse, nei diversi ambiti, ricevono nomi differenti: Dio, preti, fedeli nella società religiosa; re o capi supremi, nobili ofunzionari pubblici, sudditi o popolo nella società politica”. Ciò è manifesto, per esempio, nella famiglia, fondamento della società, poiché la relazione è già sempre data: “l’uomo non può nascere né vivere che in un numero minimo di tre.

E relazione significa comunicazione: “fra tre esseri che formano una famiglia vi è ovunque un linguaggio articolato e completo”, che non può essere, pertanto, un esito della relazione stessa, ma che deve essere cooriginario a essa, richiamandosi questi fenomeni a vicenda. L’origine non umana del linguggio è giustificata anche dalla relazione fra pensiero ed espressione: “L’espressione dei nostri pensieri ci è trasmessa dai sensi della vista e dell’udito; ma l’idea è distinta dalla propria espressione e viene prima di essa. […] L’uomo ha già dentro di sé l’idea, che si risveglia con la parola orale o scritta, poiché se l’orecchio ascolta e gli occhi leggono, è comunque lo spirito che comprende. Il pensiero è innato, la parola è acquisita; ma il pensiero senza un’espressione che lo realizza non può manifestarsi, e la parola senza un pensiero che la anima rimane incomprensibile. Un’espressione senza l’idea è soltanto un suono, un pensiero senza espressione non è nulla”; pertanto “non ci può essere neppure l’idea di inventare qualche cosa senza una parola che possa esprimere questa stessa idea” e che, pertanto, è già da sempre data.

 

  1. Il decalogo, “legislazione primitiva”

La società, al contrario di quanto sostenuto per esempio dallo scrittore ginevrino Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), svolge una funzione irrinunciabile di conservazione dell’uomo: “I nostri filosofi ritengono che l’uomo nasca buono e che la società si formi per tutelarne gli interessi e per accrescerne i godimenti, mentre egli nasce malvagio e il sistema sociale è necessario per impedire che si autodistrugga”. L’errore sociale è frutto di uno antropologico: “I moderni pubblicisti ritengono che sia la struttura sociale a depravare l’uomo, mentre egli può raggiungere la propria perfezione soltanto dentro e grazie alla società, poiché in essa egli trova i lumi che rischiarano la sua ignoranza e le norme che disciplinano le sue inclinazioni istintive”.

Il contrattualismo, sulla base di quanto sopra detto, è una menzogna, perché “quando gli uomini deliberano su qualche cosa, hanno già riconosciuto almeno l’autorità di un oratore, accettando di seguirne le indicazioni”; […] i nostri filosofi sostengono che l’uomo abbia ceduto una porzione della propria libertà e del proprio potere, ma l’unica cosa che egli ha ceduto è la facoltà di distruggersi, che non è affatto una libertà, e la possibilità di nuocere a se stesso, che non è affatto un potere. Anzi, la libertà, essendo meglio regolata, è anche più garantita, e il potere, essendo meno arbitrario, è più assoluto”.

“La natura, costituendo la società, stabilisce i princìpi fondamentali, e lascia che le leggi politiche e civili si sviluppino autonomamente a partire da essi”; tali principi sono riassumibili nel decalogo: […] quelle dieci leggi sono il germe unico di ogni legislazione che vi sia mai stata al mondo e di ogni civiltà in Europa”, […] esse realizzano in senso proprio la legislazione primitiva, considerata in tutti i diversi livelli della società e in tutte le sue istituzioni fondamentali”.

