Economia e finanza nella «Caritas in veritate»

Lezione tenuta il 29 ottobre 2009

dr. Mario Gallotta

 

Vi sono eventi, nel corso della storia dell’umanità, che acquistano una valenza simbolica destinata a rimanere impressa nell’immaginario collettivo.

La presa della Bastiglia ci ricorda la Rivoluzione Francese, l’assalto al Palazzo d’Inverno la rivoluzione bolscevica, il “fungo” maledetto di Hiroshima la fine del secondo conflitto mondiale.

Allo stesso modo il fallimento della banca d’affari “Lehman Brothers” è divenuto il simbolo della crisi economica internazionale del 2008.

Secondo quanto scrivono Massimo Introvigne e Piermarco Ferraresi nel saggio “Il Papa e Joe l’idraulico”, tale crisi – la più grave dopo la seconda guerra mondiale – ha avuto infatti il suo momento destinato a passare alla storia come “l’11 settembre dell’economia” nel giorno in cui si verificò il fallimento di una delle più celebrate e stimate banche d’affari : la “Lehman Brothers”, che diede l’addio alle scene della finanza il 15 settembre 2008.

Ma il “crac” della citata banca d’affari non è soltanto un evento simbolico. Ci troviamo infatti di fronte all’evento centrale di una crisi che è ben presente nel pensiero di Benedetto XVI e che fa da substrato, almeno a mio avviso, a molti aspetti dell’enciclica “Caritas in Veritate”.

Crisi che si colloca – è bene ricordarlo – IN UN’ EPOCA CHE HA VISTO IL TRAMONTO DELLA SOCIETA’ INDUSTRIALE E L’AVVENTO DELLA SOCIETA’ POST-INDUSTRIALE, IDEALE TERRENO DI SVILUPPO PER LA QUARTA RIVOLUZIONE.

Come molti di voi ben sanno, la quarta rivoluzione , nel pensiero di Plinio Correa de Oliveira, è l’ultima tappa – ad oggi – del processo sovvertitore dell’ordine naturale e di quello sociale che ne deriva.

Essa mira ad estendere i principi della Rivoluzione “in interiore homine”, attaccando i gangli vitali dell’essere umano.

Se la prima rivoluzione (protestante) e le due successive (quella francese e quella comunista) hanno oppresso, piegato e umiliato l’essere umano, la quarta rivoluzione – nella profetica e lungimirante visione di Plinio Correa de Oliveira – cerca di corrodere e di avvelenare le stesse radici dell’uomo.

Mentre la quarta rivoluzione progredisce, ad aggravare i problemi si è aggiunto il processo di globalizzazione, di cui tutti siamo più o meno vittime.

Come affermò Giovanni Paolo II°, citato nell’enciclica da Benedetto XVI ” la globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno”.

Il concetto espresso da Papa Wojtila e ripreso dal Suo successore è ineccepibile e condivisibile in toto. Anche il processo di unificazione europea in sé è neutro, ma se esso deve condurre ad una entità sovranazionale che non accetta le sue radici cristiane, che favorisce l’aborto e la disgregazione familiare e che costringe un commissario a dimettersi perché le sue idee in materia di omosessualità sono quelle della Chiesa Cattolica, c’è evidentemente qualche problemino da porsi.

Perché ad esempio uno Stato dovrebbe cedere quote di sovranità ad una comunità siffatta?

Personalmente l’Europa dei mercanti , dei banchieri e dei burocrati non mi entusiasma e non mi piace. Ben diverso sarebbe il discorso se si realizzasse un’Europa dal cuore cristiano, rispettosa almeno del diritto naturale.

Della globalizzazione Giovanni Paolo II° ha detto : “sarà ciò che le persone ne faranno”. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e la crisi economica attuale ha insinuato salutari dubbi anche nei più ostinati sostenitori dell’universalismo.

Per capire quali sono gli effetti della globalizzazione, applicata alla crisi economica, parto da una piccola notizia, letta tempo fa a pagina 19 di un grande quotidiano : “IL COMUNE DI PADOVA RISCHIA IL DISSESTO”. Incuriosito dalla notizia ho appreso che un’azienda municipalizzata patavina aveva investito buona parte della propria liquidità in azioni della LEHMAN BROTHERS.

