Marxismo e Rivoluzione Una filosofia del divenire per travolgere la realtà

Relazione tenuta il 30 settembre 2017
Seminario «“La Russia spargerà i suoi errori nel mondo” (e in Italia). Il comunismo a 100 anni dalla rivoluzione di Ottobre»

 

prof. Leonardo Gallotta

 

Come si evince da titolo e sottotitolo della mia relazione a questo seminario, parlerò di filosofia che non è, come spesso si è detto e si sente dire, quella disciplina con la quale o senza la quale il mondo rimane tale e quale. Come ci ha sempre ricordato il fondatore di Alleanza Cattolica Giovanni Cantoni, invece, le idee hanno le gambe, quelle degli uomini. Gli uomini portano le idee nella cultura e nella storia e così o recepiscono o producono tendenze che si risolveranno in fatti.

Una prima grossa distinzione tra le diverse filosofie è quella tra le filosofie dell’essere e le filosofie del divenire.

Tra i primi autori greci presi in considerazione da un qualsiasi manuale di Storia della Filosofia troviamo due autori che rappresentano due diverse posizioni filosofiche: Parmenide, il filosofo dell’Essere ed Eraclito, il filosofo del divenire. Dell’opera di Parmenide, il Perì fyseos (in Latino De natura) abbiamo solo frammenti, ma dobbiamo ricordare che Platone scrisse un dialogo intitolato proprio Parmenide in cui la sua filosofia è messa a confronto con quella degli Eleati, Parmenide appunto e Zenone. Ebbene, il frammento più famoso di Parmenide così recita in greco “è mèn òpos èstin-te kài òs oùk èsti mè èinai” che in italiano significa “(l’essere) è e non è possibile che non sia” a cui va aggiunto è d’òs oùk èstinte kài òs chreònesti mè èinaiche significa “(il non-essere) non è ed è necessario che non sia”. E da ciò si traggono le seguenti conclusioni: l’Essere è immobile, uno, eterno, ingenerato e immortale, indivisibile (1). Elencando tutti questi attributi non può non venirmi alla mente l’incipit del Paradiso dantesco : La gloria di Colui che tutto move / per l’universo penetra e risplende / in una parte più e meno altrove. Non può tuttavia non affacciarsi alla memoria anche ciò che Dio rispose a Mosè (2) quando gli chiese come si chiamasse. Dio disse di sè “’ehieh ‘asher ‘ehieh” abitualmente tradotto in italiano con “Io sono colui che sono” (3).

Anche di Eraclito abbiamo frammenti sparsi, di cui quello più famoso riferisce che “pànta rèi òs potamòs”, in italiano “tutto scorre come un fiume”, per cui è passato alla storia come prototipo di filosofo del divenire e ciò è sicuramente sensato, anche se non bisogna dimenticare che Eraclito non nega il Lògos, ma lo identifica in una prospettiva panteistica. Dice infatti in altro frammento che “tutte le cose sono Uno e l’Uno è tutte le cose”.

Ho fatto due esempi risalenti ai primordi della filosofia occidentale, ma occorre dire che tutte le successive e diverse filosofie oscillano tra questi due filoni e che però assolutizzare l’una o l’altra posizione porta a conseguenze comunque disastrose: fondamentalismi o teocrazie irrespirabili da un lato e materialismi negatori di qualsiasi prospettiva soprannaturale dall’altro.

Un’ulteriore precisazione va poi fatta sull’importanza maggiore o minore dei diversi filosofi. Certamente coloro che hanno prodotto articolati sistemi filosofici e che hanno indagato tutti o quasi gli aspetti del sapere sono stati i più influenti nella cultura e quindi nella società, mentre altri si sono dedicati a speculazioni più settoriali e quindi, pure importanti, la loro influenza ha avuto una portata più limitata.

