Teologia di una ribellione

Secondo intervento al seminario della Scuola di Educazione Civile di Alleanza Cattolica in Ferrara tenuto a Casa Bovelli il 21 gennaio 2017, dal titolo «A 500 anni dall’inizio della Rivoluzione protestante: la storia, la teologia e un cammino di riconciliazione tra speranza e disillusione»

 

padre Immacolato Acquali F. I.

 

Parlare di teologia protestante richiede una premessa di natura politico-culturale al fine di comprendere sia la nascita del protestantesimo, sia, soprattutto, il suo rapido diffondersi. Infatti risulta chiaramente che il fattore principale che rende ragione di come e perché  il  monaco agostiniano riesca a far nascere una sorta di cortina di ferro ante litteram è propriamente, all’inizio, un fattore politico-culturale più che teologico. Se infatti si getta lo sguardo su di una cartina dell’Europa, ci rendiamo conto di come il protestantesimo si diffonda in tutta quella parte del continente non ricompresa all’interno del vecchio limes romano. Ci sono ovviamente delle eccezioni, però nel complesso il protestantesimo coincide con l’Europa germanica, la Germania dell’est e del nord: il mondo scandinavo i Paesi Bassi e la grande eccezione dell’Inghilterra, dove però il protestantesimo arriva con modalità  diverse da quelle del continente.

Questa linea di confine tra mondo protestante e mondo cattolico richiede una spiegazione. Gli anni in cui vive Lutero, e in un senso più largo tutto il secolo che precede l’esplodere della riforma, è un periodo in cui, a partire come sappiamo dall’Italia, l’Europa riscopre — ad opera dei letterati — la propria eredità classica. Mentre per tutto il Medioevo l’identità dell’Europa si struttura intorno all’impero romano-germanico e cristiano, con l’Umanesimo e il Rinascimento vi è una riscoperta sempre più profonda e progressiva dell’eredità classica, che non viene tuttavia vista come contraddittoria contro l’ identità cristiana: la classicità è vista in un rapporto sponsale con il cristianesimo, pensiamo ad esempio ad un umanista cristiano come Maffeo Vegio e in ultima analisi anche allo stesso Erasmo da Rotterdam; significativamente, tuttavia vi sono anche degli umanisti precocemente indirizzati verso una cultura laicista come ad esempio Lorenzo Valla che per primo contesta la donazione di Costantino.

Questa riscoperta dell’eredità classica riguarda in modo profondo soprattutto l’Italia, il mondo mediterraneo e la Francia; nel nord Europa il culto incipiente della classicità non si radica in modo profondo; tuttavia il ritorno al passato si fa strada anche in queste regioni radicandosi però su basi diverse da quelle del sud Europa; nel caso tedesco ad esempio non sono le opere di Cicerone e Virgilio ad indirizzare lo sguardo verso il passato, ma un’altra opera (sempre di un autore romano, anzi romanissimo…), il De origine et situ Germanorum di Tacito, che spalanca le porte del passato non sul mondo classico greco e romano, ma sulle identità germaniche che nella loro contrapposizione vittoriosa a Roma (ricordiamo la sconfitta strategica di Teutoburgo ad opera dei Cherusci guidati da Arminio) avevano trovato la propria identità.

Questo è un fatto non privo di significato per definire meglio un certo tipo di milieu culturale che fa da sfondo alla rivolta antiromana di Lutero che “riecheggia” quella delle tribù germaniche di 1500 anni prima. Nell’appello alla nobiltà dei principi tedeschi, che fa Lutero, ci troviamo in presenza di un attaccamento nazionalistico totalmente sconosciuto  nel medioevo che entra in totale contrapposizione con l’universalismo cattolico-romano. L’Europa comincia allora a dividersi nella sua anima; mentre prima tutti si definivano innanzi tutto cristiani e secondariamente anche francesi, sassoni, milanesi, improvvisamente l’identità nazionale, vissuta nel suo significato assoluto, acquisisce un’importanza fondamentale nella storia europea. Penso che il protestantesimo sia il ripercuotersi a livello religioso di questa riscoperta di una identità che non è più solo principalmente cristiana, ma che diventa nazionalista: in Lutero c’è l’espressione di un nazionalismo che si ripercuote nella teologia, trovandovi una potente motivazione.

