n. 40 – maggio 2020

30. Maggio 2020 IN HOC SIGNO 0

Cari amici,

con questo numero di IN HOC SIGNO Alleanza Cattolica in Ferrara propone alla vostra lettura la terza parte della lezione della bioeticista dott. Chiara Mantovani «Amministrazione e bioetica: la persona al centro della politica» tenuta al corso SERVIRE LA CITTÀ organizzato dalla Associazione Progetto San Giorgio il 21 gennaio scorso. A causa della emergenza sanitaria sono state soppresse tutte le lezioni successive pubbliche, sostituite ora da video che vengono pubblicati nel nuovissimo canale YouTube del Progetto San Giorgio.

Il Progetto San Giorgio ha messo a disposizione in questo stesso canale i video delle quattro lezioni (compresa quella della dott. Mantovani oggetto di questo invio) svolte all’Urban Center, realizzati da Stefano Sormani dell’agenzia FlixMedia.

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La persona al centro della politica (terza parte)

di Chiara Mantovani

 

Parlare di bene comune presuppone un passaggio ancora precedente e decisivo: riconoscere che esiste un bene, ammettere che si può distinguere da qualcosa di diverso che bene non è.

Innanzitutto dobbiamo decidere quale esso è; sfuggire all’idea che non ci sia un bene e un male; ammettere anche che ci sono moltissimi strumenti, di per sé neutri, che possono essere adoperati bene o male.

Credere che esista un bene, credere che sia riconoscibile, credere che sia possibile perseguirlo. Non pensiamo che sia così scontato: temo che nella maggioranza dei nostri giovani non lo sia.

Ma se non lo è nella amministrazione? Che cosa succede? Se non lo è a casa mia succede un guaio a casa mia. Se non lo è nella amministrazione, succede un guaio al bene comune! Se non lo è nel governo della nazione, succede un guaio a tutta la nazione!

Allora: bisogna ammettere che il bene esiste, credere che possiamo riconoscerlo, disporsi con umiltà a impararlo. Se esiste un bene e lo riconosciamo come tale, occorre perseguirlo.

Solo con questa premessa può esserci il passo successivo: quello di volere raccontare il bene agli altri e volere il bene per gli altri. Ciò è possibile solo se voglio loro bene, ovvero voglio per loro lo stesso bene che desidero per me. Perché riconosco che quel bene è bene per tutti, perché sono in relazione di dipendenza ontologica con gli altri. Non è questione di emozione e sentimento, è questione di ragione. Non è ‘l’ammmore’, è Amore.

O si vuole bene, si rispetta, come persona, ognuno, anche l’avversario, o il paziente in “minima responsività”, oppure si scivola inevitabilmente nel non voler bene a nessuno, non volere veramente il bene di nessuno.

Aristotele diceva: la modalità organizzativa per ottenere il bene comune è la politica. Ancora di più: “l’uomo è per natura un animale politico”. Da che cosa poteva trarre Aristotele questa certezza, benché non avesse ancora chiara la concezione di persona (che arriva dopo, con la riflessione trinitaria)? dalla constatazione che non sono “politici” gli animali (e nemmeno gli dèi, nell’idea che ne avevano) nel senso che non hanno bisogno di relazione. L’uomo invece lo è costitutivamente.

Il piccolo di uomo (è una osservazione di Plinio il Vecchio) quando nasce sa fare una sola cosa, piangere, così come l’uomo alla fine della sua vita. Tutto l’arco temporale si svolge attraverso una richiesta di aiuto, perché noi siamo fatti per essere aiutati.

Dunque, come ricordava bene Renato Cirelli la lezione scorsa, la politica è la modalità organizzative per dare ordine alla vita in comune (e in Comune), è uno strumento, non lo scopo del vivere insieme.

La persona non esiste per il Comune, è il Comune di Ferrara che esiste per il cittadino di Ferrara.

L’idea che il benessere dei cittadini dipende addirittura dalla bontà (intesa come amore per il vero, il bello, il buono) di chi la amministra, resta per molti secoli ben evidente alla comprensione comune. Vediamo magistralmente espressa la buona politica nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti, gli effetti del buono e del cattivo governo, che decorava la sala in cui a Siena si riuniva l’equivalente del Consiglio Comunale. O hai la “città dei predoni” o la “città dei commerci”.

Per riguadagnare quei tesori di pensiero è indispensabile cancellare le sudditanze culturali di cui il politicamente corretto è la versione aggiornata, in cui ‘politicamente’ ha il significato — del tutto stravolto — di ‘diffuso nella città’.