Per affrontare la filosofia di Marx occorre prendere in esame il pensiero di Friedrich Hegel, il filosofo tedesco vissuto a cavallo tra ’700 e ’800 (1770 – 1831) il quale ha prodotto un sistema filosofico che ha influenzato la cultura occidentale fino ai nostri giorni. Data la sua vastissima produzione, mi limiterò a chiarire alcuni aspetti fondamentali che ci avvicineranno poi a Marx.

Quando si parla di Idealismo non si può, almeno inizialmente, che fare riferimento a Fichte, ma è soprattutto Hegel che ne è l’elaboratore di maggior peso. E allora bisogna chiedersi subito: che cosa è l’Idea? L’Idea è il fondamento della realtà e tuttavia non è da intendersi come un principio astratto, staccato dalla realtà, ma è realtà essa stessa, è identità di soggetto – oggetto, unità del finito e dell’infinito, dell’anima e del corpo. Non essendo principio astratto, l’Idea si fa, si realizza in un continuo divenire, è immanente. Se dunque l’Idea è trasfusa nel reale ecco che, essendo il reale lo sviluppo della razionalità dell’Idea, abbiamo la famosa formula hegeliana “tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale”. Formula terribile perché così Hegel, anche dal punto di vista storico, giustifica “il dato di fatto”, la legge del più forte, in quanto i vinti costituiscono sempre il termine che deve essere negato nell’ambito del processo dialettico. Hegel scriveva a questo proposito: “La storia del mondo è il tribunale del mondo”. Con questa concezione Hegel schiaccia, sotto il suo rullo dialettico, popoli e individui.  Sempre a proposito della formula succitata,  lo Stato è per Hegel “il razionale in sé e per sé” che si incarna nella società politica. Si tenga presente che l’espressione “in sé e per sé” indica il massimo grado dei tre momenti dello Spirito applicati anche al divenire storico (an sich, fur sich, an sich fur sich). Mentre la società civile nasce dai bisogni degli individui e degli individui è espressione, la società politica, invece, trascende gli individui è ad essi superiore in quanto deve essere la totalità di un organismo, di cui gli individui non sono che parti.

Nello Stato etico (sittliche Staat) l’interesse dei singoli e dei gruppi si fonde nel supremo interesse della nazione. Morale e libertà vi trovano il proprio compimento perché, cessando di essere individuali e astratte, si realizzano nelle istituzioni dello Stato. In parole povere è lo Stato che dice ai gruppi, alle famiglie e agli individui che cosa è bene e che cosa è male,  si pone come fonte di morale ed è per questo che si chiama Stato etico. Ma così concepito lo Stato  non può che apparire come stato totalitario (4).

Per avvicinarci a Marx occorre però parlare di logica. La logica aristotelica che Hegel polemicamente definisce “logica dell’astratto”, è una logica formale. Essa si limita a regolare l’uso del pensiero fornendo regole affinché tale uso si riveli corretto, ma prescinde dai contenuti del pensiero stesso. Il migliore esempio di tale logica è il sillogismo (5). La logica hegeliana, invece, identificando ideale e reale, studia le strutture del pensiero che sono, contemporaneamente, le strutture della realtà. Tre sono le leggi poste alla base di tutto il movimento logico:

A. La legge dell’unità degli opposti. Con essa si ha il superamento del principio di non contraddizione aristotelico (6). Hegel afferma che ogni determinazione è una negazione, ossia ogni concetto è tale in quanto nega, si oppone a tutti gli altri. Il bianco è tale in quanto non nero, non blu, non rosso. Ma questo non è secondo Hegel un rapporto antinomico come farebbe l’intelletto illuministico kantiano, cioè bianco e nero separati, perché nella sintesi di bianco e nero troviamo la complementarità dei contrari ed è il ruolo della contraddizione che manda avanti la vita e la storia stessa. Hegel ebbe a dire: “Non vi è proposizione di Eraclito che io non abbia accolto nella mia logica”.

