n. 16 – maggio 2018

20. Maggio 2018 IN HOC SIGNO 0

Cari amici,
il mese scorso vi abbiamo proposto la lettura della prima parte della lezione tenuta a Ferrara dall’avv. prof. Mauro Ronco ben vent’anni fa, nella quale viene affrontato il complesso tema della rappresentanza politica nei suoi tre aspetti principali:
– il primo riguardante la funzione della rappresentanza della classe politica come momento di unità di un popolo, sostanzialmente di fronte a Dio;
– il secondo aspetto (la parte che vi proponiamo oggi) che tratta della rappresentanza del popolo di fronte al potere;
– infine un terzo aspetto, la rappresentanza delle articolazioni sociali all’interno del governo stesso.
Come di consueto, trattandosi della trascrizione di una lezione tenuta “a braccio”, abbiamo rispettato lo stile parlato per mantenere la freschezza della conversazione.
Buona lettura!


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Avv. Prof. Mauro Ronco


La rappresentanza politica nella società tradizionale
e nella società democratica moderna


– seconda parte –


Secondo aspetto della rappresentanza
Vi è poi un secondo concetto di rappresentanza, la rappresentanza della società di fronte al potere politico.
Il primo tipo di rappresentanza di cui abbiamo parlato prescinde da un suo carattere rappresentativo, cioè da istituzioni che rappresentino il popolo di fronte all’autorità. L’autorità in quanto tale, per il suo ruolo, per essere forma della società, rappresenta il popolo, cioè rappresenta la società, indipendentemente da ogni considerazione di rappresentatività istituzionale di fronte all’autorità. E difatti le istituzioni rappresentative per certi versi sono tipiche di determinate civiltà, per esempio le civiltà orientali, i grandi imperi orientali precedenti al cristianesimo e anche successivi al cristianesimo non conoscono forme di rappresentanza delle categorie, delle classi, degli stati, degli ordini di fronte all’autorità. Vi è il basileus, il re, l’imperatore, vi è un’istanza suprema di autorità, ma non vi è assolutamente un’istituzione rappresentativa di fronte a questa autorità; vi sono degli organismi di collaborazione rispetto al re, all’imperatore, ma non vi sono delle istituzioni rappresentative. Esse nascono in determinati ambiti — anche precristiani, per esempio nell’ambito della città greca — e sono tipici della società medioevale, in cui sorgono effettivamente delle istituzioni rappresentative.
Ecco allora che con le istituzioni rappresentative siamo al secondo aspetto della rappresentanza: di fronte al potere politico si pongono delle istituzioni rappresentative; dei soggetti e delle istituzioni che di fronte al potere politico, al principio di unità, rappresentano le istanze dei vari ordini, delle varie classi, delle varie categorie, del popolo.
I parlamenti sono tipiche istituzioni di carattere rappresentativo dell’epoca medioevale. I parlamenti, o gli stati generali, gli stati provinciali, eccetera, sono degli organismi rappresentativi che rappresentano le istanze degli ordini sociali, e del popolo più in generale, di fronte all’autorità, di fronte al re, di fronte all’imperatore. Queste istituzioni rappresentative sono una via di comunicazione tra il popolo e il governo; tra gli stati, gli ordini, le famiglie, e il potere politico.
Qui i termini sono molto precisi: abbiamo la società da un canto, dall’altro il potere politico, in mezzo la rappresentanza istituzionalizzata come legame tra la società e il potere politico.
L’esempio più classico lo vediamo con il parlamento inglese, anche se ormai oggi è omologato agli altri parlamenti. Il parlamento inglese è composto da Camera dei Lords e Camera dei Comuni: due Camere. La Camera dei Lords è composta dai rappresentanti delle categorie nobiliari, i Lords rappresentano i Pari, cioè i nobili, e mandano i loro rappresentanti di fronte al re; poi c’è la Camera dei Comuni, che indica che i vari comuni mandano i loro rappresentanti di fronte al re.
