Che cos’è la Dottrina sociale della Chiesa

Lezione tenuta il 15 ottobre 2009

prof. Leonardo Gallotta

 

Con la presente lezione inaugurale inizia il quindicesimo anno di attività della Scuola di Educazione Civile. E’ dunque per me motivo di soddisfazione pensare a tutta l’azione culturale prodotta fino ad oggi. Se andiamo a vedere sul nostro sito il numero di lezioni svolte e l’ampio ventaglio di argomenti trattati, rimango io stesso stupito. Si va dal Magistero pontificio alla Storia, dalla Bioetica alla Letteratura, alla Filosofia, all’Arte, alle Scienze, alla Politica, ai temi di attualità. E tuttavia la cosa che mi preme di più sottolineare è la continuità di questa azione che non ha mai avuto momenti di arresto. Come già negli anni trascorsi, il settimanale diocesano la Voce di Ferrara Comacchio, nel numero del 10 ottobre, ha ospitato una mia breve intervista in cui preannunciavo l’inizio e il contenuto dei Corsi e concludevo affermando che, in sintonia con la nostra Diocesi, le parole del Padre Nostro “Sia fatta la Tua volontà come in Cielo così in Terra” saranno il costante punto di riferimento della nostra azione culturale di quest’anno.

Dopo questa lezione inaugurale e introduttiva alla Dottrina Sociale della Chiesa, esamineremo l’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI in cinque lezioni, con relatori che la analizzeranno secondo diversi angoli visuali: storico-dottrinale, economico-finanziario, morale, politico, bioetico. Vi sarà poi un corso su “Cristianesimo e comunicazione” ed altri incontri su “Ricorrenze liturgiche e Storia della Cristianità”, dove saranno proposti alcuni momenti importanti non solo della Storia della Chiesa, ma, appunto, anche della Cristianità.

Veniamo dunque alla nostra lezione inaugurale. Debbo innanzitutto dire che è necessario sfatare due luoghi comuni e cioè, in primo luogo, che la Dottrina Sociale della Chiesa cominci con l’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII del 1891, in secondo luogo che essa Dottrina si occupi solo o prevalentemente di problemi relativi al lavoro e all’economia.

Quanto al primo punto occorre riconoscere che alla fine dell’Ottocento i problemi sociali ed economici posti dal liberalismo prima e dal socialismo poi non potevano esimere la Chiesa dal prendere posizione a fronte delle storture dottrinali rappresentate da questi due filoni ideologici. E’ anche vero però che nel passato – diciamo sicuramente prima della Rivoluzione Francese – certi problemi non si erano mai posti, perché i valori del Cristianesimo, anche dal punto di vista sociale, erano ampiamente diffusi e ampiamente condivisi. Per dirla con Leone XIII, vi fu un tempo in cui il Vangelo regolava la vita delle Nazioni e quindi non erano messi in discussione i princìpi e i valori che regolavano i rapporti tra gli uomini viventi in società.

Quali erano questi princìpi e valori condivisi? Dio, certamente, riconosciuto innanzitutto come esistente e poi come Padre di tutti gli uomini, ad essi manifestatosi con la venuta sulla terra di Gesù Cristo suo Figlio. La Patria, cioè tutta l’eredità spirituale, culturale e materiale che accomuna un popolo. La Famiglia, considerata da tutti come la prima cellula della società. Pensiamo che nelle Monarchie era data importanza non solo al Re, ma anche alla Famiglia Reale, rappresentativa in qualche modo di tutte le famiglie di una nazione. I Dieci Comandamenti erano regola morale non solo per i singoli, ma costituivano anche il principale punto di riferimento, nelle loro proiezioni sociali, del vivere civile. La vita economica era regolata dalle Corporazioni. Non era messo in discussione il diritto di proprietà, sempre accompagnato tuttavia dal dovere della solidarietà. Qualcuno potrebbe chiedersi se per caso si fosse realizzato il Paradiso in terra. I problemi certamente c’erano e a volte pure grandi, ma, a parte il fatto che la Chiesa non ha mai dato indicazioni utopiche di alcun genere, i principi e valori menzionati garantivano – ovviamente se osservati e messi in pratica e non solo teoricamente ammessi – un vivere sociale ordinato e la possibilità di uno sviluppo equilibrato.