B. La legge della conversione della quantità nella qualità. Questa la formulazione: una graduale variazione quantitativa giunge ad una fase (linee nodali le chiama Hegel) in cui si compie un improvviso mutamento di natura. Questa legge a dire il vero può trovare riscontro a livello di scienze naturali (Engels fa ad esempio riferimento al mutamento della formula molecolare del metano), ma anche sociali, ad esempio i passaggi da un tipo di società ad un altro, attribuendo grande importanza alla quantità. A me verrebbe da proporre questo quesito: quanto un fenomeno migratorio quantitativamente imponente come quello a cui assistiamo al giorno d’oggi modificherà la qualità della vita e quindi l’identità del popolo italiano?

C. La legge del ritmo triadico. Il divenire procede secondo un ritmo costante a tre stadi: tesi, antitesi e sintesi. Anche qui viene travolto il principio di non contraddizione. Dall’incontro o scontro di A e B nasce una sintesi AB che diventa a sua volta tesi a cui si contrapporrà un’antitesi e così via all’infinito. È questa la dialettica hegeliana, da cui l’dea di evoluzione e di progresso che sarà poi recepita da Marx.

E dunque cominciamo ad affrontare il marxismo.  Ora, secondo lo studioso marxista francese Henri Lefebvre, il marxismo come concezione del mondo e preso in tutta la sua ampiezza, si chiama materialismo dialettico. Materialismo perché tutto ciò che esiste proviene dalla materia che in ogni sua parte non ha né principio né fine e lo stesso spirito, il pensiero e la coscienza derivano dalla materia. Il materialismo marxista si distingue dal materialismo illuministico di Helvetius, d’Holbach, Diderot, ma anche da quello positivistico di Moleschott o di Buchner. Quello illuministico è detto anche “meccanicistico”, in quanto la materia è considerata come una sostanza dotata di interne proprietà meccaniche: in questo senso i processi più complessi (biologici, psicologici, sociali) vengono considerati come semplici processi meccanici.

Alla legge meccanica universale fa riferimento il Foscolo con il termine “moto”, legge alla quale tutti i fenomeni naturali sono sottoposti, compresa la morte. Dice il Foscolo nel carme Dei Sepolcri che “una forza operosa affatica (tutte le cose) di moto in moto e l’uomo e le sue tombe e l’estreme sembianze e le reliquie della terra e del ciel traveste il tempo”.

I materialismi succitati sono materialismi statici, mentre Marx aggiunge una nota dinamica: la materia  è in movimento e questo movimento, come la materia, è infinito ed eterno. Il movimento è, anche per Engels,  il modo di esistere della materia.

Con Marx  abbiamo quello che è stato definito “il capovolgimento della dialettica hegeliana”, per cui non è più lo Spirito, ma la materia che attraverso la dialettica triadica progredisce, si evolve, si trasforma non solo quantitativamente, ma qualitativamente. La vita è sorta dalla materia per necessaria evoluzione della materia stessa. Mi pare che possiamo ben a ragione dire che la filosofia marxista è una filosofia del divenire al massimo grado.

Ma che cos’è l’uomo? Il già citato Lefebvre, riprendendo Marx, ci dice che “l’uomo è materia in evoluzione, materia che si trasforma. L’uomo dotato di cervello è lo stadio più perfetto, ma non definitivo, dell’animalità. Continuando la materia ad evolversi la specie umana potrebbe anche cessare di esistere. Essa segue la legge del divenire che si manifesta già nelle specie animali; essa è apparsa, essa si è sviluppata: forse va pure verso la sua fine”. Come si distingue l’uomo dagli animali? Non so oggi, ma solo qualche decennio fa alla domanda “Che cosa fa l’uomo uomo?” la maggior parte delle persone avrebbe risposto “un principio spirituale che ne costituisce l’essenza e fonda la sua dignità”. Secondo il marxismo, nel corso dell’evoluzione (ricordo per inciso che il Capitale è da Marx dedicato a Darwin) fu il lavoro a trasformare la scimmia in uomo, in quanto furono le necessità materiali che spinsero alcuni tipi di scimmie a lavorare e a produrre così i loro mezzi di sussistenza.