Quindi è chiarissima, nella permanenza dei nomi, di termini, l’origine dell’istituto, perché il parlamento inglese oggi funziona sostanzialmente anche se vi sono delle divergenze rispetto alle strutture continentali. Ma è chiarissima l’impostazione originaria; non è cioè che vi siano i rappresentanti di questo o quel partito politico: ciascuno rappresenta il suo comune, non il suo partito, e difatti la modalità di elezione, che oggi si predilige anche da noi, ha un profilo diciamo maggioritario, per una rappresentanza diciamo così collegio per collegio.
Vediamo la sua origine: Camera dei Lords e Camera dei Comuni, rappresentanti di fronte al re, di fronte cioè al detentore di quella che chiamiamo, anche impropriamente, la sovranità. Dico impropriamente perché il concetto di sovranità è un concetto per la verità moderno, è un concetto che nasce con Bodin [Jean, 1529-1596], non è un concetto tradizionale, non è un concetto della dottrina sociale cristiana.
Allora, a differenza che nel primo caso, in cui il concetto di rappresentanza è lontano dal concetto giusprivatistico di mandato (ricordate come abbiamo iniziato il nostro discorso) e siamo di fronte ad una rappresentanza simbolica, in questo secondo caso siamo vicini al concetto giusprivatistico di mandato. Qui la rappresentanza è un tipo particolare di mandato; mandato con caratterizzazione di tipo pubblicistico, ma sempre mandato. Cioè: sono i cittadini del Comune che nominano quel parlamentare, che danno mandato al parlamentare di rappresentarli di fronte al potere politico. E difatti, per tutta la tradizione storica fino alla Rivoluzione francese, il mandato del parlamentare è un mandato imperativo. Cioè: il rappresentante non è che va al parlamento e fa quel che gli pare; va al parlamento e fa quello che costituisce oggetto del mandato. I cittadini del Comune Tale gli hanno detto: tu devi combattere per questo scopo, devi ottenerci quel beneficio, quel vantaggio, devi toglierci quella gabella; e non può andare a contrattare diversamente. Se non riesce ad ottenere può ricontrattare con i suoi mandanti, cioè con i cittadini che lo hanno nominato, perché modifichi l’oggetto del mandato e lui vada a perorare la causa diversa che viene di nuovo descritta.
Ma il mandato è imperativo. Sempre imperativo; può essere più o meno largo, più o meno stretto, ma sempre mandato imperativo; è il grande potere di contrattazione dei mandatari, cioè dei rappresentanti, di fronte al potere centrale, al potere regio.
Non sempre regio, perché per esempio nella Repubblica Serenissima di Venezia non c’era un potere regio ma c’era un potere centrale di carattere aristocratico, un gruppo di aristocratici organizzato in modo molto raffinato, secondo determinate norme, che si sono protratte per secoli e secoli in certe maniere. Anche lì vi erano dei rappresentanti a fronte del potere centrale, del potere politico, con un mandato imperativo, cioè non modificabile a loro arbitrio.
Dal punto di vista giuridico il cambiamento dal mandato da imperativo a mandato invece totalmente libero segnerà il cambiamento radicale della rappresentanza. Ma prima di vedere il profilo giuridico mi interessa vedere il profilo filosofico, perché sul piano filosofico possiamo comprendere appieno che cosa significa il cambiamento che avviene, e il significato del cambiamento.
Qui trascuriamo, anche se sarebbe interessante per la verità esaminarle un poco, le singole istituzioni per esaminare il profilo dei mandati, delle modalità di rappresentanza nei parlamenti, negli Stati generali, negli Stati provinciali, nella riscoperta delle tradizioni locali. L’Italia per esempio è ricca di diversi e vari Stati che hanno avuto tutta una loro storia anche parlamentare interessantissima, quindi una storia da riscoprire, per certi versi; e dovrebbe essere compito degli storici locali quello di approfondirla e di riesaminarla.
