41. Giugno 2020

15. Giugno 2020 IN HOC SIGNO 0

Cari amici,

con questo numero di IN HOC SIGNO Alleanza Cattolica in Ferrara propone alla vostra lettura la quarta parte della lezione della bioeticista dott. Chiara Mantovani sul tema «Amministrazione e bioetica: la persona al centro della politica» tenuta il 21 gennaio al corso SERVIRE LA CITTÀ organizzato dalla Associazione Progetto San Giorgio. A causa della emergenza sanitaria sono state soppresse tutte le lezioni successive, sostituite ora da video che vengono pubblicati nel canale YouTube del Progetto San Giorgio.

Il Progetto San Giorgio ha messo a disposizione nello stesso canale:

• i video delle quattro lezioni (compreso quella della dott. Mantovani di cui questo invio è parte) svolte all’Urban Center, realizzati da Stefano Sormani dell’agenzia FlixMedia, nonché

• i contributi video dell’avv. Isabella Cavicchini, realizzati in sostituzione delle lezioni che non ha potuto svolgere “in presenza”.

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La persona al centro della politica (quarta parte)

Chiara Mantovani

 

Un lungo discorso meriterebbe un altro tabù intoccabile, a tutti i livelli: la contraccezione. Neppure immaginabile anche il solo parlarne; eppure la maggior parte di quella convenzionale, farmacologica, ottenuta cioè attraverso la somministrazione di ormoni femminili, oggi ha anche un effetto di aborti precocissimi, prevedendo come modalità di funzione non solo il blocco dell’ovulazione ma anche e soprattutto quello dell’impianto di un piccolissimo embrione umano. Ripeto: al di là delle pur importanti disquisizioni filosofiche, resta evidente che ciò che viene impedito è l’impianto necessario alla sopravvivenza e allo sviluppo di un individuo di natura umana. Nessuna contraccezione umana è rivolta ad altro che non sia umano!

Il capitolo della fecondazione artificiale ha in questi concetti basilari la stessa griglia di giudizio dei fatti e di raccolta dei dati oggettivi. Nessuno mette in dubbio la tragicità del carico psicologico e affettivo di una coppia che desideri figli e che non riesca a procreare. Sia però fatta, già in questa sede, seppure solo per accenno, una fondamentale distinzione tra un legittimo desiderio e una assoluta pretesa. Detto in altri termini: un auspicio non fonda un diritto. Questo sempre restando nell’ambito della legittimità, con ovvie aggravanti là dove la pretesa si applichi a pratiche che utilizzino l’umano come materiale esclusivamente biologico, reificandolo; oppure qualora la rivendicazione di un inesistente “diritto” si ipertrofizzi al punto da accusare di disumanità, razzismo e intolleranza chi non ne vedesse la fondatezza, né giuridica né ontologica. Qui, ancora una volta, forse i numeri possono aiutare a cogliere la gravità di ciò che da oltre quindici anni si compie con il beneplacito della legge, della opinione pubblicamente manipolata, della complicità delle istituzioni sanitarie. Quali che siano le tecniche, se applicate a fresco o dopo scongelamento di embrioni o di ovociti, quale che sia la fonte di provenienza dei gameti, se dalla coppia o da donatore (fecondazione eterologa), il dato complessivo appare gravato da un’efficacia sostanziale di poco inferiore al 10%. Nel 2015, dunque a dieci anni dall’approvazione della legge 40/04 — che in Italia regolamenta la fecondazione artificiale anche se nominalmente, visti gli stravolgimenti apportati in aule di tribunale — a fronte di un numero complessivo di 111.366 embrioni realizzati sono nati 11.029 bambini (9.90%). I numeri ci dicono che i risultati sono sovrapponibili alle tecniche del 2005 e che comportano una perdita consapevole e accettata del 90% circa degli embrioni “prodotti”.

Le domande molto scomode che un amministratore potrebbe porsi, per rispondere alla quali occorre tanto coraggio, suonerebbero forse così: è giusto “produrre” in laboratorio le persone? Tutto quello che si può tecnicamente fare è per ciò stesso anche giusto farlo? Di fronte a leggi nazionali e sovranazionali, un amministratore locale quali margini ha per favorire/incentivare/educare ad un approccio responsabile ai vari problemi? Esistono soluzioni alternative a problemi e richieste presenti nel tessuto sociale del mio territorio? Tutto ciò che è desiderato è anche esaudibile?

In verità, queste sono le domande che ogni genitore si pone nell’affrontare la responsabilità genitoriale. Ancora di più: che ciascuno, in fondo, pone a sé stesso nella crescita personale e morale.

Segnalo solo, rapidamente, che analoghi interrogativi si pongono non solo verso i momenti iniziali della vita umana ma anche verso il termine della vita. Ma questo è argomento tanto complesso che non merita una trattazione frettolosa.

Due succinte parole, invece vorrei spenderle, anche se per accenni, nei confronti di un altro tema emergente che spesso chiede un confronto tra posizioni inconciliabili sia nella sfera del dibattito pubblico che in quello più strettamente politico. Non che i temi precedenti abbiano dimostrato approcci pacati e disinteressati da parte degli uomini politici; anzi, al contrario, vi confesso che reputo sia stato di grave danno alla serietà del dibattito la continua strumentalizzazione partitica, quasi si trattasse di tifo calcistico. Le cose, e i problemi veri, sono molto più complessi di come sono stati presentati.

Una complessità particolare è caratteristica delle teorie dell’indifferentismo sessuale, sbrigativamente detto “gender”.

Come molte altre parole, “gender” è diventato un termine ambiguo, impreciso, frainteso. È vero che esistono gli “studi di genere”, imprecisa traduzione di «gender studies». Ma è altrettanto vero che continua l’antica lotta sulle parole. LGBTQI* è concretamente il tentativo, per ora di grande successo, di capovolgere l’umano. Non è il primo né sarà l’ultimo, e appartiene a quella schiera di ribellioni che non potendo prendersela con Dio se la prende con la sua creatura. Non potendo cambiare Dio, cambia l’uomo.

Il tentativo di uccidere Dio, il “Dio è morto” dei rivoluzionari francesi prima e boscevichi poi, non è riuscito. Adesso ci provano con la prima e più intuitiva realtà umana: maschio e femmina. Ritorneremo, se sarà possibile, sull’argomento; mi preme qui denunciare l’implicazione molto più filosofica e rivoluzionaria del problema, poiché è mascherata da accuse di avversioni personali — fino al razzismo — che nulla hanno a che vedere con una presa di coscienza dei problemi reali. Ribadisco solo, brevemente quanto fermamente, che non esiste e non può esistere alcuna mancanza di rispetto per le persone coinvolte direttamente o indirettamente con il tema.

Nella prospettiva antropologica da cui siamo partiti, per indicare le coordinate di una corretta amministrazione, abbiamo più volte ribadito la centralità della persona e la sua preminenza nei confronti delle istituzioni. Esemplare è l’ambito educativo. Abbiamo recentemente ascoltato la proposta dell’obbligo per l’asilo; a chi ha qualche decennio sulle spalle il pensiero è corso all’indottrinamento fin dall’infanzia. È fondamentale ricordare il dovere, non il lusso, della sussidiarietà: ciò che i piccoli e le famiglie sono in grado di fare da soli è bene che non veda l’ingerenza statalista e amministrativa. La famiglia è titolare a tutti gli effetti dell’educazione dei suoi membri, e il bene comune esige che sia sostenuta, incoraggiata e facilitata in un compito che la definisce e la responsabilizza.

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Ad maiorem Dei gloriam et socialem

Alleanza Cattolica in Ferrara

 

 

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