E tuttavia con la Rivoluzione Francese, preparata dall’Illuminismo, si comincia a mettere in discussione la Religione e addirittura ad attaccarla e perseguitarla, facendo piazza pulita anche del concetto di Patria che comporta, come ho detto più sopra, un’eredità spirituale che viene rifiutata come pura superstizione dei “secoli bui”, cioè quelli della Civiltà Cristiana. La patria a cui fanno riferimento i rivoluzionari, è fatta equivalere alla Repubblica, sicchè patriota significa, puramente e semplicemente, repubblicano rivoluzionario. Rispetto alla Famiglia, prima cellula della società, si dà sempre più importanza al singolo individuo, il citoyen repubblicano. Con la Rivoluzione Francese anche l’economia muta volto e le Corporazioni vengono abolite per legge. Si salva il diritto di proprietà, ma già Babeuf, alla fine del Settecento si faceva propugnatore dell’eguaglianza assoluta da realizzarsi mediante l’abolizione della proprietà privata e delle successioni ereditarie.

Dunque nell’Ottocento tutto questo viene in qualche modo a maturazione cosicché da una parte abbiamo il liberalismo individualista che diventa liberismo in economia con tutti i problemi che comporta a livello di morale sociale e del lavoro, dall’altra le tendenze egualitarie che portano a combattere la proprietà privata. Si pensi alla famosa frase di Proudhon “la proprietà è un furto”, al Manifesto del Partito comunista di Marx ed Engels e alla conseguente nascita dei primi partiti socialisti.

Se dunque prima della Rivoluzione Francese, per la comune condivisione di princìpi e valori, non vi era motivo – se non in rari casi – di intervenire, alla fine dell’Ottocento molti nodi sono venuti al pettine e la Chiesa comincia a prendere posizione sui diversi problemi politici, economici e sociali che – non da essa suscitati – si affacciano nel mondo occidentale. Da allora cominciano gli interventi in materia sociale del Magistero che si intensificano sempre più, fino ai giorni nostri.

Come afferma Giovanni Cantoni “la dottrina sociale della Chiesa è un corpo dottrinale in progress, una ‘fabbrica’ destinata a chiudersi alla fine dei tempi, di cui sono note le grandi linee e le fondamenta, che si viene costituendo nel corso della Storia ad opera della Gerarchia e sulla base dell’elaborazione delle scienze umane”, in risposta alle diverse sollecitazioni provenienti dalla società.

E così, dopo la Rerum Novarum di Leone XIII (1891) che critica liberalismo e socialismo proponendo come rimedio la collaborazione fra le classi, seguono la Quas Primas di Pio XI (1925) sulla Regalità sociale di Nostro Signore e, sempre di Pio XI, la Quadragesimo Anno (1931) dove per la prima volta viene enunciato il “principio di sussidiarietà”. Poi, sempre dello stesso Pontefice, la Mit brennender Sorge (1937) che significa “Con bruciante preoccupazione”, dove son denunciati il neo-paganesimo nazionalsocialista e le violazioni del Concordato in Germania e la Divini Redemptoris, sempre del 1937, dove il comunismo è definito “intrinsecamente perverso” perché ispirato da un’errata filosofia evoluzionistica e materialistica della storia e dove si denuncia pure la “congiura del silenzio” della stampa occidentale sulle violenze dei regimi comunisti.