Il passato non si fa rivivere se non come spettacolo: l’esempio forse più evidente è il Palio. È bellissimo da vedere ma nessuno tornerebbe volentieri ad abitare in una casa senza bagno, acqua corrente, elettricità.

Ma si possono riproporre i valori che hanno saputo costruire la grande bellezza della nostra città, la grandezza della civiltà cristiana, le condizioni che hanno permesso il progresso.

Erede della filosofia greca, custode della dimensione creaturale ebraica di un Dio unico, frutto della giurisprudenza e della capacità imperiale di governo di Roma: un continente culturale ovvero una civiltà che regge l’urto delle invasioni barbariche perché ha costruito la propria identità scoprendo la PERSONA.

Vivere «…etsi Deus daretur», il principio laicissimo contrapposto alla negazione del trascendente, l’ammissione di un principio di realtà, l’ascolto dei poeti (William Shakespeare (1564 – 1616): “Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che non sogni la tua filosofia”) e non delle sirene materialiste che generano le ideologie più sanguinarie: ecco i passi necessari per collocare rettamente l’uomo nel contesto della vita concreta sulla terra e dunque ordinare secondo verità ciò che gli è necessario per la realizzazione personale e dunque comunitaria.

Lo Stato predominante sul cittadino è l’idea oggi politicamente dominante.

Invece è la persona, che singolarmente è nato in una famiglia, si consocia in una famiglia, dà vita a tante famiglie (amicali, scolastiche, associative, lavorative, di corpi intermedi) che lo proteggono, lo curano, spesso — se scelte — sono espressione di un comune sentire, e insieme formano la società.

Una «comunità di destino»: sentirsi parte di questo è avere una famiglia che reggerà per l’eternità. Esiste una realtà che va riconosciuta e rispettata, pena la perdita della felicità, che non è un diritto, ma è offerta come possibilità.

Se non ci fosse una generalizzata perdita di percezione della realtà, sarebbe più evidente quello che viene definito come diritto naturale. Essere una persona è più che essere un micetto, persino più di una foca monaca. La vita di ogni essere umano vale se è grande o piccolo, bello o brutto, simpatico o antipatico, buono o cattivo, sano o malato, ricco o povero. Gli esseri umani sono maschio-femmina, i bambini hanno diritto a nascere e ad avere una famiglia con un papà e una mamma. Oggi sembrano affermazioni temerarie, eppure risuonano molto familiari se solo si tace il chiasso delle opinioni alla moda.

Quali sono i presupposti sbagliati che ci hanno condotto fin qui? Ci siamo svegliati una mattina comunisti? È stato costruito il muro di Ferrara? Ci hanno deportato dalla terra promessa fin nella pianura padana?

No, anche noi abbiamo subito un lungo e logorante processo di de-ellenizzazione, diceva Benedetto XVI, che ha eroso le evidenze originarie, quelle cose che — diceva il cardinal Caffarra — «a doverle spiegare vien da piangere».

«Gli esempi concreti sono i carnefici delle idee astratte» diceva il pensatore colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994). Ovvero: «bisogna mordere il reale». Le idee camminano sulle gambe degli uomini.

Perciò gli uomini ne sono responsabili. Invece ci sono alcuni argomenti, realissimi, che sono peggiori dei fili dell’alta tensione: a toccarli si muore fulminati, non sono toccabili. Peggio che mettersi le dita nel naso in pubblico.

Aborto — Contraccezione — Procreazione artificiale — Eutanasia — Indifferentismo sessuale — Statalismo educativo, solo per farne un elenco sommario e incompleto, ma significativo. È vero, ci sono leggi nazionali ed europee che delimitano uno spazio di manovra molto esiguo. Ci vuole molto coraggio.

Ma qualche cifra può aiutare a capire.

Quanti non sono nati dal 1978 al 2016 complessivamente? si tratta di 5 milioni 815 mila persone. Perché dico persone? conosco molto bene la discussione sull’uso di questo termine e vorrei immediatamente smorzare ogni polemica con una constatazione molto semplice, senza entrare nel cuore del dibattito, accanito e spesso violento nonché strumentale. Chi ricorre all’aborto, come chi ricorre alla fecondazione artificiale che dell’aborto è l’altra faccia della stessa medaglia, non ha dubbi: non vuole (oppure vuole) un essere umano, un figlio. Non abortisce (o vuole ottenere) un ‘qualcosa’, bensì un ‘qualcuno’. I motivi posso essere i più differenti, articolati e sfumati, ma una cosa è certa: stiamo parlando di esemplari unici di sostanza umana. E questo basta a valutarne la dignità.

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Ad maiorem Dei gloriam et socialem

Alleanza Cattolica in Ferrara


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