Il materialismo marxista è detto anche “storico”, perché la dialettica non si applica solo alla materia, ma anche alla storia e alla società. L’elemento fondamentale dell’evoluzione storica è quello materiale, economico, da cui dipende ogni altra forma intellettuale, politica, religiosa. Sono i rapporti di produzione che costituiscono la struttura essenziale su cui si impianta la sovrastruttura ideologica costituita da morale, diritto, arte, religione. Nella storia c’è un necessario processo dialettico che si fonda sulla contraddittorietà del reale e sulla lotta degli opposti. Da questa lotta, attraverso il processo triadico, scaturisce il progresso.

La storia di ogni società, dicono Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista, è stata storia di lotte di classe fra liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba e così via, ma nei tempi moderni, dopo la Rivoluzione industriale e l’ascesa della borghesia capitalista, la contrapposizione si è semplificata: la borghesia è la classe sfruttatrice, il proletariato la classe sfruttata. Lo sfruttamento consiste in questo: il proletario col suo lavoro crea nella merce che produce un valore che solo parzialmente è coperto dal salario che percepisce. Il rimanente è accumulato dal capitalista, il quale si arricchisce grazie a questo “plusvalore” ingiustamente sottratto al lavoratore. Di qui l’aggravarsi delle condizioni del proletariato che necessariamente condurrà alla rivoluzione e alla “dittatura del proletariato”, insieme esito necessario e termine della lotta di classe.

A questo punto non posso non dare conto dell’accostamento fatto nel titolo tra marxismo e Rivoluzione. Secondo il pensatore brasiliano Plinio Corrêa De Oliveira quattro sono le tappe del processo rivoluzionario volto a scardinare in Occidente la società prodottasi con la diffusione e l’affermazione del Cristianesimo: la Rivoluzione protestante (abbattimento della gerarchia religiosa), la Rivoluzione francese (abbattimento del potere politico-nobiliare), la Rivoluzione comunista (abbattimento del potere padronale), la Rivoluzione culturale del Sessantotto (abbattimento della famiglia e rottura di ogni freno morale).

Quella cristiana era una società suddivisa in quattro categorie sociali: oratores (clero e religiosi), bellatores (nobili e militari), laboratores (artigiani e commercianti), servitores (lavoratori manuali e servi della gleba). Si tratta di una quadripartizione che si riscontra in ogni società tradizionale organicamente strutturata. Si pensi ad esempio al sistema delle caste nell’induismo (7).

Ora la Rivoluzione industriale come si inserisce nelle quattro tappe summenzionate? È una vera e propria rivoluzione? Mi sento di rispondere di sì, perché scardina il modo di produzione tradizionale delle corporazioni. I lavoratori sono accentrati in un solo luogo, la fabbrica e non sono più consapevoli dell’intero processo che porta al prodotto finito. Il lavoro è ripetitivo e da ciò deriva l’alienazione di cui parla Marx. I mezzi di produzione sono nelle mani di pochi e la distanza tra padrone e operaio aumenta sempre più, al contrario della corporazione dove in confronto la distanza tra apprendista e Maestro era minima. Il Terzo Stato, cioè la borghesia,  grazie anche alla Rivoluzione francese che aveva abolito le corporazioni, acquista sempre più potere e si amplia il numero dei proletari, il Quarto Stato che sarà organizzato dalle forze che porteranno alla terza tappa della Rivoluzione, quella comunista. Dunque la Rivoluzione industriale pone le basi per lo scardinamento della società tradizionale. Le quattro rivoluzioni citate hanno un filo rosso comune, l’abbattimento delle gerarchie e la conseguente spinta all’uguaglianza che quando è coatta diventa egualitarismo. E le filosofie, razionaliste, positiviste o materialiste che siano, forniscono l’apporto necessario.