Quest’ultima aveva investito nelle due grandi agenzie statunitensi di erogazione dei mutui immobiliari (FREDDI MAE e FREDDIE MAC) rimanendo travolta dal capitombolo di queste ultime, che avevano erogato una quantità incredibile di mutui “subprime”, non assistiti cioè da idonee garanzie.

Il meccanismo della più grave crisi economica che ha colpito il mondo intero dopo il 1945 è tutto sommato banale. Si parte dalla crisi dei due giganti citati, che dominavano il settore dei mutui immobiliari negli Stati Uniti, per arrivare al Comune di Padova.

O alla banca italiana che ha gonfiato il portafoglio con titoli delle banche d’affari fallite ed ora, in crisi di liquidità, stringe i freni e decurta il fido alle piccole e medie imprese che rischiano così di chiudere i battenti.

Immaginiamo un piccolo imprenditore con un fido di 100.000 euro che gli serve per pagare fornitori e dipendenti : nell’ipotesi di una drastica riduzione di tale fido non saprebbe più come “tirare avanti”.

Se la crisi americana si fosse verificata un secolo o anche mezzo secolo fa, le conseguenze sarebbero state infinitamente meno gravi, poiché i confini tra stato e stato impedivano che le onde dei naufragi arrivassero rapidamente a scuotere le singole nazioni.

Anni fa – parecchi anni fa, purtroppo – frequentai un corso di paracadutismo e rimasi colpito dal fatto che le cuciture del paracadute, anziché partire dal centro e seguire una linea verticale, erano tutte irregolari, fatte più o meno a zig-zag.

Mi fu spiegato che, in caso di cuciture lineari, uno strappo avrebbe velocemente determinato la rottura del paracadute, mentre le cuciture a zig-zag avevano la funzione di impedire l’estensione del danno. Ebbene, il mondo globalizzato è come un paracadute con cuciture lineari : ogni singolo strappo diffonde i suoi effetti con la velocità del fulmine.

Se poi aggiungiamo che sono spariti i “corpi intermedi” richiamati da Benedetto XVI (ricordo la legge Le Chapelier, che nel 1791 abolì le corporazioni) , possiamo dire che anche nella sfera economica l’uomo è sempre meno protetto : è nudo nei confronti dello stato ed è esposto ai temibili rischi della globalizzazione.

Se il meccanismo che ha prodotto la crisi è tutto sommato banale, certamente non banali ne sono le cause, ben descritte da Massimo Introvigne e da Piermarco Ferraresi nel saggio citato che prende il nome da “Joe the plumber”, “Joe l’idraulico” , divenuto simbolo del cittadino medio statunitense, messo al tappeto dalla crisi economica. Joe l’idraulico esiste peraltro davvero. Rivolse una serie di imbarazzanti domande ad Obama il 15 ottobre 2008 e – divenuto famoso – ha registrato e dato in licenza il suo marchio vivendo ora più che decorosamente.

Così delineato il quadro generale, assume grandissima importanza il concetto fondamentale che sta alla base della “Caritas in Veritate”, o almeno di quanto in essa è riferito ai problemi economici:

“L’ATTIVITA’ ECONOMICA NON PUO’ RISOLVERE TUTTI I PROBLEMI SOCIALI MEDIANTE LA SEMPLICE ESTENSIONE DELLA LOGICA MERCANTILE. QUESTA VA FINALIZZATA AL PERSEGUIMENTO DEL BENE COMUNE, DI CUI DEVE FARSI CARICO ANCHE E SOPRATTUTTO LA COMUNITA’ POLITICA”.

Vi è una gerarchia dei fini che è essenziale per il retto funzionamento della società : laddove tale gerarchia viene sovvertita la società si disorienta, i mezzi vengono scambiati per fini ed il caos trionfa.

L’agire economico (pensiamo in particolare al perseguimento del profitto) è lecito ed auspicabile se finalizzato al bene comune.

Ma il guadagno per il guadagno non è certo cosa buona ed apre la strada – sono parole di Pio XI nella “Quadragesimo anno” all’ “imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è là dove si sta bene”.