Nel dopoguerra abbiamo la Mater et Magistra di Giovanni XXIII (1961) che auspica una maggiore collaborazione fra le nazioni per risolvere i problemi economici e sociali, la Populorum progressio di Paolo VI (1967) che porta una forte critica al liberalismo fine a se stesso e l’auspicio di uno sviluppo umano integrale e infine le tre encicliche di Giovanni Paolo II, la Laborem exercens (1981) in cui il lavoro viene visto come dovere, diritto e bene dell’uomo e in cui si dice che il comunismo, rispetto alla Dottrina Sociale della Chiesa, “radicitus differt”, la Sollicitudo rei socialis (1987) in cui il Pontefice mette in guardia da un approccio esclusivamente economicistico per lo sviluppo dei Paesi poveri e la Centesimus Annus (1991), per il centesimo anno della “Rerum Novarum”, in cui vi è una valutazione critica del socialismo e del suo fallimento, a causa della totale incomprensione della natura umana e della naturale socialità dell’uomo. Vi si afferma pure che la libertà è subordinata alla Verità e la pace alla Giustizia. Infine – e siamo a quest’anno – la Caritas in Veritate di Benedetto XVI che sarà oggetto di analisi nelle prossime lezioni. A conclusione di questa panoramica sulle encicliche sociali, occorre dire che il Magistero sociale della Chiesa non si esaurisce con le encicliche. Basterebbe infatti pensare al magistero di Pio XII che si espresse non con encicliche, ma con una notevole mole di “radiomessaggi” di grandissimo spessore dottrinale e culturale.

Vediamo ora di individuare alcuni principi di riflessione della Dottrina sociale e cristiana. Innanzitutto il “Primato della persona” o pre-principio personale. Pio XII ebbe a dire che “origine e scopo essenziale della vita sociale vuol essere la conservazione, lo sviluppo e il perfezionamento della persona umana, aiutandola ad attuare rettamente le norme e i valori della religione e della cultura, assegnati dal Creatore a ciascun uomo e a tutta l’umanità, sia nel suo insieme, sia nelle sue naturali ramificazioni”, affermando quindi la naturale socialità dell’uomo e indicando il fondamento della sua grandezza nell’essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio, per cui, come ci ricorda Sant’Ireneo, “la gloria di Dio è l’uomo vivente”, l’uomo che è posto al centro del mondo delle creature visibili e invisibili, tutte ricolme della gloria del Creatore e proclamanti tale gloria. Ecco dunque il perfezionamento di quella “humanitas” che già il latino Terenzio aveva espresso con le parole “homo sum, humani nihil a me alienum puto”. L’uomo con tutti i suoi problemi – spirituali e materiali – è al centro della riflessione della Dottrina Sociale, perché è al centro dell’attenzione di Dio e non, come vorrebbero farci credere certe visioni del mondo ambientaliste ed ecologiste, uno qualunque dei tanti esseri di Gaia o, per i più radicali, addirittura l’essere peggiore, un vero e proprio “cancro” del Pianeta. Dunque la Dottrina Sociale si occupa non solo dell’uomo in quanto tale, ma anche dei rapporti tra gli stessi uomini, perché è dalla corretta impostazione di questi ultimi che dipende la maggiore o minore facilità di raggiungere la méta a cui siamo stati destinati.

Ecco allora un ulteriore principio di riflessione, il Principio di sussidiarietà, definito ed esposto – come già ricordato – nell’enciclica Quadragesimo Anno, pubblicata da Papa Pio XI nel 1931. Tale principio, dice Pio XI, “è importantissimo nella filosofia sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società: perché oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle”. In sostanza esso prevede che nello spazio che intercorre tra il singolo individuo e le istituzioni a lui superiori, siano permesse e favorite la nascita e la crescita di “corpi intermedi” nei quali l’individuo stesso possa fruire di autentici ambiti di libertà plurali e concrete, senza invasioni di campo da parte delle istituzioni pubbliche, lo Stato in primis.