Un altro fattore importante per comprendere il successo sorprendente del luteranesimo nel 1500 è il fatto che la Weltanschauung protestante non nasce dal nulla. Se si osserva attentamente la storia delle eresie medioevali — soprattutto a partire dal 1100 in avanti — appare evidente come la piattaforma ideologica della Riforma fosse già abbondantemente presente nel panorama teologico medievale; pensiamo al «sola scriptura» dei Valdesi, all’eretico inglese John Wycliff, agli Speronisti (seguaci di Sperone Speroni, un eretico piacentino che sosteneva la predestinazione), agli Ussiti boemi: molte delle tesi di Lutero le troviamo in questi movimenti.

Sono andato per curiosità a studiare il fenomeno valdese; il valdismo più eretico è un fenomeno nato soprattutto in Italia. Nasce a Lione con Valdo, si diffonde in Francia e soprattutto nel nord Italia dove, da fenomeno borderline – al confine tra ortodossia e eterodossia – evolve verso la metà del secolo XIII verso una separazione netta dalla Chiesa Cattolica. Il valdismo, a partire soprattutto dal nord Italia, si diffonde un po’ in tutta Europa e curiosamente i luoghi in cui sorgono le comunità valdesi sono la Boemia — cioè la regione nella quale nascerà la rivolta hussita —, la Turingia, la Sassonia, il Brandeburgo, ossia il cuore della Germania che poi diverrà “luterana”.

Il valdismo propriamente detto aderirà alla Riforma nel 1532 e in seguito sopravviverà solo nelle valli piemontesi occidentali. La protesta luterana in breve cade su di un terreno seminato da secoli in senso critico verso la cattolicità medievale e romana.

Lutero però, e questo distingue la sua vicenda dai suoi precursori, trova il prezioso supporto dei principi tedeschi: sarà proprio uno di essi, Federico di Sassonia, a salvarlo dall’arresto nel 1521 e a offrirgli rifugio nel castello di Wartburg ad Eisenach, dove Lutero scriverà la sua opera più importante, cioè la traduzione del Nuovo Testamento in lingua tedesca.

Dopo questa introduzione nella quale ho riassunto quello che si potrebbe definire l’ambiente culturale nel quale si colloca la rivolta luterana, vorrei ora affrontare l’aspetto teologico del pensiero dei riformatori. Certamente tra Lutero, Calvino, Zwingli e le denominazioni protestanti minori  vi sono significative differenze e distinzioni, ma ciò che più importa è cogliere quella che si potrebbe definire l’“opzione fondamentale”, il centro di gravità su cui si appoggia la Riforma. Ad una analisi superficiale si potrebbe rispondere rifacendosi alla maggior parte delle ricostruzioni storico-teologiche: il cuore del protestantesimo è la “sola fides“, ossia un approccio fideistico che nega alla radice l’analogia entis e quindi teso a negare un rapporto di simbiosi e complementarità tra ragione e fede; a mio avviso la questione è più sottile e più complessa, e qui mi rifaccio ad un autore a me particolarmente caro sia per la profondità del suo pensiero che della sua carica profetica, Augusto Del Noce.

In realtà il presupposto della teologia luterana è da individuare piuttosto in una forma larvata, ma potente, di razionalismo. Augusto Del Noce infatti così aveva definito il razionalismo: “negazione senza prove del soprannaturale”. Se è pur vero che la negazione del soprannaturale non si trova nel pensiero riformato, è però evidente che il soprannaturale nella teologia protestante non viene accolto secondo il piano originario di Dio, ossia impostato sulla chiamata da parte della grazia divina ad una collaborazione con la creatura. I riformati pretendono di rescindere completamente il lato creaturale del rapporto Dio-uomo; facendo così approdano ad un esito fideistico, che però paradossalmente è frutto di un atteggiamento razionalistico in quanto essi rifiutano di aprirsi all’idea della libertà divina che nella sua perfezione può rendere la natura razionale dell’uomo capace di entrare in rapporto con la grazia soprannaturale e collaborare con essa, quindi attingere la salvezza del divino attraverso una libera scelta.