 

  1. La Rivoluzione francese e il fanatismo rivoluzionario

La critica alla Rivoluzione francese è dal visconte inserita in un quadro storico di ampio respiro: “Non accade mai […] che una rivoluzione giunga inaspettata, dal momento che noi non cambiamo il nostro modo di pensare e di sentire da un giorno all’altro. Se un popolo sembra mutare bruscamente i suoi costumi e le sue leggi, si può essere certi che questa rivoluzione è stata preceduta da una lunga serie di avvenimenti e da un protratto fermento delle passioni […] Così, quando il tempo ha minato in un antico edificio il principio della durata, a determinarne il crollo inatteso bastano un debole movimento, l’aria, un suono, forse il lavorio sotterraneo di un innocuo animale […] L’esplosione avvenne nel 1789. I più credettero che la rivoluzione cominciasse solo allora, vedendo nuove forme di amministrazione e nuovi uomini comandare. Probabilmente è corretto affermare che essa si manifestò in quell’occasione, ma fu certamente concepitamolto tempo prima nel seno della società, e in qualche modo prevista e annunciata”. Infatti “Le rivoluzioni hanno delle cause prossime e contingenti che colpiscono gli occhi meno attenti: queste cause, infatti, non sono che delle occasioni; le cause vere e profonde sono da ricercare in ambito morale, anche se uomini mediocri e corrotti le disconoscono”.

In Europa si è voluto misconoscere la legislazione primitiva: […] le opinioni di Wyclif [John, 1330 ca-1384] e di Jan Hus [1370 ca.-1415], commentate da Lutero [Martin, 1483-1546], propagate da Calvino [Jean, 1509-1564], e spinte alle loro estreme conseguenze dai nostri filosofi, diedero inizio in Europa a quella sanguinosa tragedia che ancora dura” nella Rivoluzione francese: “Quando al centro dell’Europa, nel cuore della civiltà, tutti i princìpi saranno stati attaccati da una falsa filosofia, tutti i doveri soverchiati dagli interessi particolari, tutti i legami dissolti dall’egoismo, una grande società passerà improvvisamente dalla pienezza della sua costituzione alla democrazia più volgare, con una rivoluzione senza precedenti, i cui effetti saranno devastanti. Tutto sarà distrutto, leggi fondamentali, leggi politiche, leggi religiose, leggi civili, diritto di proprietà, l’esistenza dell’uomo e l’esistenza stessa di Dio. E quando Dio non ci sarà più, e non ci saranno sovrani, né distinzioni sociali, si vedranno riapparire le divinità più impure, i tiranni più feroci, le ineguaglianze naturali più scioccanti”.

Il liberalesimo rivoluzionario, negando i vincoli naturali che l’uomo deve rispettare perché la tendenza al male non lo distrugga, crea una condizione sociale dove il diritto è del più forte: “quando la società religiosa o politica, allontanatasi dalla costituzione naturale, ha raggiunto il culmine dell’errore e della licenza, le funzioni del corpo sociale si confondono e si bloccano, i rapporti naturali tra le persone lasciano il campo all’arbitrio, il potere conservatore della società si muta in una tirannide debole o feroce, la fedeltà del ministro in un servaggio cieco o interessato, l’obbedienza del soggetto in una schiavitù vile e irrequieta”. “Le età precedenti avevano conosciuto la violenza dello zelo religioso e il fanatismo delle credenze dogmatiche. Era riservato al nostro tempo vedere i furori dello zelo filosofico, l’ateismo divenuto religione e un popolo cristiano spinto, in nome della tolleranza e della libertà, a compiere violenze estreme contro i ministri del suo stesso culto”. E ancora:[…] durante la Rivoluzione francese […] si sono visti uomini comandare freddamente alle loro orde devastatrici la desolazione e la morte dei propri concittadini, parenti e amici, per puro amore della posterità, e annunciare il progetto, anzi affermare la necessità di dimezzare la popolazione della loro patria, giustificando ai loro occhi questi orrori inauditi con la convinzione di assicurare alle future generazioni lumi, virtù e felicità, che […] non si possono neppure immaginare“. Durante tale esplosione di fanatismo, […] la ragione di ogni singolo è stata legittimata a mettere in discussione tutti i princìpi e l’interesse particolare è stato chiamato in causa nella divisione di tutte le proprietà, quest’interesse scatenato ha dato luogo a nuovi crimini che una ragione smarrita ha subito considerato virtù. La delazione, il saccheggio, addirittura l’omicidio sono diventati delle virtù, che hanno avuto anche i loro eroi; e coloro che, animati da un orribile desiderio di emulazione, hanno più denunciato, saccheggiato e ucciso sono stati considerati i più virtuosi. La tolleranza, l’umanità, la benevolenza, l’orrore della guerra sono divenute soltanto delle etichette che dei ciarlatani senza scrupoli hanno apposto ai loro veleni con lo scopo di ingannare gli sciocchi”.