Il sovvertimento dei fini, una volta innescato, produce poi effetti a cascata.

L’economia non serve più al bene comune, l’impresa non agisce per il buon andamento dell’economia, dirigenti e quadri non operano più per il bene dell’impresa.

A Prato, dove vivono circa quarantamila stranieri appartenenti a ben 116 etnie,

il Comune ha un problema: le imprese gestite dai cinesi, oltre ad utilizzare personale sottopagato ed impiegato senza rispettare alcun orario, non pagano imposte, tasse e contributi. Così si riducono i costi e si possono praticare prezzi concorrenziali. Orbene, un’impresa che agisce slealmente può anche produrre profitto per i soci, ma non è certo finalizzata al retto agire economico.

E una banca, che dopo aver realizzato profitti con operazioni finanziare che ne hanno ingrassato il bilancio, si trova in crisi di liquidità e riduce o annulla drasticamente i fidi concessi alle imprese, spingendole sull’orlo del baratro, pratica forse una condotta che serve al buon funzionamento dell’economia?

E quei dirigenti che gonfiano il proprio portafogli con maxi-indennità e super-bonus di vario genere dopo operazioni finanziarie disastrose, fanno l’interesse dell’impresa per cui operano o non curano invece – e soltanto – il proprio personale profitto?

Vi è poi da notare come il sovvertimento dei fini sia favorito dal fattore “T”, dal tempo che – secondo le parole di Francesco Bacone – ha – come lo spazio – i suoi deserti e le sue solitudini.

Non a caso l’enciclica – in un passo poco commentato – invita a valutare con la massima attenzione le “TENDENZE AD UN’ECONOMIA DEL BREVE, TALVOLTA BREVISSIMO TERMINE”, cogliendo un aspetto di estrema importanza che favorisce il sovvertimento di cui parlavamo prima.

E’ ben difficile immaginare, ad esempio, che un “manager a tempo” possa farsi carico dei problemi di un territorio o della società.

Un sociologo del lavoro che osserva acutamente i mutamenti del nostro tempo – Domenico De Masi – scrive che siamo passati dal “tempo della campana” al “tempo dell’orologio”.

Il primo era “misurato con strumenti imprecisi…le ore rimbalzavano dalle chiese e dai conventi nei borghi e nelle campagne attraverso i rintocchi delle campane”. Esso scandiva le fasi della giornata in maniera non matematica, tale cioè da non rendere gli uomini schiavi delle ore che fluiscono.

Il secondo invece è un tempo costrittivo, che ci tiranneggia e non ci dà respiro.

L’orologio urbano all’inizio era una meraviglia, un ornamento, un giocattolo di cui le città si inorgoglivano, ma al suo interno covava il cronometro che ci porterà a ritmi sempre meno sostenibili.

Quando penso al “tempo della campana” mi viene in mente un dipinto – intitolato “l’Angelus”, che ritrae due contadini, marito e moglie, intenti al duro ma sereno lavoro dei campi. Hanno udito la campana che annunzia il mezzogiorno e si sono fermati a recitare l’”Angelus”.

Immaginate ora un centro commerciale o una piazza delle nostre città a mezzogiorno: chi interromperebbe le proprie attività per recitare una preghiera, sia pure di breve durata.

Si corre, si allunga il passo, ci si muove in fretta, a volte senza neppure sapere il perché.

La distorta percezione del tempo – che è un dono di Dio – produce i suoi nefasti effetti anche sul piano che stiamo considerando, poiché genera spesso un’economia di breve, anzi di brevissimo momento.

In passato un dipendente rimaneva legato a lungo – a volte per tutta la vita – all’impresa per cui aveva iniziato a lavorare.

Ora si prevede che – mediamente – i nostri figli e nipoti dovranno cambiare nella loro vita NON TRE O QUATTRO DATORI DI LAVORO, MA TRE O QUATTRO TIPI DI LAVORO.

Già oggi, tuttavia, il fattore “T” influenza negativamente l’agire economico.