La teologia protestante quindi “impone” a Dio ciò che Egli può fare o non fare, prescindendo in tal modo da ciò che la Rivelazione invece ci attesta, la piena e libera sovranità di Dio di agire e determinarsi rispetto alla creatura. In ciò si estrinseca l’aspetto  “razionalistico” del protestantesimo. Lutero sembra come  afferrare una mannaia metaforica con la quale taglia tutti gli aspetti della teologia cattolica che non rientrano all’interno delle sue scelte soggettive ed esistenziali; sceglie dunque la fede e non le opere, la Sacra Scrittura e non il Magistero, la grazia e non la natura, la teologia e non la filosofia.

 

Volendo gettare uno sguardo verso le cause di questo atteggiamento, si può affermare che all’origine del protestantesimo — così come in  tutte le eresie che si sono succedute lungo la storia del cristianesimo — vi sia una incapacità ad unire in un rapporto simbiotico l’infinito con il finito, la creatura con il Creatore, la storia con l’Eterno,  un rapporto certamente che si mostra attraverso una relazione che deriva di necessità da una rivelazione che non può che raggiungerci dall’alto e a cui la mente e il cuore umano devono sottomettersi con docilità per trovare in essa l’appagamento di ogni tensione verso il vero, il bello e il bene.

In ogni caso il punto di partenza dei riformati li porta a sviluppare tutta una serie di derivazioni consequenziali che comportano il rifiuto della mediazione sacramentale, eccettuato il battesimo, e in particolare il netto rifiuto del sacerdozio ministeriale, del dogma della transustanziazione, della presenza reale del Signore nel Santissimo Sacramento. Viene inoltre contestata alla radice la collocazione peculiare e singolarissima della Beata Vergine Maria all’interno del piano di salvezza.

Al contrario i protestanti enfatizzano il sacerdozio universale dei fedeli ed insieme rifiutano il culto dei santi, le indulgenze, il dogma del Purgatorio. La sottolineatura da parte protestante della totale corruzione della natura umana a causa del peccato originale li porta ad abbracciare la tesi della predestinazione come diretta conseguenza della impossibilità da parte della creatura di collaborare con la grazia divina e quindi sottoposta in totoall’arbitrio della predisposizione divina.

Ma a questo punto, dopo aver riassunto i presupposti storico-filosofici della Riforma, ci si potrebbe chiedere quanto siano sostenibili i “dogmi” riformati alla luce della ragione naturale, e mi riferisco in particolare alla tesi della totale corruzione morale dell’uomo in ragione dello status naturae lapsae. Intendiamoci: che l’essere umano possa attingere la salvezza è un fatto che richiede come conditio sine qua non l’aiuto della grazia divina. L’autosufficienza creaturale in stile pelagiano non ha diritto ovviamente di cittadinanza all’interno di una sana e solida teologia cattolica: è perfettamente vero che Dio è all’origine di tutto perché, se Lui non mi creasse, neppure  potrei collaborare alla mia salvezza. Da questo punto di vista c’è un senso ortodosso all’affermazione che tutto è grazia.

La rivelazione cristiana insiste però anche sulla capacità della creatura di entrare in simbiosi con la grazia salvifica che viene da Dio, e di avere un proprio ruolo, subordinato ma reale, nella risposta a Dio che si rivela e ci dona la salvezza.

Lutero invece non tiene conto di questo; la creatura può salvarsi solo con un atto di fede fiduciale in Gesù che ci perdona i peccati. Non è in grado di essere trasformata dalla grazia, perché la grazia per Lutero è semplicemente Dio che volge lo sguardo dall’altra parte mentre noi pecchiamo; non c’è capacità ontologica, da parte di Dio, di farci partecipare alla sua santità attraverso l’ausilio della grazia contenuta in primo luogo nei Sacramenti donatici attraverso la mediazione della Chiesa. Per Lutero l’uomo viene salvato, ma non trasformato: simul iustus et peccator!