 

  1. Le vie misteriose della Provvidenza

Uscirà l’Europa da tale situazione? Essa vive […] in una pericolosa condizione contro natura, in cui non potrà rimanere a lungo. Anzi, ne uscirà certamente, e se necessario attraverso gravi sciagure”. E l’unica via di uscita è la seguente: “la rivoluzione ha avuto inizio con la Déclaration des droits de l’homme e […] potrà concludersi soltanto con una dichiarazione dei diritti di Dio”.

In mezzo a tanta malvagità, non deve però mancare la consapevolezza che Dio sa ricavare, in modo misterioso, un bene più grande dal male: “Leibniz [Gottfried Wilhelm, 1646-1716] […] ha detto: “Alla fine ogni cosa deve volgere al meglio”. Pensiero profondamente vero, dal momento che il bene è il fine di tutti gli esseri. Voltaire [François-Marie Arouet, 1694-1778] ha messo in ridicolo quest’ottimismo […], applicando all’uomo ciò che vale soltanto per la società nel suo complesso. Questa dottrina, in realtà, si trova già nelle parole del Vangelo: È inevitabile che avvengano scandali [Mt 18, 7]; il che significa che le rivoluzioni, intese appunto come il grande scandalo dell’ordine sociale, riconducono sempre al Bene, che è l’unica cosa realmente inevitabile, necessaria. Nel bel mezzo degli accadimenti rivoluzionari, gli uomini, stanchi di marciare, vorrebbero fermarsi non appena giungono in un luogo meno terribile degli altri […]; ma la natura intima loro di procedere oltre, non tenendo in alcuna considerazione i loro affanni, ma avendo assegnato il riposo soltanto alla fine, alla perfezione conclusiva”. Infatti, “Le rivoluzioni, questi grandi scandali del mondo sociale, esito necessario delle passioni umane […], divengono nelle mani dell’ordinatore supremo degli strumenti utili a perfezionare la costituzione della società, e rientrano così nelle leggi generali della sua conservazione”, seppure ciò avvenga in un modo misterioso, dall’uomo solo intuibile, ma non comprensibile nel suo sviluppo.

Pertanto, nonostante il giudizio negativo nei confronti del Congresso di Vienna (1814-1815), de Bonald è convinto che “mai la società è più vicina a veder nascere o rinascere le istituzioni più severe che durante il periodo di maggior allentamento di tutte le regole; è soprattutto in quei momenti, infatti, che gli estremi si toccano e che la natura colloca il rimedio proprio a fianco del male”.

Ignazio Cantoni

 

Orientamenti bibliografici:

  • Marco Ravera, Introduzione al tradizionalismo francese, Laterza, Roma-Bari 1991;
  • Giorgio Barberis, Louis de Bonald. Potere e ordine fra sovversione e Provvidenza, Morcelliana, Brescia 2007, che si segnala per l’amplissimo ricorso alla citazione;
  • Louis de Bonald, La costituzione come esistenza. Osservazioni sull’opera di M.me de Staël, trad. it., a cura di Teodoro Klitsche de la Grange, Settimo Sigillo, Roma 1985;
  • Carlo Galli (a cura di), I controrivoluzionari. Antologia di scritti politici, Il Mulino, Bologna 1981;
  • Luigi Marino (a cura di), La filosofia della Restaurazione, Loescher, Torino 1978.

 


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