Proseguiamo ora con un ulteriore principio di riflessione. Dice Giovanni Cantoni: “Lo svolgersi della vita personale secondo il principio di sussidiarietà trova il suo limite nello svolgimento analogo degli altri uomini, il cui interesse globale configura il ‘bonum commune’ e il relativo Principio di solidarietà”. Il carattere di organicità della vita sociale permette di identificare la nozione di “popolo”, concettualmente e storicamente illuminata dal contrasto con quella di “massa”. Dice infatti Pio XII: “Popolo e moltitudine amorfa o, come suol dirsi, ‘massa’ sono due concetti diversi. Il popolo vive e si muove per vita propria; la massa è per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali – al proprio posto e nel proprio modo – è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni. La massa, invece, aspetta l’impulso dal di fuori, facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gli istinti e le impressioni, pronta a seguire, a volta a volta, oggi questa, domani quell’altra bandiera”. Se dunque il popolo vive di vita propria in modo organico, nel senso che ogni parte del corpo sociale, pur diversa, costituisce un tutt’uno e ciascuna è solidale con le altre, può tuttavia accadere che una parte entri – per i più svariati motivi – in sofferenza o in conflitto con altre parti, procurando disagio al corpo intero e quindi danno al “bonum comune”. Sarà dunque interesse di altri corpi intermedi o di istituzioni pubbliche, intervenire e provvedere alle necessarie terapie per ridare salute alla parte o alle parti e quindi al corpo intero.

Dopo queste riflessioni passiamo ora a rispondere al secondo dei quesiti iniziali, ossia se oggetto della Dottrina Sociale siano soltanto i problemi relativi al lavoro e all’economia. La risposta è sicuramente negativa, anche perché lavoro ed economia, pure estremamente importanti – si pensi all’enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II – non esauriscono le potenzialità dell’uomo né, ovviamente, costituiscono finalità primarie. Dunque la Dottrina Sociale della Chiesa prende in esame e mette a fuoco tutte le problematiche relative all’uomo associato emettendo giudizi su ciò che è retto e corretto e ciò che non lo è. Potremmo dire in tutta tranquillità che la Dottrina Sociale è, di fatto, morale sociale.

Delle prossime cinque lezioni sulla Caritas in Veritate di Benedetto XVI, ad esempio, una sola sarà dedicata alle problematiche economiche e finanziarie, mentre le altre verteranno su aspetti teologici, politici, morali, bioetici.

Non è un caso che il Catechismo della Chiesa Cattolica tratti le tematiche sociali proprio nella parte in cui si esaminano i Dieci Comandamenti, il che significa che se siamo tenuti personalmente alla loro osservanza, anche la società non può da essi prescindere.

Prendiamo dunque in esame innanzitutto quelli della Seconda Tavola che vanno dal 4° al 10°, ricordando che essi non costituiscono una rivelazione, ma un pro-memoria per i corretti rapporti sociali, a cui può giungere naturalmente, per via di ragione, anche chi non possiede la Fede.

Il quarto comandamento, “Onora il padre e la madre”, è uno dei fondamenti della dottrina sociale naturale e cristiana. Infatti, come ricorda Giovanni Cantoni, riguarda la famiglia, fondata sul matrimonio eterosessuale, monogamico e indissolubile, offeso in radice dalla permissione del divorzio che con l’adulterio, l’incesto, la pratica e l’ostentazione dell’omosessualità e ogni abuso sessuale, contrasta con il sesto comandamento “Non commettere atti impuri”. Quest’ultimo, assieme al nono, “Non desiderare la donna d’altri”, mette in guardia dalla permissività dei costumi e dall’intossicazione pornografica. Cellula originaria della vita sociale, la famiglia – alla quale spetta il diritto primario all’educazione dei figli e alla libera scelta della scuola – esercita a tale vita, di cui è nello stesso tempo modello e modulo.