Tornando all’interrogativo della sostenibiltà della tesi luterana si comprende bene come essa contraddica una verità naturale immediatamente evidente, ossia la libera capacità da parte del soggetto di orientarsi verso il bene oppure il male che vengono riconosciuti in base ad un abito dei primi principi pratici presente nel soggetto come dato di natura. Del resto come potrei io, essere umano, rendermi conto che la grazia della fede comunicatami da Cristo è un bene da accogliere, se fra me e il bene non ci fosse un minimo di proporzionalità, un minimo di affinità (san Tommaso direbbe di partecipazione del mio intelletto e della mia volontà, beni finiti, all’intelletto e alla volontà divina, infiniti e sorgente di ogni verità e bene)?

Eppure i protestanti da sempre, nella loro parabola storica, hanno giudicato all’interno delle loro comunità (rogo di Serveto, rogo delle streghe ecc.) ponendosi in radicale opposizione tra visione antropologica e ortoprassi delle proprie comunità ecclesiali. Se il protestantesimo venisse preso sul serio, sarebbe impossibile la stessa vita sociale e civile, perché sarebbe impossibile giudicare i vivi.

Ovviamente i protestanti non vivono secondo la visione antropologica di Lutero, perché a livello pratico essi hanno sempre manifestato un moralismo incompatibile con le tesi teologiche luterane. I protestanti non possono vivere come predicano, perché sono costretti a riconoscere che l’essere umano è realmente imputabile dei propri comportamenti e quindi in grado di relazionarsi al bene e al male in libertà, anche se è verissimo che il bene soprannaturale è attingibile dalla creatura solo mediante un ausilio divino.

È certamente vero che il realismo antropologico cattolico può facilmente farci dimenticare — ed è questo un pericolo che il magistero dell’attuale Pontefice ci ricorda spesso e di cui noi cattolici dobbiamo essere consapevoli, per non cadere nel fariseismo — che le nostre opere sono sempre il frutto di un aiuto che viene dalla grazia di Dio, e che il cammino di conversione e santificazione non è mai finito.

Per tagliare i ponti con la Chiesa cattolica, l’altro principio architettonico della teologia protestante — ma sarebbe meglio chiamarla teosofia protestante, perché non è teologia strettamente parlando non partendo dalla rivelazione ma da un pregiudizio — è il principio della sola Scriptura, cioè il rigido letteralismo biblicistico, uno dei punti, come detto in precedenza, in cui si palesa il “debito” del protestantesimo nei confronti delle eresie basso medievali. Si tratta di una Scrittura di cui in un momento iniziale si predica il libero esame; Lutero, traducendo la Bibbia in tedesco, la rende disponibile a un vasto pubblico grazie alla stampa che nasce proprio in quegli anni. Quindi il protestantesimo afferma che solo ciò che è contenuto nella Sacra Scrittura è il criterio ove attingere l’autentica rivelazione di Dio.

Non si tiene conto da parte protestante che la Sacra Scrittura è sì parola di Dio, però scritta in un linguaggio umano, scritta in un determinato contesto storico e quindi intrinsecamente caratterizzata dalla necessità di essere interpretata. Non è la stessa Sacra Scrittura che afferma di se stessa: “nessuna  scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione” (cf. 2Pietro 1,20)?

Meditiamo un solo istante sul fatto che basterebbe isolare dei passaggi biblici e, in base a quei passi, prescindendo dal contesto nel quale sono stati scritti, e interpretandoli non in base all’analogia fidei, si potrebbero tranquillamente giustificare scelte morali discutibili, ed in alcuni casi manifestamente perverse. Un esempio concreto dell’incongruenza luterana: egli riteneva la Lettera di Giacomo inadatta a far parte del canone del nuovo Testamento, a causa della dottrina che la fede da sola non è sufficiente per la salvezza, in quanto in contraddizione con il sola fide dei riformati. Certo si può anche citare san Paolo, che condanna le opere ed esalta la fede; ma il termine “opere” in S. Paolo sta a significare quell’insieme di prescrizioni rituali delle quali era intessuta la vita quotidiana degli israeliti; rituali che con la venuta del Verbo Incarnato perdono ogni validità rivelando la loro natura contingente e transeunte.