Immaginiamo un amministratore delegato che è stato insediato per tagliare i “rami secchi” di un’azienda in sei mesi, riducendo drasticamente il personale, magari da un ufficio di Londra. Il suo scopo è chiaro ed il suo guadagno è legato all’obiettivo che saprà raggiungere. Non si pone domande circa la gerarchia dei fini, non ha di solito, dubbi di natura morale. Non si chiede certo se il suo agire sia eticamente corretto, se stia servendo gli interessi veri dell’impresa e se l’impresa stia operando per servire l’economia.

A livelli inferiori immaginiamo una banca che apre uno sportello in un paese che ne ha già due. Compito (mission) del direttore di filiale: trovare nuovi clienti.

Per ingrossare le file – specie se non conosce il territorio ed è stato catapultato in una sede non ambita – otterrà qualche risultato con promozioni e offerte, ma poi finirà per arruolare anche coloro che hanno avuto problemi con gli altri istituti bancari o che non hanno le caratteristiche per essere considerati buoni clienti.

Se il nostro direttore restasse a lungo in quella banca, prima o poi qualcuno gli chiederebbe conto di come ha agito. Ma se il nostro uomo dopo un paio d’anni cambia istituto, le “rogne” rimarranno ai successori.

L’impresa può essere paragonata a una squadra di calcio: si serve l’interesse collettivo puntando alla vittoria, che è vittoria dell’équipe.

Nell’ambito della squadra possono però prevalere interessi egoistici. Un portiere che mira al record dell’imbattibilità potrà preferire lo 0 a 0 al 4 a 3, mentre un attaccante che punta alla classifica dei marcatori potrà preferire una sconfitta per 3 a 4 in cui ha segnato una doppietta ad una vittoria per 1 a 0 in cui ha segnato un solo goal.

Se questo portiere o questo attaccante giocassero in prestito per un solo hanno avrebbero interesse a privilegiare l’interesse della squadra rispetto al proprio personale ed egoistico vantaggio?

Ecco perché l’economia di breve, di brevissimo momento, finisce per favorire in maniera preoccupante il sovvertimento dei fini.

Se questo è il quadro generale, nell’ambito del quale ho cercato di illustrare alcuni aspetti particolari, che cosa dobbiamo e possiamo fare?

Certamente vi sono interventi di natura pubblica che possono risultare efficaci nell’attuale contingenza, ma riusciranno, nel migliore dei casi , a curare i sintomi della malattia.

Non dobbiamo infatti mai dimenticare, come scriveva Gustave Thibon concludendo il suo saggio di fisiologia sociale intitolato “Diagnosi” che “TUTTI I TRATTAMENTI LOCALI – SIANO ESSI SERMONI MORALI, SISTEMI POLITICI O PIANI ECONOMICI – SI RIVELANO, PRESI SEPARATAMENTE, PIU’ DEFICIENTI CHE MAI. LA GUARIGIONE DELL’UMANITA’ ESIGE UNA SCIENZA TOTALE E UN AMORE TOTALE DELL’UMANITA’”.

Amore, cioè CARITAS, nella verità : CARITAS IN VERITATE.

Quell’amore che spinge gli uomini di buona volontà – e fra essi i soci e i simpatizzanti di ALLEANZA CATTOLICA – a combattere la buona battaglia per la regalità, anche sociale, di N.S.G.C., ribaltando così il sovvertimento rivoluzionario dei fini e restaurando l’ordine naturale voluto dal Creatore.

Mi unisco infine a Benedetto XI nell’invocare la Regina del Cielo, affinché assista ed illumini tutti coloro che vogliono combattere sotto le insegne di Cristo :

“CHE LA VERGINE MARIA, PROCLAMATA DA PAOLO VI MATER ECCLESIAE E ONORATA DAL POPOLO CRISTIANO COME SPECULUM IUSTITIAE E REGINA PACIS, CI PROTEGGA E CI OTTENGA, CON LA SUA CELESTE INTERCESSIONE, LA FORZA, LA SPERANZA E LA GIOIA NECESSARIE PER CONTINUARE A DEDICARCI CON GENEROSITA’ ALL’IMPEGNO DI REALIZZARE LO “SVILUPPO DI TUTTO l’UOMO E DI TUTTI GLI UOMINI”.

 

 


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