Il quinto comandamento “Non uccidere” rifiuta l’omicidio diretto e volontario, l’aborto e l’eutanasia, nonché il suicidio, anche quello “differito” causato dall’assunzione di droghe. Sempre al quinto comandamento rimandano il rispetto dell’integrità corporea e psichica e il divieto di ogni sperimentazione scientifica sugli esseri umani che li esponga a rischi sproporzionati od evitabili. Nel quadro del rispetto della vita si situano lecitamente sia la legittima difesa, la cui versione macroscopica è la guerra, che la pena di morte, pratiche da scongiurare con ogni sforzo ragionevole e possibile, ricorrendo a modalità quali la trattativa diplomatica, l’arbitrato internazionale e la carcerazione. Il settimo e decimo comandamento “Non rubare” e “Non desiderare la roba d’altri”fondano la liceità del diritto di proprietà privata, acquisita con il lavoro o ricevuta in eredità oppure in dono, fatto sempre salvo il principio della destinazione universale dei beni che dà fondamento al dovere della solidarietà nei confronti delle persone e degli strati sociali più disagiati. Infine l’ottavo comandamento, “Non dire falsa testimonianza”, non riguarda solo la veridicità nella testimonianza in sede giuridica e contrattuale, ma l’informazione attraverso i mezzi di comunicazione sociale, che nel suo contenuto deve sempre essere vera e – salve la giustizia e la carità – integra, e nel modo onesta e rispettosa delle leggi morali, dei legittimi diritti e della dignità dell’uomo.

Se ai Comandamenti della Seconda Tavola si può giungere – come già detto – per via di ragione, l’osservanza dei Comandamenti della Prima Tavola richiede certamente la Fede e tuttavia non possiamo fare a meno di sottolinearne anche la rilevanza sociale. Il primo “Non avrai altro Dio fuori di me”, fatto salvo il principio di libertà religiosa che esclude ogni e qualsiasi coercizione sociale e civile in materia, comporta l’accoglienza, da parte della società, della verità della religione cristiana, con il riconoscimento della missione universale della Chiesa Cattolica. Il secondo “Non nominare il nome di Dio invano”, comporta che i diritti alla libertà di coscienza, d’opinione e d’espressione non esonerino dal dovere di trattare con deferente considerazione l’esperienza spirituale di quanti credono in Dio, anche perché, offendendo pubblicamente Dio, si viola un preciso diritto della persona al rispetto delle proprie convinzioni religiose. Infine il terzo comandamento “Ricordati di santificare le feste” richiama all’osservanza di un giorno settimanale di preghiera e di riposo, con effetto rigeneratore e tonificante sull’esistenza umana. Esso deve essere garantito contro l’asservimento al lavoro e al culto del denaro.

Come si può ben vedere è dall’osservanza, anche nella società, dei Dieci Comandamenti, perfezionati dai Due Comandamenti della Carità cristiana – Amore a Dio e Amore al prossimo -che si realizza – a beneficio di tutti gli uomini – la Regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, alla quale Pio XI dedicò un’intera enciclica, la Quas Primas del 1925. E tuttavia oggi come nel secolo scorso, tutto si fa per contrastare tale osservanza, così che Giovanni XXIII ebbe a parlare di società dell’ “Anti-Decalogo” e il suo predecessore Pio XII del fatto che esiste un “nemico” che si è adoperato e si adopera perché Cristo sia un estraneo nelle diverse pubbliche istituzioni. E’ passato più di mezzo secolo, ma le parole dei due Pontefici citati appaiono oggi profetiche, così che, per rendersene conto, basterebbe pensare a tutte quelle leggi, vigenti in Italia e in Europa, che sono irrispettose dei Comandamenti e al laicismo cristofobico imperante anche a livello di Comunità Europea.

Ebbene, tutta l’azione culturale di Alleanza Cattolica e della Scuola di Educazione Civile è volta a contrastare tale tendenza e a far sì che Cristo non solo non sia più un estraneo, ma sia pienamente accolto – per riprendere le parole di Pio XII – “nelle Università, nella scuola, nella famiglia, nell’amministrazione della giustizia, nell’attività legislativa, nel consesso delle nazioni”.

 


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