Oggettivamente risulta difficile, dopo quanto detto finora, scorgere nell’azione e nel pensiero di Lutero un genuino sentimento di voler “riformare” la Chiesa. Il monaco agostiniano assomiglia piuttosto ad un ribelle in cerca di un casus belli mediante il quale rompere con Roma. Per questo motivo, come detto prima, da subito la parte più spregiudicata e interessata della nobiltà tedesca intuisce che le parole e i gesti del monaco sassone sono funzionali per i propri progetti politici e reciprocamente lo stesso Lutero  difenderà il potere politico degli ottimati germanici. Quando i contadini di varie regioni della Germania, spinti da una  lettura fondamentalista della Bibbia, diventeranno araldi di un comunismo ante litteram e cominceranno a sollevarsi e a combattere i grandi proprietari feudali dell’impero germanico, Lutero appoggerà i principi tedeschi giustificando lo spietato massacro dei contadini in rivolta guidati da Tomas Müntzer.

Il protestantesimo, come tutto ciò che non si radica autenticamente in Cristo, rende paradossalmente ragione delle parole pronunciate da Gesù: “Chi non raccoglie con Me, disperde”. Il protestantesimo infatti dà subito origine ad un pullulare di sette diverse: il calvinismo, che si radica nell’esperienza religiosa di Calvino a Ginevra, la corrente zwingliana a Zurigo e quella luterana in Germania. Oltre a queste compare fin dai primordi del protestantesimo anche una corrente ultraradicale, molto importante sia dal punto di vista teologico che da quello politico: quella degli Anabattisti, che manifesteranno una visione totalmente ostile ad ogni commistione tra sfera civile e sfera religiosa. Nel luteranesimo e nelle altre correnti protestanti infatti fin da subito diverrà prevalente una dottrina riassunta nel noto principio Cuius regio eius religio: dove il principe appartiene ad una determinata confessione religiosa il popolo tutto deve adeguarsi alla fede del regnante. Nasceranno nell’impero germanico Stati a maggioranza protestante, prevalentemente nell’est, nel nord e nelle regioni scandinave, che danno vita ciascuna a una propria chiesa di Stato e infine l’esperienza inglese, molto complessa e singolare, ma comunque fin da subito caratterizzata da questa compenetrazione e simbiosi profonda tra Chiesa e Stato.

Il protestantesimo radicale invece — e questo è un elemento importante perché lo troviamo all’origine di una grande nazione occidentale — contesta questa simbiosi, in particolare nel mondo inglese, dove il protestantesimo nasce e si radica attraverso una scelta politica di Enrico VIII che dà origine alla chiesa anglicana. In quella nazione le correnti protestanti per così dire eterodosse, tipicamente i puritani, cominceranno a contestare la stessa chiesa anglicana, accusando l’anglicanesimo di essere di fatto un cattolicesimo mascherato. Per questo i dissidenti inglesi finiscono con l’emigrare oltreoceano per colonizzare le terre del Nord America dando vita alla parabola storica che culminerà nella nascita   degli Stati Uniti d’ America e diverranno eredi di questa particolare corrente teologico-politica che propugna la totale separazione tra Chiesa e Stato pur nella non avversione al fatto religioso in quanto tale, a differenza invece dell’esperienza francese e degli stati continentali europei in generale.

Non che in questo caso il protestantesimo americano diventi più tollerante, il calvinismo in quel contesto sarà al contrario ferocemente anticattolico e verso i “papisti” molte saranno le discriminazioni e le barriere che finiranno col cadere solo dopo la metà del secolo ventesimo.

È proprio l’osservazione delle conseguenze politiche che mette in luce quella che è senza dubbio l’eredità più profonda che il protestantesimo ha lasciato al pensiero filosofico dell’Occidente. Eredità che si rende palese nella laicizzazione dell’antropologia teologica protestante che si manifesta nel pensiero politico di Thomas Hobbes, filosofo inglese con il quale nasce la riflessione politica moderna. Con Hobbes entriamo  in un clima culturale che per tanti aspetti arriva fino ad oggi. Infatti il pessimismo antropologico luterano diventa in Hobbes un punto di partenza per giustificare la natura politica dell’essere umano.