Allora, per sintetizzare adesso questi due aspetti della rappresentanza, che sono correlativi l’uno rispetto all’altro e la cui compiuta sussistenza dà il senso della perfezione della società e della politica, possiamo dire che nel primo caso la società è rappresentata globalmente, come corpus politicum, dall’autorità che ne è a capo: vediamo qui la società nel suo momento essenziale di unità, il cui fondamento è Dio. Nel secondo caso la società è rappresentata di fronte all’autorità nella sua realtà esistenziale, manifestando di fronte all’autorità gli interessi particolari nella loro molteplicità e varietà. Il potere rappresenta la società politica in quanto questa costituisce una unità; la società si rappresenta di fronte al potere politico in quanto molteplicità, cioè nella pluralità dei gruppi che la compongono e delle aspirazioni dei suoi membri. E quindi in questi due aspetti abbiamo i due princìpi della unità e della pluralità.
Il sano pluralismo sociale all’interno della società politica è proprio espresso da entrambi i momenti rappresentativi; è la dialettica tra l’unità e il pluralismo che definisce i limiti concreti dell’esercizio dell’autorità e del dispiegamento della libertà. Il problema — insolubile in epoca moderna! — della libertà e della autorità, su quali cioè siano i limiti rispettivi tra autorità e libertà, in realtà è risolto concretamente, praticamente: le libertà concrete e le autorità concrete. Il principio è che vi siano insieme e autorità e libertà, cioè unità e pluralità, quindi autorità e libertà.
Come si conciliano? Si conciliano concretamente, attraverso delle libertà concrete che vengono riconosciute e che consuetudinariamente si affermano, e vengono tutelate e difese a volte con la lotta, con il sangue, con la resistenza armata; non che siano mancate infatti le lotte, le guerre, le resistenze, per mantenere le libertà concrete, così come non sono mancate per affermare il principio di unità di fronte alla disgregazione e alla scissione portata dalla troppo accentuata pretesa di libertà delle comunità minori o delle comunità divergenti. Qui si introduce un certo problema che è interessante ma che è un poco a latere: abbiamo parlato di rappresentanza della società di fronte al potere, e ho parlato molte volte di rappresentanza di famiglie, di ordini, di stati, di categorie. Naturale che questo tipo di rappresentanza sia una rappresentanza in linea di massima corporativa, cioè di corpi; non c’è la elezione per individui, cioè globale, ma c’è una rappresentanza per corpi: ciascun comune manda i suoi rappresentanti, ciascuna corporazione manda il suo rappresentante, ciascuna provincia manda il suo rappresentante: è una rappresentanza per corpi, per famiglie, per gruppi di famiglie. Non è una rappresentanza individualistica, globalistica; non tutti votano uno o cento rappresentanti, non tutti votano tutti; no, ciascuno vota il suo rappresentante, perché la rappresentanza è una rappresentanza di esistenzialità, di interessi particolari, che quindi vengono rappresentati nel loro valore, nella loro fattualità, nella loro emergenzialità.
Quindi la rappresentanza è tendenzialmente corporativa, e quando dico corporativa non voglio riferirmi soltanto alle corporazioni di arti e di mestieri, che pure hanno avuto una importanza notevolissima nella storia istituzionale della nostra Italia, prendiamo per esempio l’importanza delle corporazioni nella storia istituzionale di Firenze, ma anche proprio come corpi; è una rappresentanza per corpi — famiglie, ordini, categorie —, non è una rappresentanza per individui o per masse di individui.

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Cari amici, chi fosse interessato alla prima parte della lezione del prof. Ronco sulla rappresentanza politica – così come si fosse perso i precedenti invii di questa rubrica mensile e li volesse ricevere – non ha che da segnalarcelo.
Ad maiorem Dei gloriam et socialem

Alleanza Cattolica in Ferrara


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