Ora i capisaldi di ogni società tradizionale, supportati dalle filosofie dell’essere, sono la Religione, la Famiglia e la Proprietà e sono secondo Marx tutte sovrastrutture, cioè realtà di storia e non di natura. “L’uomo – dice il filosofo di Treviri – fa la religione e non la religione l’uomo… essa è l’oppio del popolo”. Ora non vi è civiltà e non solo cristiana in cui la religione non sia in onore e al primo posto e questa è la realtà constatabile ovunque.

Quanto alla famiglia dice Engels che “il comunismo sopprimerà la dipendenza della donna dall’uomo e dei figli dai genitori. Cioè la donna sarà emancipata dal lavoro domestico e le sarà tolta l’educazione dei figli che sarà effettuata integralmente dallo Stato socialista”. Ora che la famiglia sia la cellula fondamentale della società è di evidenza comune ed è una realtà riscontrabile in ogni aggregato umano quale che sia la sua religione e la sua cultura.

Quanto alla proprietà, Marx ed Engels affermano nel Manifesto del partito comunista: I comunisti possono riassumere la loro dottrina in questa unica espressione: abolizione della proprietà privata”. Anche in questo caso si può dire che l’evidenza del fatto che la proprietà privata sia garanzia di libertà e spinta al miglioramento sociale, viene tranquillamente trascurata.

Un intellettuale statunitense, dopo avere abbracciato per lungo tempo la visione marxista del mondo e ha poi cominciato a frequentare circoli conservatori americani, ha confessato:”Finora ho visto il mondo con gli occhiali dell’ideologia, ma ora me li sono tolti, perché sono stato folgorato dalla realtà”, quella realtà che il marxismo-leninismo ha voluto e vuole ancora travolgere.

* * *
 

Note:

(1) a.  L’Essere è immobile perché se si muovesse sarebbe soggetto al divenire e quindi ora sarebbe e ora non sarebbe.
b.  L’Essere è Uno perché non possono esserci due Esseri. Se uno è l’Essere, l’altro non sarebbe il primo e sarebbe quindi non-essere.
c.  L’Essere è eterno perché non può esserci un momento in cui non è più o non è ancora.
d. L’Essere è ingenerato e immortale perché la vita significherebbe essere, ma anche non essere prima di nascere e la morte significherebbe essere solo fino a un certo momento.
e. L’Essere è indivisibile perché altrimenti richiederebbe la presenza del non-essere come elemento separatore.

(2) Esodo 3,14.

(3) Poiché ‘ehieh vale nella lingua ebraica sia come imperfetto che come futuro, io azzarderei questa traduzione: “Io sono colui che era e che sarà”. La traduzione abituale dà il senso della pienezza dell’essere, quella da me proposta dà più il senso dell’eternità di Dio.

(4) Non si può non vedere come, con tale concezione che è anche stata definita statolatrica, Hegel abbia fornito le premesse ai totalitarismi del ’900. Tuttavia più volte il filosofo tedesco espresse la propria inclinazione per una monarchia di tipo costituzionale e la divisione dei poteri. Si dichiarò anche a favore dei corpi intermedi (famiglia, corporazioni di arti e mestieri, ordini professionali) situantisi tra sovrano e popolo con la funzione di moderare la pressione del potere sui sudditi.

(5) Classico esempio: A. Tutti gli uomini sono mortali (premessa maggiore) B. Socrate è un uomo (premessa minore) C. Socrate è mortale (conclusione).

(6) Il principio di non contraddizione afferma che è impossibile che una stessa cosa sia e non sia allo stesso tempo. Il principio di identità dice che A è A e non può essere non-A. Il principio del terzo escluso dice che A o è B o non è B. Tertium non datur.

(7) Il sistema castale indù prevede: i Brahmani (casta sacerdotale), gli Kshatriya (casta guerriera o politica), i Vaishya (casta degli agricoltori, degli artigiani, dei commercianti), i Shudra (servi). Poi ci sono i Dalit (intoccabili), abitualmente chiamati paria che si trovano al di fuori del sistema castale e svolgono mestieri ritenuti impuri.

 


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