Il cattolicesimo rifacendosi ai principi filosofici dell’aristotelismo e del pensiero giuridico romano ci insegna che l’uomo è un essere  naturalmente  portato al vivere in società ed è in conseguenza di un bene, e della tensione verso il bene, che si estrinseca la propensione umana al vivere sociale. Hobbes invece afferma una cosa molto diversa: gli uomini vivono insieme perché in realtà devono sottoporsi ad un’autorità  forte e dispotica per evitare di sterminarsi fra di loro: homo homini lupus. Qui si vede chiaramente l’influsso dell’antropologia luterana e calvinista, che finisce per fornire una giustificazione alle peggiori derive totalitarie.

Il Leviatano, cosi viene definito il principe hobbesiano, è colui che, attraverso la sua autorità e il suo potere assoluto che gli uomini gli delegano, impedisce agli esseri umani di azzannarsi come lupi, perché, naturalmente parlando, secondo Hobbes l’uomo è caratterizzato in modo deterministico da questo istinto primordiale. Questo è uno dei semi gravido delle conseguenze più pericolose che l’antropologia luterana abbia inoculato all’interno del pensiero politico occidentale.

Il protestantesimo, nella sua opera di auto frammentazione in tante confessioni diverse spesso tra loro confliggenti e in virtù del suo contrasto con il cattolicesimo, ha alimentato guerre di religione in Europa; i conflitti religiosi per almeno un secolo e mezzo sono stati la regola sul continente europeo: Svezia contro Polonia, principi cattolici contro principi tedeschi luterani (la famosa guerra dei 30 anni), l’Inghilterra anglicana contro la Francia e la Spagna cattoliche, le guerre interne alla Francia tra cattolici e ugonotti….. Questi continui conflitti finiranno con l’alimentare, soprattutto nelle classi colte europee, un atteggiamento di sospetto e di sfiducia verso il fatto religioso, visto come una sorgente di conflitto e di violenza (questo fenomeno culturale viene magistralmente descritto nel libro di Paul Hazard La crisi della coscienza europea); da qui sgorgherà la radice della ricerca di una convivenza civile non più basata sul riconoscimento dell’appartenenza cristiana, bensì l’emergere di un progetto, che nel corso del settecento si materializzerà nel deismo e nell’illuminismo teso alla progressiva costruzione di una politica e di una cultura prima indifferenti poi sempre più ostili al cristianesimo. Certo non si può accusare i protestanti di essere stati la causa genetica dell’indifferentismo e dell’irreligiosità ma è certo che la frantumazione della cristianità da loro provocata ha reso quest’ultima più fragile di fronte alle sfide del laicismo e dell’ateismo. A partire dal ’700 — così ci riallacciamo al prossimo argomento della Scuola di Educazione  Civile — la nascente cultura massonica dirà proprio questo: se il cristianesimo è così conflittuale e rissoso, conviene che sia collocato esclusivamente in una dimensione privata, interiore e personale.

 

In chiusura vorrei soffermarmi su due questioni  storiche che generalmente vengono associate, nella cultura dominante, al protestantesimo. La prima è quella del rapporto tra pensiero riformato e pensiero democratico, la seconda è la relazione tra protestantesimo e spirito del capitalismo. In breve un ritornello molto popolare nella pubblicistica storica dell’ultimo secolo così dice: la democrazia, i Parlamenti, il costituzionalismo sono un frutto dell’Inghilterra protestante, in contrasto con il mondo mediterraneo e cattolico che, prigioniero dell’oscurantismo della Controriforma, è rimasto ancorato al medioevo. Come stanno veramente le cose?

Per quanto riguarda la prima questione occorre affermare come l’architettura del costituzionalismo inglese nasce nel Medio Evo cattolico: la Magna Cartaè del 1215 e venne redatta con la consulenza giuridica di un Vescovo inglese del tempo, Stephen Langton. Da essa si dipana poi tutta la storia del parlamentarismo inglese, del processo basato sulla giuria che viene istituzionalizzato in quel documento e che poi in seguito porta alla elaborazione di un esperienza di monarchia costituzionale di cui indubbiamente si riscontra la grande preziosità per lo sviluppo della cultura politica occidentale.

Per non parlare del grande contributo che darà la seconda scolastica spagnola, conosciuta come scuola di Salamanca, nell’elaborazione della dottrina di derivazione tomista, di un diritto naturale universale, la cui influenza si farà sentire nel pensiero di Locke e del nascente costituzionalismo nordamericano.

Il parlamentarismo nasce nel mondo medioevale e cattolico, perché in quel contesto storico la Chiesa favorisce, per limitare le pretese spesso totalizzanti dei poteri principeschi e monarchici, l’elaborazione di un meccanismo di partecipazione dei cittadini alla vita politica attraverso i Parlamenti o altri tipi di assemblee elettive. Questo non avviene solo in Inghilterra ma anche in Francia, anche se non a livello nazionale, ma nei Parlamenti regionali. Sono tutte esperienze che nascono nel nostro Medio Evo cattolico. E dalla Chiesa, a partire dalla stessa sua esperienza di vita interna, a partire ad esempio dai Capitoli delle Famiglie religiose, che eleggono dei rappresentanti, questo modo di vivere si travasa nella vita civile e tutto ciò attraverso la riflessione, in origine canonista intorno al principio tratto dal diritto romano che così recita: quod omnes tangit ab omnibus approbetur debet esse.

Il principio della rappresentanza parlamentare è un grande frutto del nostro Medio Evo; troppo spesso esso viene associato erroneamente alla esperienza protestante.

 

Sono stati dunque i protestanti a partorire lo spirito capitalistico? Sì e no. Se per spirito del capitalismo intendiamo il capitalismo moderno che vediamo all’opera soprattutto oggi, caratterizzato da uno sviluppo sempre più fuori controllo di una finanza totalmente avulsa dall’economia reale e dalla morale, si potrebbe affermare che una relazione tra capitalismo e protestantesimo ci sia. Oggi il capitalismo, sotto molti punti di vista, si manifesta in modo ideologizzato, rispecchiando per tanti aspetti l’homo homini lupus di hobbesiana memoria. In realtà, ad un’analisi più attenta, si potrebbe affermare del capitalismo la stessa tesi che poco sopra ho esposto in relazione al pensiero democratico: anche il capitalismo è un frutto  del cattolicesimo medioevale, di quando la cristianità era ancora un’unica famiglia. Tutti i fattori che delineano un’economia di mercato seriamente intesa sono un frutto della fantasia e dell’operosità del mercante medioevale: le tecniche contabili, le prime forme di società commerciali, le assicurazioni marittime, la lettera di cambio, il diritto mercantile, la banca con le principali tecniche finanziarie sono tutte realtà che vedono la nascita all’ombra delle cattedrali medievali. Se il mondo protestante sembra manifestare un maggiore dinamismo economico ciò è dovuto al fatto che l’apertura delle grandi rotte commerciali oceaniche ha privilegiato, a causa della loro collocazione geografica, le nazioni atlantiche come l’Olanda e l’Inghilterra. Non è il protestantesimo il fattore decisivo in questo processo.

 

Quale è in conclusione la situazione attuale del pensiero riformato?

Attualmente c’è il protestantesimo delle comunità ecclesiali dette storiche, presenti soprattutto in Europa e in misura minore negli Stati Uniti, caratterizzate da una deriva progressista fortemente pronunciata. Basti pensare alla loro totale apertura all’omosessualità, al divorzio, all’aborto e alle teorie del gender.

Dall’altro canto troviamo invece delle comunità ecclesiali in fortissima espansione soprattutto nel Terzo Mondo e in America Latina, come i pentecostali, caratterizzati da un radicale conservatorismo sia sociale che antropologico. Con esse soprattutto la Chiesa Cattolica si deve confrontare: solo in Sud America i pentecostali hanno attratto tra le loro fila decine e decine  di milioni di cattolici.

Questa fortissima polarizzazione all’interno del mondo protestante è particolarmente significativa per comprendere come in assenza di una comunione con la Chiesa Cattolica il pensiero riformato oscilli tra un conservatorismo integralista e settario e un progressismo estremo che dissolve l’identità cristiana nel vortice della peggiore cultura secolare.

Invochiamo la Vergine perché aiuti tutti noi a ritrovare quell’unità tra i battezzati che costituisce uno dei segni esteriori più efficaci per far risplendere nel mondo la bellezza e la verità del Vangelo di Cristo.

 

 


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